L’importanza di Grozio ( Olanda 1583 - 1645) nella storia della giurisprudenza non si fonda su una dottrina dello stato o su altro ch’egli avesse da dire circa la legge costituzionale, ma sulla sua concezione di una legge che regola i rapporti tra gli stati sovrani. Il sorgere delle monarchie assolute e l’accettazione più o meno franca di una concezione machiavellica delle loro relazioni, faceva arbitra dei rapporti tra gli stati la forza. A questo fatto si devono aggiungere gli effetti delle guerre religiose che seguirono alla Riforma e che portarono nelle relazioni internazionali tutta l’amarezza intrinseca del religioso, dando il colore della buona coscienza ai più sfrontati progetti d’ingrandimento dinastico. Dietro alle ambizioni politiche dichiarate c’erano poi quelle economiche che conducevano le nazioni dell’Europa occidentale sulla via dell’espansione coloniale, dello sviluppo commerciale e allo sfruttamento dei territori recentemente scoperti. Erano molti i fatti che autorizzavano Grozio a credere che il benessere dell’umanità richiedesse una trattazione comprensiva sistemica delle norme che regolano i rapporti internazionali.
Grozio nel trattare di diritto internazionale e per via secondaria di diritto naturale si rifà alla tradizione precristiana, della legge naturale, che poteva trovare negli scrittori dell’antichità classica. Perciò, come aveva fatto prima di lui Cicerone, preferì porre sotto la forma di un dibattito con Carneade il suo esame dei principi giusnaturalistici.
La confutazione della giustizia naturale di Carneade si fondava sul l’argomento che la condotta umana è guidata sempre dall’interesse personale e che di conseguenza la legge non è che una convenzione sociale, generalmente benefica, che non si fonda sulla giustizia ma sulla prudenza. Per Grozio un siffatto richiamo all’utilità è in sé ambiguo, giacché gli uomini sono istintivamente esseri sociali. Come risultato, il mantenimento della società stessa è una utilità maggiore, che non è misurata da nessun beneficio particolare che ne venga agli individui.
L’uomo è un animale di specie superiore, fra i quali tratti distintivi c’è un desiderio impellente della vita sociale pacifica e conforme alla misura della sua intelligenza, insieme a coloro che appartengono alla sua stessa specie.
Questo mantenimento dell’ordine sociale è la fonte della legge di natura. A questa sfera di legge appartiene l’astenersi da ciò che è di altri; la restituzione di ciò che possiamo eventualmente avere tolto ad altri, con tutti i guadagni che possiamo averne tratti; l’obbligo di mantenere le promesse, di riparare a una perdita avvenuta per colpa nostra e l’applicazione di penalità a ciascuno secondo il suo merito.
Essendo la natura umana quella che è, ci sono quindi certe condizioni o valori elementari che devono essere realizzati, perchè una società ordinata possa persistere. Specifici valori sono soprattutto la sicurezza degli averi, la buona fede, la probità e un accordo generale tra le conseguenze della condotta degli uomini e ciò ch’essi meritano.
La legge naturale
La legge naturale dà origine alla legge positiva degli stati, che fonda la sua validità sui principi fondamentali di tutti gli obblighi sociali e specialmente su quello della buona fede nel mantenimento dei patti. Infatti coloro che si sono associati con certi gruppi o che si sono sottomessi a un uomo o a più uomini, o hanno promesso esplicitamente o dalla natura della transazione, si deve intendere che abbiano implicitamente promesso di con formarsi a ciò che nell’un caso sarebbe stato determinato dalla maggioranza, nell’altro da coloro cui è stata conferita l’autorità.
Grozio riteneva che entro questa inquadratura della legge naturale ci fosse posto per considerazioni di utilità che possono variare da popolo a popolo ed anche dettare le prassi che tendono al vantaggio di tutte le nazioni nei loro rapporti internazionali.
Così Grozio definiva così la legge naturale: La legge naturale è un dettame della giusta ragione, che dimostra che un atto, a seconda che è o non è conforme alla natura razionale, ha in sè bassezza o necessità morale; e che un atto siffatto è quindi proibito o imposto dall’autore della natura, Dio.
Il contratto e il consenso individuale
La teoria politica fondata sulla legge naturale conteneva necessariamente due elementi: il contratto, per cui una società o un governo vengono ad esistere; e lo stato di natura, che esisteva prescindendo dal contratto. Questo si applica a due casi importanti: le relazioni reciproche degli individui privati e le relazioni tra stati sovrani. Gli accordi di queste due specie di parti contraenti davano origine nell’un caso alla legge municipale e nell’altro alla legge internazionale, soggette entrambe ai principi generali della legge di natura. Sia la legge municipale che la legge internazionale derivano dall’accordo: entrambe vincolano perchè autoimposte. L’idea che il governo dipendesse da un patto tra reggitore e popolo era antica: il popolo o la comunità figuravano come un complesso corporativo. Con la dottrina della legge naturale era necessaria però una spiegazione, la più semplice consisteva nel supporre due contratti, uno con cui si produceva la comunità stéssa ed uno tra la comunità così formata e i governanti. Così l’idea del contratto fu fatta entrare in una dottrina universale che abbracciava tutte le forme d’obbligo e tutte le forme di raggruppamento sociale.
La dottrina insisteva sul fatto che legge e governo cadono nel campo generale della morale; essi non sono pure espressioni di forza, ma sono propriamente soggetti alla critica etica. Perciò in complesso la teoria propendeva generalmente verso il liberalismo politico.
Per i più illuminati uomini del diciassettesimo secolo l'esigenza e l'obbligo del contratto era cosa fondamentale poiché in nessun secolo precedente o posteriore ci fu un distacco così cosciente dal passato o uno sforzo così risoluto per riconquistare la libertà dalla manomorta della consuetudine e della tradizione. La fiducia che questa età aveva in se stessa, giustificata dai successi nella fisica e nella matematicane fecero il periodo più eminente dell’età moderna dal punto di vista intellettuale. Per il momento la borghesia stava dalla parte del liberalismo, del cosmopolitismo, dell’illuminismo e dell’individualismo.
L’individuo è anche il cittadino o il suddito. La teoria della legge naturale credeva che questo fosse deducibile dalla sua natura individuale; ciò era certo, ma non evidente. L’ordine di certezza supposto era significativo. Per le dottrine della legge naturale, e più specialmente dopo Hobbes, la qualità di membro esigeva spiegazione. La società è fatta per l’uomo, non l’uomo per la società; l’umanità, come disse Kant, deve sempre essere considerata come un fine e non come un mezzo. L’individuo viene prima tanto logicamente quanto eticamente.
Ai filosofi, del diciassettesimo secolo i rapporti apparivano sempre più deboli delle sostanze; l’uomo era la sostanza, la società il rapporto. Fu questa supposta priorità dell’individuo che diventò il carattere più marcato e più persistente nella dottrina della legge naturale e che contraddistinse lo dottrina moderna da quella medievale. Sviluppata in modo speciale da Hobbes e da Locke, essa divenne una caratteristica universale della teoria sociale fino alla rivoluzione francese e si mantenne tale molto oltre questa data. Persistette inoltre come un presupposto nella scuola di Bentham, molto tempo dopo che David Hume ebbe distrutto la metodologia dei diritti naturali.