Premessa alla storia della pasta
Cibo quotidiano per eccellenza, la pasta si gusta secondo infinite combinazioni di sapori. E' un alimento di carattere familiare piuttosto semplice e di rapida esecuzione. Questo spiega in parte il fatto che la pasta sia considerata uno dei piaceri della tavola più condivisi al mondo e le ricette disponibili sono quasi infinite, semplici o ricche ed elaborate.
Il segreto di tanto successo è legato alla sua neutralità di sapori e alla plasticità che permette infiniti tagli.
Le due grandi tradizioni mondiali sono quella cinese, che si è specializzata nella preparazione con grano tenero, da mangiare prevalentemente in brodo, tanto che la Cina è la prima produttrice al mondo di pasta istantanea, cioè pasta secca che viene cucinata direttamente con l'aggiunta di acqua bollente; l'altra grande tradizione è quella italiana, che si è specializzata nella così detta pastasciutta fatta con grano duro.
Al principio fu il grano
Il Triticum definisce l'insieme di piante che possono essere definite come GRANO, che durante il tempo l'uomo ha addomesticato tramite selezione ed incroci fin da più di 10.000 anni fa, a partire dalla mezzaluna di terra fertile tra la Palestina e l'Iran, da cui derivano anche orzo e legumi.
I primi grani di spelta minore o piccolo farro erano arrostiti e mangiati senza preparazione e, contrariamente al grano moderno (grano nudo), avevano un involucro impossibile da trebbiare.
Verso il 4000-3000 a.C. I grani vestiti erano cmq macinati e usati per impastare e formare pani grossi cotti su piastre.
Nel mondo greco-latino, secondo quanto ci riferisce Plinio il Vecchio, il farro era usato per la preparazione della “puls”, la polenta dei latini, usata per lungo tempo come alimento base di sussistenza, mentre l'”amilum” cioè amido o fecola ottenuto con una tecnica di origine greca, serviva per i dolci e la farina (già aveva questo nome) derivata dalla macinazione del grano e setacciata serviva per pani e focacce.
Dal V secolo a.C. I grani nudi più facili da lavorare presero il sopravvento e di paripasso le macine rotative; due sono i grani utilizzati, il triticum estivum, cioè il nostro grano tenero, adatto alla preparazione del pane, e il triticum durum.
Mentre il triticum estivum si produceva bene nel Nord Italia, il triticum durum o turgidum cresceva meglio al sud o in Africa del nord.
I latini quindi avevano già capito la differenza tra i due grani e le opportunità che offrivano.
Infanzia dell'arte pastaia
Già nel Medioevo il Mediterraneo era sede di fruttuoso commercio di “obra de pasta” cme veniva chiamata a Cagliari la pasta alimentare. I primi termini che ritroviamo nell'utilizzo della pasta per la tradizione moderna risalgono al Medioevo e dobbiamo sfatare la totale estraneità di Marco Polo all'avvento della pasta in Italia.
Nonostante innumerevoli studi non si può identificare l'inventore della pasta, che si è sviluppata durante i secoli e attraverso un interscambio di varie culture europee ed arabe. Nell'area mediterranea dall'antichità al Medioevo i due alimenti a base di cereali sono il pane e la focaccia cotte con calore secco e la “pappa” o polenta, cotte con acqua.
In questo periodo quindi il termine PASTA non è ancora definito né una categoria a sé.
Solamente da alcuni scritti risalenti ai secoli XIV-XV appaiono i nomi delle paste alimentari definiti in una categoria a sé, come le lasagne, gli gnocchi, i ravioli, i maccheroni e i vermicelli.
Nel Medioevo si mangiavano ma non erano categorizzati così come il Signor Jourdain nel Borghese Gentiluomo di Molière mangiava la pasta senza saperlo!
Certo nel mondo latino la forma a sfoglia era detta “lagana”, da cui deriva lasagna, ma non corrisponde alla nostra definizione di pasta.
Questo termine compare in diversi testi religiosi utilizzati anche per riti e cerimonie sia ebraiche che cristiane. In occidente, così come troviamo nel “Liber de Coquina” del XIV secolo il termine lasagna indica un pasta cotta in acqua poi condita con formaggio ritagliata in quadrati larghi 3 dita. In tutta Europa la lasagna è conosciuta in diverse regioni: abbiamo le losennes o loscynes.
