Dalla critica luterana a un nuovo stile
La critica di Lutero sull'eccessiva ricchezza delle Chiese, spesso più simili a teatri o a dimore patrizie che a luoghi di culto, viene ampiamente discussa nell'ultima fase del Concilio di Trento e affrontata dettagliatamente dal vescovo Carlo Borromeo, protagonista incontrastato di questa fase conciliare e autore del trattato Instructionum fbricae et suppellectilis ecclesiasticae del 1577. Nell'opera vengono esposti organicamente i dettami fissati nel Concilio in fatto di canoni architettonici e rappresentazioni sacre pittoriche e scultoree, rimettendo totalmente nelle mani dei vescovi e del tribunale del Sant'Uffizio il giudizio sull'idoneità e sulla censura di tali produzioni artistiche.
Apprendiamo, già dai primi capitoli delle Instructionum, che la scultura ha un ruolo centrale nella rappresentazione, veridica e conforme alle scare scritture, dei personaggi sacri: la facciata, vero biglietto da visita dell'edificio nonchè unica parte esterna ornata, dovrà prevedere al centro una statua della Madonna con in braccio il bambino (La madre di Dio è la figura-cardine alla quale in Concilio ha affidato tutta l'operazione del suo rinnovamento) e ai lati, statue del santo a cui il tempio e dedicato e di quello più venerato in quella zona.
Nel capitolo XVII dedicato alla "sacre immagini o pitture" Carlo prevede un massiciio impiego di rappresentazioni iconografiche e scultoree, soprattutto legate alle vite dei Santi, che possano essere di esempio e avere un valore didascalico e di indottrinamento. Ovviamente, per poter raggiungere questo fine e non offrire il fianco alle critche luterane bisognerà attenersi strettamente a dettami di sobrietà e assoluta conformità alla Sacre Scritture:
Innanzitutto non si raffigurerà in chiesa o altrove un'immagine sacra che contenga un falso dogma, o che offra agli ignoranti occasione di pericoloso errore, che sia contraria alle sacre scritture o alla tradizione della Chiesa; al contrario, l'immagine sarà conforme alla verità delle Scritture, delle tradizioni, delle storie ecclesiastiche, alle consuetudini e all'uso della madre Chiesa. Inoltre, nel dipingere o scolpire sacre immagini, come non si dovrà rappresentare nulla di falso, di incerto o apocrifo, di superstizioso e di insolito, così si eviterà rigorosamente tutto ciò che sia profano, turpe o osceno, disonesto e procace; e analogamente si eviterà tutto ciò che sia stravagante, che non stimoli gli uomini alla pietà, o che possa offendere l'animo e gli occhi dei fedeli.
E' dedicato uno spazio anche ai così detti parergi, ovvero gli elementi che gli scultori talora aggiungono come ornamento: non saranno profani, nè voluttuosi, nè volti al diletto estetico come ad esempio i mascheroni ampiamente impiagti nelle decorazioni "a grottesca" del '500.
Il preludio di una rivoluzione
Per tutta la fine del '500 e i primi decenni del '600 questi dettami piuttosto stringenti e limitanti vengono seguiti alla lettera dagli artisti, che tuttavia riescono ugualmente ad esprimere vette elevatissime di plasticità e originalità: l'anelito alla verità che traspare dalle righe borromaiche trasfonde nella scultura del periodo una partecipazione emotiva delle espressioni e una teatralità delle posture del tutto nuova. Basti pensare all'Annunciazione del Mochi, il quale opera in un clima strettamente controriformista ma che, nel turbinoso panneggio dell'angelo e nell'estrema teatralità dei gesti dei due "attori" della scena, anticipa ampiamente la drammaticità berniniana. Non c'è lascivia nè alcuna licenza sugli abiti e gli attributi dell'Arcangelo e di Maria: tutto è corretto ma al tempo stesso prorompente, esasperato, degno del palcoscenico su cui si mette in scena la grande riforma conciliare che conduce al barocco.
