Lo spazio barocco: l'infinito come suggestione
La nozione di uno spazio infinitamente esteso trova una prima fondazione nei teorici rinascimentali: la prospettiva matematica agisce nello stesso senso della matematizzazione dello spazio operata da Cartesio, Galileo, Newton, e in essa è già implicito il riconoscimento che uno spazio matematizzabile non potesse essere finito visto che la serie numerica è estendibile infinitamente. Oltre a ciò, la centralità dell'uomo nei processi conoscitivi, affermata dalla nuova scienza, era adombrata già nelle teorie quattrocentesche, che intendevano ricostruire i meccanismi della visione in rapporto al loro centro nell'occhio umano. La raffigurazione prospettica ha importanza anche per l'arte barocca, ma qui essa risulta separata da ogni implicazione conoscitiva. Le leggi prospettiche sono usate in senso opposto a quello dell'arte rinascimentale, per moltiplicare e non per unificare i punti di vista. L'infinità dell'estensione spaziale che ne risulta non è il frutto di una ricostruzione razionale, ma diviene oggetto di una sensazione indotta nell'animo dello spettatore.
Nel colonnato di San Pietro l'osservatore è spinto dalla struttura dell'insieme a cercare un punto di vista unificante, ma non lo può trovare perché i due bracci hanno due centri distinti, sono le porzioni di due circonferenze che si intersecano. La curva non si compone nella perfetta semplicità del cerchio, e lo spazio e' affermato come infinita possibilità di tracciare traiettorie. Per questo l'architettura barocca rivela una decisa vocazione urbanistica: essa non agisce su uno spazio preesistente, ma "crea" lo spazio. Nella curvatura della facciata di Santa Agnese del Borromini si nota la tendenza ad affermare la continuità dello spazio interno dell'edificio con lo spazio esterno della città. In Borromini lo spazio geometrico diventa corporeo: mutamento e movimento non sono segni d'imperfezione, perché un universo vivente deve potersi muovere e mutare. Il tema dell'infinito si ritrova in un altro motivo barocco tipico come la chiocciola o spirale; altrove, l'induzione emotiva del senso dell'infinito compete a vere e proprie immagini accostate alle strutture architettoniche, fiamme o angeli che paiono dissolvere la solidità dell'insieme quasi rimandando a una diversa realtà, puramente immaginata.
Retorica e persuasione
Nel secolo che segna il tramonto definitivo dell'autorità scientifica di Aristotele, la sua Retorica è al centro dell'interesse dei letterati. In quest'opera Aristotele aveva esposto una tecnica della persuasione verbale che trovava la sua giustificazione in un saldo contesto di valori alla cui trasmissione era finalizzata. Nel Seicento si perde il legame tra contenuti da trasmettere e mezzi di trasmissione. Le figure retoriche diventano uno strumento neutro, e vengono impiegate nella poetica del concettismo in chiave di puro virtuosismo. Il fine del linguaggio poetico non è designare univocamente gli oggetti, ma produrre effetti attraverso il suono delle parole e le immagini evocate. La metafora è la grande protagonista della poetica concettistica. Emanuele Tesauro e' il più importante teorico del concettismo, e nella sua opera intitolata Il cannocchiale aristotelico (1655) indica la metafora come elemento comune a tutte le arti, fondandosi sulla convinzione che tutte le cose sono afferrabili come simboli. Proprio in riferimento all'architettura, osserva che "questo appare in tante bizzarrie, nelle facciate sontuose de' palazzi: capitelli, rabeschi de' fregi, triglifi, metope, mascaroni, cariatidi, termini, modiglioni: tutte metafore di pietra e simboli muti, che aggiungono vaghezza all'opera e mistero alla vaghezza". Nell'opera di architetti come Bernini e Borromini l'architettura si fa interamente linguaggio figurato, teso alla persuasione dell'osservatore tramite la proposta di una fascinazione sensibile ed emotiva.