Quindi a partire dal XV secolo la lasagna come la conosciamo acquista una categoria a sé come pasta cotta e si distingue dai bignè, che erano chiamati anch'essi lasagne ma erano fritti.
Nel Medioevo la pasta farcita era interpretata come una piccola torta a dimensione di un boccone con il nome didascalico tortelli (da torta) o ravioli, cotti sia in brodo che in padella. Il termine raviolo nel manoscritto di Maestro Martino nel XV secolo identifica la pasta ripiena che è più nobile tanto più la sfoglia è sottile, arrivando all'estremo della ricetta di un raviolo senza pasta.
Maestro Martino ci racconta anche dei Maccaroni alla Genovese, dei triti e dei vermicelli che appaiono proprio in Italia a partire dal XV secolo così come ci racconta anche Boccaccio di maccheroni che rotolano su pendii di parmigiano grattugiato.
I vermicelli, storia degli spaghetti
La famiglia dei vermicelli discende dal greco ITRION e nei primi trattati di cucina italiana il termine usato è TRI o TRIA come dimostra la ricetta intitolata “Tria di vermicelli” risalente al XIV secolo. In quel periodo i vermicelli o tria erano citati raramente rispetto alla lasagna mentre erano più usati nel mondo arabo, nel quale si usa anche il termine “fidaws” da cui verrà il termine “fideos” utilizzato per i vermicelli in Spagna (in Italia fidelini).
In Europa i vermicelli o fideos si diffondono nelle città a contatto con il mondo spagnolo, come Genova, Napoli, Pisa la Sicilia e la Provenza.
Pasta fresca e pasta secca
Nel Rinascimento si vede in genere una distinzione tra la pasta fresca, confezionata con grano tenero in forma di lasagna, e la pasta secca, confezionata con grano duro in forma di vermicelli. Già in questo periodo, e fino ai nostri giorni, la pasta fresca era considerata di migliore qualità rispertto a quella secca ed era preferita dagli scalchi per le mense nobiliari.
La pasta secca era relegata ad un ruolo da evenienza, era un cibo da dispensa a “lunga conservazione”, anche se già Maestro Martino ci dice che può durare anche 2 o 3 anni. La diffidenza verso la pasta secca deriva anche dal fatto che poteva essere confezionata con materie prime scadenti.
I pionieri della pasta
La Sicilia, culla della pasta secca: già dal Medioevo la produzione di ottimo frumento e la posizione nel Mediterraneo permetteva ai siciliani di commerciare in grano, farina ma anche lasagne e maccaroni di semola, così come anche la Sardegna e Napoli e Genova sono produttori di pasta realizzata perlopiù dall'importazione della farina siciliana.
Abbiamo una testimonianza del 1351 di un carico di pasta fatto da mercanti sardi di 457kg di “obra de pasta”.
La pasta secca con il Rinascimento aumenta la sua importanza nell'alimentazione dell'uomo ma in modo molto graduale e per usi particolari, in special modo perchè è un alimento utile per i viaggi marittimi.
Il prezzo della pasta secca poteva essere anche molto elevato e poteva essere addirittura il doppio di quello della carne e affiancava il biscotto (cioè pane cotto due volte) nell'alimentazione marittima perchè aveva il pregio di conservarsi a lungo così come possiamo dedurre dai conti della galera genovese Minerva nel 1562.
La bottega della pasta fresca
A partire dal Medioevo e fino al '600 i lasagnari sono una corporazione spesso associata ai cuochi in tutte le città italiane: producono pasta fresca per i loro clienti che la consumano a breve. A differenza della produzione di pasta secca, quella di pasta fresca sarà limitata sia per la tecnica di produzione che per il giro di affari. Questa produzione è cmq regolamentata per evitare frodi e prezzi troppo elevati, con regolamenti specifici in tutta Italia e la produzione deve essere autorizzata.
La produzione della pasta
Ignoriamo quali fossero i procedimenti e le istallazioni precedenti al periodo rinascimentale; a partire dalla fine del '400 vengono pubblicati volumi, in particolare il Taccuina sanitatis, in cui tavole illustrate mostrano come si produceva la pasta.
Perlopiù la produzione era propria delle donne che una stanza lavorano a mano l'impasto e dispongono i vermicelli su dei telai di legno.
