Perché nasce l’inquisizione
Prima di affrontare la storia dell’Inquisizione nei secoli XVII e XVIII, con i famigerati processi a Giordano Bruno e Galileo, il Sant’Uffizio, l’Inquisizione protestante e i processi alle streghe, è il caso di fare una premessa per comprendere i motivi per i quali un’istituzione di questo genere è nata.
Quando il Cristianesimo diviene la religione ufficiale dell’Impero Romano, gli imperatori si sentono in dovere di reprimere l’eresia anche con la morte, perché vedono nell’eretico il sovversore dell’ordine costituito. D’altra parte, anche le prime grandi persecuzioni contro i cristiani erano state scatenate proprio dall’atteggiamento degli eretici montanisti nei confronti dello Stato. I montanisti rifiutavano di prestare obbedienza all’autorità romana e di servire nell’esercito, al contrario dei cristiani ortodossi che erano presenti nell’esercito e ricoprivano anche alte cariche pubbliche. L’eresia montanista aveva dato luogo a diverse rivolte armate contro le autorità, per cui gli imperatori pagani avevano finito per fare di tutta l’erba un fascio e avevano preso a perseguitare tutti gli adepti di quella che veniva considerata una delle tante sette dell’impero, senza fare distinzioni tra i montanisti e gli altri.
Allo stesso modo, la repressione degli imperatori cristiani nel IV e V secolo s’indirizza verso gli eretici per i motivi già detti. La Chiesa non si oppone alle sanzioni emanate dal potere civile, ma si dichiara contraria alla loro messa a morte, perché Dio ne attendeva la sempre possibile conversione. Dal VI fino al X secolo gli eretici sostengono deviazioni di contenuto esclusivamente teologico sulle quali si scatenano aspre dispute, che però rimangono per lo più verbali; così, per secoli essi vengono sostanzialmente lasciati in pace. Le cose cambiano quando insorgono le eresie a carattere popolare, nelle quali dalla disputa dottrinaria si passa alla critica eversiva dell’aspetto politico-sociale-istituzionale: la cristianità medioevale si sente minacciata più da queste eresie che dallo scontro con l’Islam.
Catari, patarini, dolciniani, e mille altri ancora: queste eresie sono veri e propri movimenti anarcoidi contro il potere politico e la società civile. Questa interviene contro le esplosioni di fanatismo applicando le sue leggi, che all’epoca prevedono punizioni quasi esclusivamente corporali: il carcere come pena sarà inventato dalla Chiesa, e all’inizio sarà una sanzione ecclesiastica applicabile solo ai chierici.
Un classico esempio della natura anarcoide e rivoluzionaria dei movimenti ereticali è il catarismo. Albigesi, bulgari, tessitori, patari: sono tutti nomi dati allo stesso fenomeno, e testimoniano l’enorme diffusione geografica della setta. I suoi adepti non disdegnano alleanze persino con i musulmani pur di colpire la cristianità, e sono penetrati profondamente in tutti gli strati sociali. Anche diversi principi e signori simpatizzano per la setta, o la proteggono per avversione al clero (siamo nell’epoca della lotta per le investiture).
Il fascino esercitato dai catari sulla gente semplice è dovuto più che altro alla loro austerità di vita. Digiunano, non toccano vino né carne, praticano la castità e la povertà assolute. Hanno una dottrina di tipo manicheo, credono cioè in due divinità: una buona, l’altra malvagia. Quest’ultima è responsabile della creazione del mondo, per cui i catari credono che bisogna sottrarsi alla tirannia della materia e s’impongono il divieto assoluto di generare figli, per non perpetuare il peccato originale. Gli adepti devono consegnare tutti i loro beni ai “perfetti” e rifiutare ogni servizio al mondo: vietato obbedire alle autorità, impugnare le armi, prestare giuramento. L’unico sacramento ammesso dai catari è il cosiddetto consolamentum, che può essere impartito una sola volta nella vita; chi ricade nel peccato dopo averlo ricevuto, non ha più nessuna speranza di salvezza. I “perfetti” possono però consentirsi ogni eccesso, perché ritenuti ormai al di sopra del peccato. Il divieto di procreazione (che, se generalizzato, avrebbe significato l’estinzione del genere umano) finisce talvolta nella pratica della sodomia. Chi riceve il consolamentum spesso si suicida o viene ucciso subito dopo, per evitare che ricada nel peccato (la cosiddetta “endura”), e a farne le spese sono soprattutto i malati e i bambini. I furti, gli omicidi e le rapine sono incoraggiati, perché ogni realtà materiale è partecipe del male. I capi della setta, continuamente itineranti, sono pressoché imprendibili: nelle maglie della giustizia, o nell’ira popolare, incappano quasi sempre sprovveduti adepti.
Insomma il catarismo, lungi dall’essere una semplice manifestazione della libertà di pensiero, è la teorizzazione della violenza e dell’anarchia, nonché la condanna senza appello di ogni sforzo teso a migliorare le condizioni materiali di vita.