Il linguaggio dell'architettura in Bernini è legato all'espressione del messaggio universale della Chiesa. Il colonnato di San Pietro, come dice lo stesso artista, doveva dimostrare di "ricever a braccia aperte maternamente i Cattolici per confermarli nella credenza, gli Heretici per riunirli alla Chiesa, e gl'Infedeli per illuminarli alla vera fede". Ma questo rapporto tra figura retorica e finalità espressiva non si risolve in quella linearità e compostezza che sono proprie invece dell'arte controriformistica settentrionale (si pensi ai sacri monti, dove l'impianto scenografico è del tutto funzionale all'esito devozionale.)
In Gian Lorenzo Bernin c'è un'eccedenza delle potenzialità comunicative dei segni impiegati. La persuasione riguarda più l'arte stessa nel suo rapporto con il fruitore che l'eventuale messaggio trasmesso: Bernini si rivolge agli osservatori innanzitutto come a un pubblico, e solo secondariamente come a dei fedeli. Se Bernini privilegia l'impatto unitario, Francesco Borromini propone invece una lettura analitica, che si svolge nel tempo. Le sue realizzazioni non sono percepibili con un solo colpo d'occhio, ma esigono che lo sguardo segua la sintassi articolata dei particolari. In una cronaca del tempo e' raccontato che i forestieri che entrano nella chiesa di San Carlino alle quattro fontane "altro non fanno che guardar alto e voltarsi per tutta la chiesa, per che tutte le cose d'essa sono in tal modo disposte che una cosa chiama l'altra."
Progetti urbanistici nell'Europa barocca
Nel Quattrocento le più grandi città d'Europa non erano le capitali, ma piuttosto i grandi centri manifatturieri e commerciali che costituivano i poli di maggiore concentrazione demografica. Nel Cinquecento, durante una fase di sviluppo economico generale, le capitali crebbero di pari passo con le grandi città commerciali. Nel Seicento la crescita economica procede invece più spezzata, e in molti casi si deve parlare di stagnazione o addirittura di regresso economico. Questo processo però non riguarda lo Stato, la cui presa sulla società continua a crescere in maniera indipendente dal ciclo economico. Di conseguenza le capitali tendono a diventare nel corso del XVII secolo le prime vere megalopoli d'Europa. Questa mutazione porta una complessa attività di riorganizzazione urbanistica nella quale si combinano la pressione demografica, la necessità di difesa militare, l'organizzazione funzionale dei servizi amministrativi e, non ultimo, le esigenze di rappresentazione scenografica del potere assoluto del monarca. Da questo punto di vista Parigi rappresenta un modello poi replicato in altre capitali europee, come Vienna, dove dal 1683 si stabilisce la dinastia degli Asburgo. Alla fine del Seicento nasce in Austria una straordinaria civiltà architettonica i cui protagonisti, fra i quali Fischer von Erlach e Lucas von Hildebrandt, approfondiscono lo studio dei modelli, in particolare quelli del barocco romano. Provoca interesse e ammirazione l'audacia delle strutture, il ritmo delle masse e l'imponenza nelle opere di Bernini e Borromini.
L'architettura italiana nel Settecento
In Italia come in Europa il quadro dell'architettura settecentesca si presenta estremamente articolato, con soluzioni differenziate sotto il profilo tipologico e stilistico, legate a situazioni concrete di cultura e di committenza nonché alle scelte dei singoli artisti. L'eredità della cultura architettonica precedente agisce ancora sugli artisti, ma almeno da parte delle personalità più rilevanti si assiste a un'abilissima e personale manipolazione di essa. E' il caso di Filippo Juvarra, artista di singolare apertura europea, la cui presenza fa del Piemonte una delle aree più vive del primo Settecento. A Roma si mira invece a una concreta e civile utilizzazione delle esperienze barocche, piuttosto che a un'approfondita continuazione di esse. L'estremo capitolo del Barocco romano trova le sue realizzazioni più significative in alcuni importanti interventi urbanistici: il porto di Ripetta, piazza di Spagna, la piazzetta di Sant'Ignazio e la fontana di Trevi. A Napoli, la corte Borbonica svolge un piano ambizioso d'interventi nella capitale; lo sviluppo urbanistico che ne deriva stabilisce un decisivo mutamento di rotta anche quanto a scelte stilistiche, sotto il segno più "classicista" dei due maggiori protagonisti: Ferdinando Fuga e Luigi Vanvitelli, chiamati a Napoli nel 1750.