Nel 1743 il filosofo francese Diderot propose all’editore Le Breton di pubblicare una Enciclopedia che raccogliesse tutto il sapere umano e lo spiegasse in un linguaggio chiaro e accessibile a tutti.
L’idea non era nuova: l’Enciclopedia, anzi la Cyclopoedia di un certo Ephraim Chambers, esisteva già in lingua inglese e lo stesso editore Le Breton ne era alle prese con la traduzione, cui attendevano anche Diderot e D’Alembert. Diderot però la trovava superata e piena di lacune ed ebbe l’idea di compilarne una nuova ed aggiornata.
Le Breton all’inizio esitò perché secondo i suoi calcoli l’impresa sarebbe costata due milioni di lire, una somma per quei tempi improponibile. Occorreva dunque l’appoggio del governo e la certezza di una clientela e Diderot in quel periodo era il meno indicato a fornire tali garanzie: era stato arrestato per un suo libello contro l’ordine costituito. Quando venne rilasciato però, si dedicò da subito al suo progetto con un tale ardore che tutti i dubbi furono spazzati via. Il piano dell’opera convinse i lettori che sottoscrissero le 280 lire richieste per i dieci volumi che sarebbero usciti in due anni. Nacque così l’Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, par une société de gens de lettres, un’opera che per la sua importanza storica, resta tuttora l’enciclopedia per antonomasia.
Il primo volume apparve nel giugno del 1751. D’Alembert lo apriva con un discorso che riassumeva il piano dell’opera.
Contro la religione non c’erano attacchi diretti, anzi nella prefazione si sottolineava che le voci relative a Gesù, al Cristianesimo, all’Ateismo, ecc. erano state affidate alla penna dei sacerdoti. Ma ciò non alterò lo spirito dell’opera, razionale ad anticlericale. La voce “Cronologia sacra” metteva in ridicolo senza pietà le contraddizioni dei testi sacri. I grandi padri del libero pensiero come Francesco Bacone e Cartesio erano gli autori più citati. A Giordano Bruno era stato dedicato un inno, perfino esagerato. In tutta l’opera c’era la mano di queifilosofi che avevano il sogno di sostituire la scienza alla religione.
L’Enciclopedia ebbe molte avventure editoriali. Ad un certo punto sembrò che il governo intendesse mandare al macero l’opera e in galera i suoi autori. Voltaire cercò di convincere Diderot a traferirsi a Berlino per continuare lì le pubblicazioni. Ma il filoso non si arrese ed il suo coraggio fu premiato. Madame de Pompadour, grande amica e protettrice dei filosofi, convinse i ministri ad ignorare l’opera e le reazioni che aveva suscitato. Ciò non fu difficile anche perché la marchesa aveva pieno appoggio nel ministro Choiseul. Nel salotto della Pompadour c’era un po’ di tutto: il ricco Gournay, grande proprietario terriero che si era dato alla medicina, divenuto medico curante della padrona di casa e dello stesso re Luigi XV; c’era Mirabeau che non fu solo il padre di un figlio destinato ad una fama più grande della sua, ma anche un pittoresco e vulcanico personaggio, dissoluto e geniale; c’era Diderot, Buffon, Helvétius, Duclos e tanti altri che oggi sono considerati precursori della Rivoluzione.
Tra i collaboratori dell’Enciclopedia si ricordano Quesnay e Turgot per l’economia; Buffon per la storia naturale, Rousseau per la musica; La Condamine e D’Alembert per le scienze fisiche e matematiche;d’Holbach per la chimica e la mineralogia. Costoro con Condillac, Helvétius, Morellet, Raynal, Voltaire,Grimm, formarono il gruppo detto degli Enciclopedisti. Molti di questi però si allontanarono quando cominciò la persecuzione e la maggior parte del lavoro gravò allora sulle spalle di Diderot, del Cavaliere L. de Jaucourte di moltissimi altri oscuri compilatori.
L’Enciclopedia fu un colpo tremendo per il Vecchio Regime. Era, come dice Durant, “la rivoluzione prima della Rivoluzione”. E non sappiamo se più ammirare Luigi XV e i suoi ministri per la loro tolleranza o per la loro miopia.
L’Enciclopedia era in realtà piena di inesattezze e i Gesuiti non persero tempo a denunziarli, rilevando dozzine di svarioni ed omissioni; di dati arbitrari, di negligenze e persino di plagi. Sottolinearono la semplicità di certi argomenti e la mancanza di conoscenze storiche da parte dei compilatori e dello stesso Diderot.
Le loro critiche erano fondate ma avevano perso di vista il senso di tutta l’opera. Fino ad allora la cultura era rimasta chiusa nelle Accademie; la sua liberazione dai vincoli che la tenevano asservita al potere politico ed economico si deve all’Enciclopedia. L’intellettuale non doveva più rivolgersi ai signori. Il suo padrone era solo il lettore. Così la cultura potè fare a meno del potere e il potere perse il puntello della cultura. Questo fu il grande risultato dell’Enciclopedia che divenne la voce dei nuovi ceti e delle loro aspirazioni. In ciò non vi è traccia di democrazia né di socialismo perché i filosofi non erano orientati in questo senso. Un po’ per convinzione ma anche per prudenza essi si proponevano di realizzare le loro idee e le loro rivoluzioni servendosi della monarchia. I loro modelli erano i sovrani illuminati come Federico il Grande e Giuseppe II che valendosi del potere assoluto mettevano in opera riforme creando un nuovo ordine.
I filosofi volevano la scienza al posto della religione. Volevano la tecnica e il progresso economico e il cambio della guardia tra la vecchia aristocrazia terriera e i nuovi ceti.
L’Enciclopedia ebbe un grande successo anche in Italia, anzi enorme tenuto conto del fatto che nel nostro paese la cultura seguitava ad essere privilegio esclusivo delle Accademie e asservita al potere politico ed economico. Gli italiani assimilarono dell’Enciclopedia quel che poterono, cioè solo ciò che non poteva essere pericoloso per il potere. Gli Stati che si dimostarono più aperti furono quelli dominati dall’Austria il cui governo “illuminato” si ritrovò in linea con le idee degli enciclopedisti.