Gli eretici dell’epoca finiscono spesso impiccati e bruciati direttamente dal popolo, linciati, o processati sommariamente da principi e signori feudali. Siccome questi ultimi sono interessati più alla confisca dei beni del reo che alla volontà di giustizia, capita che a volte ne facciano le spese persone totalmente immuni da eresia. Accade anche che qualcuno venga accusato falsamente da vicini invidiosi, o che si faccia eretico perché nel suo villaggio lo sono tutti, e ne teme i soprusi. Altri cadono in errore per ignoranza, e in questo caso il giudice civile non ha la competenza teologica necessaria per stabilire esattamente il confine tra ortodossia ed eresia.
Per tutti questi motivi la Chiesa decide di istituire il tribunale dell’Inquisizione. Solo gli ecclesiastici possono stabilire con certezza chi sia davvero eretico, garantirgli un formale processo e persuaderlo, se possibile, a rientrare nella Chiesa. L’eretico pentito, infatti, riceve solo sanzioni spirituali; viene consegnato all’autorità civile solo se ha commesso qualche reato.
Dopo alcuni tentativi andati a vuoto, la data ufficiale di nascita dell’Inquisizione è il 1233, anno in cui papa Gregorio IX ne investe formalmente l’Ordine domenicano. L’Inquisitore da questo momento in poi non è più un semplice predicatore, ma un vero giudice, permanente e stabile. A far decidere il Pontefice è l’atteggiamento di Federico II di Svevia, al quale si deve l’introduzione ufficiale del rogo per gli eretici: l’imperatore, scomunicato più volte, era notoriamente interessato più alla confisca dei beni degli eretici che alla salvezza delle loro anime; il Papa decreta che il presunto eretico sia sottratto alla giustizia civile e sottoposto all’Inquisizione, la sola legittimata ad agire in materia di fede. Ai Domenicani vengono presto affiancati i Francescani, di recente istituzione. La preparazione teologica dei due Ordini e la povertà autenticamente vissuta ne garantiscono immediatamente l’immensa popolarità: il frate non è nativo dei luoghi dove va a predicare, né è possibile che sia attratto dalla cupidigia dei beni da confiscare visto che è legato al voto di povertà.
La procedura inquisitoriale
L’inquisitore deve essere esperto di diritto e di teologia, essere di notoria santità di vita e avere più di quarant'anni. Quest'ultimo requisito è importante, considerando che si diventava vescovi a un’età molto inferiore.
L'inquisitore risponde direttamente e solo al Papa. E’ competente a giudicare i soli battezzati, per cui gli ebrei e i musulmani sono fuori della sua giurisdizione. Il che è ovvio: un tribunale della fede può giudicare solo i fedeli.
Il giudice è affiancato da un confratello, di pari requisiti. Non può emanare sentenze prima di aver ascoltato il vescovo locale e il collegio dei boni viri. Questi formano una vera e propria giuria, cosa che costituisce una novità assoluta per quei tempi. I boni viri sono scelti tra gli esperti di diritto, chierici o laici, in numero variabile. Sono tenuti al segreto e viene loro taciuto il nome dell’imputato.
C’è poi il notaio, che svolge le mansioni di cancelliere e ha l’obbligo di mettere per iscritto tutte le fasi della procedura, le deposizioni e le testimonianze. Altra cosa assolutamente nuova per quei tempi.
Gli imputati possono ricusare i testimoni se dimostrano che questi hanno qualche motivo per essere malevoli nei loro confronti. L’inquisitore non può giudicare un imputato, nel caso in cui quest’ultimo gli abbia nuociuto in passato.
L’imputato ha diritto a un avvocato, e i testimoni che lo accusano devono essere almeno tre. Le testimonianze di gente notoriamente malfamata vengono considerate nulle. Inoltre, l’Inquisitore ha sempre presente il rischio di incorrere in gravissime responsabilità perché l’imputato può sempre appellarsi al Papa. E’ un rischio tutt’altro che teorico: diversi inquisitori sono finiti in carcere a causa della loro severità eccessiva. Emblematico il caso di Roberto il Bulgaro, Inquisitore Generale, rimosso dall’incarico e severamente punito perché si era dedicato a estirpare l’eresia catara con una durezza che dal Papa venne giudicata abnorme.
Le pene inflitte
La stragrande maggioranza delle pene è di tipo spirituale: pellegrinaggi, penitenze, preghiere. I più facoltosi possono essere condannati a elargire somme di denaro a enti di beneficenza. Se all’eresia è connesso qualche reato, interviene il braccio secolare.
Il carcere dell’Inquisizione è molto diverso dal nostro. Le espressioni latine che si trovano nei documenti (“carcere perpetuo”, “prigione irremissibile”) significano in realtà un periodo di detenzione dai cinque agli otto anni, da scontarsi spesso in convento o addirittura a casa propria. Agli arresti domiciliari sarà messo Galileo.