La pasta nel periodo barocco
La diffusione e la produzione della pasta in epoca moderna si deve alle città già nominate, ma in particolare a Napoli, dove la tecnica di produzione attraverso la gramola e poi il torchio, il clima ideale per l'essiccazione e la tecnica di fabbricazione della stessa ha permesso la produzione di pasta di ottima qualità a prezzo contenuto.
Le ottime qualità nutritive della pasta sono entrate nell'alimentazione base dei napoletani e poi di tutti gli italiani.
Il primo passo verso una conoscenza scientifica di questa materia fu la scoperta del glutine fatta nel 1728 dal medico italiano Bartolomeo Beccari. Le sue ricerche hanno dimostrato delle proprietà analoghe a quelle della carne, cioè un alto valore nutrizionale e proteico.
In seguito si è scoperto che il grano duro è quello più ricco di glutine e più indicato per la confezione della pasta.
A differenza delle altre città europee, Napoli e poi con il tempo Genova e le altre capitali della pasta, utilizzano il grano duro sempre di miglior qualità, che risulterà per molto tempo quello proveniente principalmente dalla puglia. La qualità detta “saragolla” sarà considerata la migliore fino all'inizio dell'800, quando verrà detronizzata dai grani ucraini.
A Napoli il commercio dei cereali era regolamentato più severamente che altrove: l'annona era una magistratura incaricata nell'organizzazione, nella gestione e nel controllo dei rifornimenti alimentari.
Tra '600 e '700 Napoli è una delle città più grandi e popolose d'Europa; l'annona era amministrata dal tribunale degli Eletti in cui 6 rappresentavano le piazze nobili e il settimo la piazza del popolo. Dal 1560 l'annona fu presieduta da un magistrato nominato dal governo, noto come regio grassiero.
Questa istituzione determinava sia i prezzi di acquisto che di vendita e gli incaricati viaggiavano in tutto il regno e in particolare nei mulini di Castellamare, Gragnano, Torre Annunziata e Vietri per controllare la vendita sul mercato di farine e semole il cui prezzo era fissato dall'eletto del popolo.
I produttori di pasta erano anch'essi vincolati nei prezzi e dovevano essere autorizzati. Un bando romano del 1602 dice che i vermicellari debbano dare al compratore le robe e i prezzi suddetti sotto pena di 25 scudi e 3 tratti che era il supplizio della corda: il condannato, legato mani e piedi, subiva delle violente trazioni.
Il gusto della pasta
L’Italia è il paese che più ha esplorato il gusto della pasta, con un consumo di 28 kg annui procapite ha una lunga storia di tradizioni, ricette e moda.
Nel passato la pasta non era consumata al dente ma ben cotta, è solo da Napoli e in epoca relativamente recente che si diffonde il gusto della pasta al dente, che conserva il nerbo e che per la bocca abbia una consistenza soda, nel resto d’Italia e in Europa la pasta era consumata ben cotta e si aveva diffidenza e anche disgusta per la pasta di Napoli considerata ‘ cruda’. Solo nel 900 si è stabilizzato il menù italico come noi lo conosciamo.
In periodo rinascimentale le ricette in tutto per il consumo di pasta sono circa 120, non molte rispetto ad altre pietanze e questo lo si deve a vari fattori: i ricettari e i trattati degli scalchi sono destinati ai pochissimi che sapevano leggere e quindi prevalentemente ai nobili, alle classi alte che prediligevano pasta fresca ed altre pietanze, inoltre la pasta essendo un alimento neutro era di facile preparazione e le cose, facile e scontate non appaiono nei trattati.
Le ricette per cui sono più numerose per la pasta fresca ripiena che per la categoria dei ‘ vermicelli’ cioè la pasta asciutta o in brodo.
Bartolomeo Scappi nei suoi ricettari parla di Millefanti, una pastina in brodo che da quel momento si moltiplica nelle forme e nelle varianti grazie alla tradizione Genovese soprattutto a partire dal xviii secolo.
Il cuoco marchigiano Antonio Nebbia alla fine del XVIII secolo raccoglie le sue ricette sotto il nome di De maccaroni e gnocchi.
La pasta fresca è la più presente nei trattati e ricettari e agli inizi si descrive più la preparazione che il condimento. La pasta era fatta con grano tenero ed acqua calda, Antonio Latini, cuoco marchigiano, del 600 scalco alla corte di Napoli, prapra i tagliolini di monica con una libra di fior di farina 2 uova intere e 2 tuorli e un po’ d’acqua calda.