Il "manifesto" del barocco
Nel 1624 la pubblicazione dell'opera De Pictura Sacra di Federico Borromeo, nipote di Carlo, apre nuovi orizzonti di interpretazione dei dettami conciliari e reintroduce un aspetto di piacere voluttuoso ed estetico delle sacre rappresentazioni, ponendo l'accento sull'aspetto di credibilità e veridicità. Già nell'introduzione leggiamo infatti : Anche nel vivere umano si ricerca e piace soprattutto agli occhi degli spettatori ciò che si chiama il decoro; quello splendore cioè o quella luce o fiore che risulta da ogni movenza e da ogni gesto, luce e fiore di cui l'animo si allieta. E quella gioiosità e quel piacere, siccome è insito in tutte le opere che si compiono con venustà e grazia, così l'arte lo trasfonde nelle immagini che coi colori o nel marmo riproducano quelle azioni umane. E la gioiosità di queste arti in nulla differisce da quella naturale e viva, se non in ciò, che le loro opere non hanno via né loquela né movimento alcuno.
Possiamo a ben ragione parlare di un manifesto artistico del barocco in scultura e pittura: l'uso di parole come splendore, piacere, movimento sintetizzano appieno la magnificenza, la teatralità e la carica emotiva che spesso e volentieri rasenta l'erotico tipica di questa nuova generazione di artisti.
Scuotere ed eccitare: ecco il barocco!
Nel capitolo sulla Difficoltà nel ritrarre i sentimenti dell'Animo Federico opera una vera e propria critica agli artisti del passato, che rappresentano le situazioni tramite simbolismi e senza alcuna partecipazione emotiva. Il neonato barocco non deve avere taboo: tutto deve essere ciò che è, il dolore, la gioia, l'estasi, il piacere, senza generare equivoci ed anzi piuttosto calcando ed esasperando gli atteggiamenti per renderli immediatamente comprensibili ad un pubblico che, stanco di vedere rappresentati personaggi irreali e lontani, cerca nei Santi uno specchio di sè stesso, una identificazione, una immedesimazione che Federico stesso ci dice debba scuotere ed eccitare.
Orbene, sì nobile e precipuo ufficio dell'arte, i nostri pittori e scultori pare non lo comprendano affatto, e quando si attentano in tale impresa appaiono inetti e falsi, come dimostreremo, e vogliono esprimere sentimenti del tutto sconvenienti, come quando, incapaci malgrado ogni sforzo dell'arte loro, di effigiare la Divina Madre dolente ai piedi della croce e il suo volto pieno di dolore, si appigliano all'artificio di rappresentarla svenuta; cosa facile a eseguirsi ma contraria alla testimonianza dei Padri. Molti ancora effigiarono gli altri Santi con espressioni per nulla convenienti alla loro santità, e così facendo peccarono gravemente contro l'autorità delle Sacre Carte e contro la tradizione. Gli Scrittori Sacri magnificarono i meriti e le virtù dei Santi; questi artisti invece ostentano e appioppano ai Santi passioni che mai non ebbero. Che se questi inetti non sapevano esprimere i sensi delle virtù, avrebbero almeno dovuto imitare l'accortezza di quell'artista greco che, non volendo fare apparire nella sua pittura un difetto degli occhi, lo soppresse e lo nascose. Non avrebbero insomma dovuto fare ciò che disperavano di poter fare; avrebbero dovuto nascondersi nel silenzio piuttosto che attribuire ai Santi quelle vergogne che a loro disonore ridondano dal linguaggio dei loro pennelli.
Vorrei pertanto che i nostri artisti o s'impegnassero ad esprimere i sentimenti o, se a ciò non valgono, manifestassero in qualche modo sforzo e dolore, come fece quell'artista antico che, diffidando di riuscire ad esprimere i sentimenti del padre nel sacrificio della figlia, ricoperse il capo di Agamennone. Questo studio porterà grandi e nobili frutti. Infatti la pietà verso Dio e i Santi, la lode, l'irritazione, il timore, il dolore e la speranza non sono se non i sentimenti destati nell'animo dalle sacre immagini, le quali si potranno dire vive ed ispiratrici quando ecciteranno le nostre menti e le scuoteranno quasi con un soffio vitale.
Possiamo a ben ragione decretare definitivamente e compiutamente aperta la grande stagione del barocco in scultura e comprendere in queste righe i presupposti teorici e ideologici che porteranno a capolavori come la decollazione di San Paolo dell'Algardi e l'Estasi di Santa Teresa o la Beata Ludovica del Bernini, che superano il verismo richiesto da Federico trasformandolo in un atto estetico e teatrale oltre il tempo e lo spazio.
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