Vittorio Lancellotti, scalco presso il cardinale Aldobrandini, ci lascia una descrizione di uan ricetta per un banchetto del 1610: una minestrina di fogliette fatte con fior di farina, impastata con latte, pinoli, rossi d’uova, burro, serviti con latte e uova sbattute e cosparsi on parmigiano grattato.
La pasta ripiena segue il calendario liturgico, di magro nei giorni prescritti e con carne nei giorni di festa. Per lo più i tortelli sono di magro e in maggior parte fatti con erbe piuttosto che con pesce, così abbiamo: i tortelli piacentini con spinaci o mantovani con zucca che ancora oggi sono come all’epoca. Le forme sono molto varie, a forma di ferro di cavallo, a fibbia, romboidali, quadrati a caramella. Sia Martino che Scappi porpongono anche ravioli senza sfoglia, i ripieni hanno un gusto forte come all’epoca e possono contenere, cannella, e zenzero, mentre l’impasto lo zafferano che era detestato da alcuni turisti stranieri. La tradizione della pasta ripiena comunque si impone nel nord Italia, con gli anolini, i cappelletti, gli anvei etc…
La pasta secca è sdegnata da molti, è solo a Napoli la pasta secca, detta anche d’ingegno perché fatta a torchio, che grazie ai cuochi riesce ad entrare nelle grazie non solo del popolo; lo scalco Giovan Battisti Crisci all’inizio del 600 inserisce nel menù del suo signore maccaroni incavati e vermicelli d’ingegno fatti con torchio e trafila.
Il timballo
Ma era ancora poco presente finchè si diffonde il timballo che poteva esser fatto in vario modo come per esempio: maccheroni cotti in latte di mandorle zuccherato ed ambrato, con cannella, uvetta di corinto, pistacchi, scorze di limoni e salamini.
La diffusione del timballo si ha nel 700 che diventa specialità napoletana salata come lo racconta Vincenzo Corrado nel 1773: si fodera con pasta sfoglia non zuccherata e si farcisce con salsicce, funghi, prosciutto e formaggio.
Il timballo si diffonde anche in Europa in tutti i gusti e farciture c’è anche il Timballo Pompadour del tempo di Luigi XV, questo piatto deve molto alla cucina francese.
I maccheroni
I viaggiatori stranieri non capiscono il gusto italiano per un piatto così semplice e non gradiscono neppure come viene condito a volte, tuttavia le testimonianze sono molto soggettive.
I maccheroni erano abbastanza diffusi e dai resoconti capiamo che erano presenti anche nelle trattorie, Casanova ci racconta che durante un viaggio, nei pressi di bologna, arriva ad una trattoria a tarda sera e l’oste si lamenta di non aver da dar loro da mangiare, ma Giacomo va in cucina e trova burro, uova, riso formaggio e maccheroni. Il che testimonia come il maccherone fosse presente nelle cucine delle osterie come alimento di scorta.
All’epoca di Casanova erano già attive le accademie maccheroniche, dove si riunivano artisti e intellettuali e lo stesso Casanova è accolto a Chioggia e gareggia in una sfida poetica dove viene acclamato e poi dopo aver divorato una zuppiera di pasta eletto principe dei Maccheroni.
La diffusione nel settecento arriva anche in trentino mentre a Napoli è talmente popolare che si vende a poco costo in strada. Molti viaggiatori descrivono come i napoletani la comprano per strada fumante su un asse di legno e con ineguagliabile maestria la mangiano attorcigliandola sulle dita.
Anche pulcinella entra in questo mito e in un racconto, dove viene fatto re, sapendo di non poter più mangiare maccaroni dice: mo, mo me devo sprincipizzare.
Come si mangiava la pasta
La pasta per molto tempo era condita per lo più con formaggio, meglio se stagionato, con pepe e cannella; veniva condito anche con burro per chi poteva come Casanova che ci racconta di mangiarli al burro con parmigiano grattugiato.
All’inizio del 500 lo zucchero va di moda e lo si mette in tutto, come la cannella, ravioli di carne vengono preparati con zucchero. Messisbugo prepara anche maccheroni con zucchero e formaggio grattugiato.
Per la cucina di tutti i giorni e per i giorni speciali i cuochi si ingegnao in ogni modo con ricette non dissimile alle nostre anche se per esempio le pappardelle alla lepre sono cotte in brodo e sangue di lepre. Ogni paese ha le sue usanze e tradizioni.
La prima ricetta di pasta al pesto salvo errori è stata pubblicata nel 1863 ma la sua tradizione è lunga e risale al medio evo e legata all’aera ligure.
Una testimonianza poetica barocca
Poema:“Della discendenza e nobiltà dei maccaroni” di Francesco Delemene, poeta lodigiano della seconda metà del '600.
Lo compose nel 1654, a soli 20 anni, ed ebbe grande successo. E' una testimonianza interessante delle tipologie di pasta note nel nord Italia alla metà del '600 e testimonia come, per essere oggetto di satira, la pasta fosse già un alimento diffuso, consolidato e ben presente nella quotidianità e nell'immaginario di tutti (o meglio di quella minoranza che sapeva leggere ed era destinataria di tale poemetto).
Eccone alcune ottave:
Cari Signor, se mi darete udienza,
Con dolcissimo stil vi farò noti
I Maccaroni, e la lor discendenza,
Risavi, Avi, Nepoti, e Pronepoti,
Che a quelli che non han la sperienza,
So che saran senz'alcun dubbio ignoti,
Or qua grati Signor tutti vi chiamo
A sentir l'alta istoria. Incominciamo.
Apre la commun Madre, idest la Terra,
Il Villano, e vi getta il seme drento,
Con la virtù feconda essa l'afferra,
E in nove mesi genera Frumento.
Questo si perfeziona, e poi si serra
Sotto una mola con suo gran tormento,
Qui si frange, e nella sua ruina
Ei si corrompe, e genera Farina
Questa è quell'alta Donna, e gloriosa,
Di cui vola il gran nome ad ambi i Poli
Questa vanta una serie numerosa
Di nepoti e magnanimi figliuoli.
Traggon da lei l'origine famosa
Maccaroni, Lasagne e Ravioli
E ciò che di più caro all'altrui mensa
Stagiona il Coco, ed il Fornar dispensa.
Quando la buona Pasta con suo gusto
A provare Canella incominciò,
Il corpo suo, prima ristretto e angusto
Posto sotto il marito dilatò,
E con sembiante veramente augusto
Due bellissime figlie procreò,
Ambedue di beltà tutta perfetta
Una Polenta, una Lasagna detta.
Signori se fra voi persona alcuna
Del fin de la Polenta mi richiede:
In certa di buttir grassa laguna
S'affogò, ne lasciò pur un'erede.
Gloriosa Lasagna a te fortuna
Una prole bellissima concede,
Una bella figliola e un bel figliolo,
La figlia Torta, e 'l figlio Raviolo.
Questa linea è finita; all'altra vegno
Ch'è la più gloriosa e memoranda,
Prese il terzo marito eroico e degno
Vedova Pasta, e Torchio si dimanda.
Posta sotto di lui dal ventre pregno
Un figlio (oh che gran figlio) in luce manda;
È quasi Maccarone il fortunato,
L 'inclito, il sempre magno, e prelibato.
Maccaron, per cantar i tuoi gran vanti
Io non ho stile al gran soggetto eguale,
Né fra vati moderni alcun si vanti,
Con nostra confusion, d'averlo tale;
Degno tu sei, che solo di te canti
Quel che con tromba eroica ed immortale
Cantò l'armi pietose, e'l Capitano,
Sia Bergamasco o sia Napolitano.
Questi de Maccaron son vanti egregi:
Aver la Patria incerta, ignoto il nome
Ma per lodare a pieno i tuoi gran pregi
Come avrò lena, o Maccarone, e come
Il tuo nome immortal ornar di fregi
Al mio debole stil son gravi some
Non di lodarti a pieno avrò ardimento
S'avessi, e cento bocche, e lingue cento.
Al nostro Eroe, quand'era giovinetto
Di gir vagando venne in fantasia
Chè di pellegrinare ebbe diletto
Per questa errando, ed or per quella via,
A caso un giorno capitò soletto
Nel bel sen nel bel cor di Lombardia,
Di Lodi io voglio dir nella Campagna
Che della bella Italia è la Cucagna.
Qua trovò due fratelli, quai repente
In amistà con lui stretti s'uniro
Questi fratei dall'Italiana gente
Son chiamati un Formaggio, ed un Buttiro.
Congiunti poscia insieme eternamente
Uniti ster né mai si disuniro.
E sempre fu veduto il caro stuolo
(Bel Gerion)* far di tre corpi un solo