Due parole sulla tortura: questa è una pratica diffusissima nei tribunali secolari del Medioevo, in concomitanza col rifiorire degli studi di diritto romano che ne faceva abbondante uso, soprattutto nei confronti degli schiavi e per delitti particolarmente gravi. Al contrario, dalle fonti emerge che la tortura viene raramente adoperata dall’Inquisizione, e che gli Inquisitori non nutrono alcuna fiducia nelle confessioni estorte in questo modo, perché quasi mai veritiere.
Le pene comminate dai tribunali civili sono, all'opposto, veramente inumane. Specialmente nell’età dell'assolutismo, il condannato viene torturato in più modi anche mentre è condotto al patibolo.
E’ interessante citare un aneddoto, simpatico quanto autentico, perché risale al 1778, quindi a un’epoca che ci interessa maggiormente. Pablo de Olavide, intellettuale illuminista, viene condannato dall’Inquisizione spagnola al “carcere perpetuo”, cioè a otto anni di convento. Dopo qualche giorno il detenuto comincia a protestarsi malato e chiede di essere inviato alle terme, in Castiglia. Subito accontentato, continua a lamentarsi perché le cure sono insufficienti. Viene quindi trasferito ad altri bagni termali in Catalogna, vicino al confine. L’Olavide non tarda a fuggire in Francia, dove viene accolto come “martire” dell’Inquisizione. In Francia terminerà la sua esistenza, dopo aver visto il Terrore rivoluzionario, scrivendo in difesa della religione. E’ interessante anche notare che sempre in Spagna, sul finire del ‘700, l’abolizione della “Suprema” suscita un numero impressionante di petizioni popolari che chiedono il suo ripristino.
Inquisizione e stregoneria
La Chiesa ha sempre considerato magia, sortilegi e negromanzia nient’altro che pratiche superstiziose. Per il peccato di superstizione sono competenti esclusivamente il vescovo e il confessore (così come per gli altri peccati). L’Inquisizione si occupa di questa materia soltanto se le pratiche ad essa legate lasciano sospettare eresie. Parallelamente, anche l’autorità civile punisce le pratiche magiche solo se comportano reati veri e propri.
La diffusione della stregoneria nel Medioevo è stata esagerata da una certa letteratura moderna. E’ proprio la dottrina cristiana in sé a fare da barriera alle superstizioni: a differenza del paganesimo panteista, che popola il mondo e la natura di mille divinità, ora malvagie ora benefiche, l’annunzio che tutta la creazione è sotto l’imperio del Dio unico nonché Padre buono dissolve l’incubo delle potenze oscure operanti a danno dell’umanità. Non a caso Cristo dice di essere “luce” del mondo, e non a caso sono proprio le epoche di maggior indebolimento dei valori cristiani a registrare il riaffiorare delle vecchie superstizioni, il ritorno a pratiche magico-esoteriche, al determinismo astrologico e alle suggestioni del demoniaco. E infatti, la “caccia alle streghe” non esplode nel Medioevo bensì nel Rinascimento (che è anche il secolo della rinascita dell’astrologia) e continua fino all’epoca illuminista compresa.
L'inquisizione romana
La bolla papale Licet ab initio del 15 Luglio 1542, con cui papa Paolo III Farnese istituisce la congregazione cardinalizia del Santo Uffizio dell'Inquisizione, segna l'inizio della storia di quella che viene chiamata Inquisizione romana. Il nome s'impone per distinguerla dall'Inquisizione spagnola, e la distinzione ha la sua importanza in una situazione come quella italiana, dove dal 1530 la presenza massiccia della monarchia spagnola a nord e a sud della penisola comporta la minaccia ricorrente dell'introduzione di quel temuto tribunale. Con la bolla di Paolo III si conferiscono poteri eccezionali a un gruppo di cardinali per procedere contro gli eretici, i loro fautori e seguaci. Non si possono opporre privilegi o esenzioni di alcun tipo: anche il clero secolare e regolare non può sottrarsi all'azione inquisitoria dei cardinali deputati. Il papa, per sua parte, si riserva i giudizi di assoluzione e riconciliazione. La misura, benché severissima, è concepita come temporanea. Nella bolla risulta avere un compito transitorio: è il Concilio a dover risolvere i problemi della Chiesa. Solo perché nell'immediato futuro il Concilio non e' convocabile, a causa della guerra aperta in Germania, si dispongono di misure di polizia destinate a tutelare la fede dagli attacchi dell'eresia. Appare evidente a tutti la volonta' dura e aggressiva con cui a Roma si vogliono fare i conti con i partigiani della Riforma Protestante: chi tiene ancora il piede in due staffe, come il popolarissimo generale dei cappuccini fra Bernardino Ochino, si rende conto che e' il momento delle scelte a viso aperto e abbandona senza indugio l'Italia cattolica.
Il Sant'Uffizio, sulla carta, dovrebbe controllare tutta la Chiesa Cattolica senza esclusione di Stati o territori, ma di fatto opera soprattutto nella penisola italiana, e più precisamente nello Stato Pontificio e nei piccoli regni e ducati politicamente meno forti e autonomi. Già Venezia la limita e la ostacola, mentre al di fuori dell'Italia praticamente non può operare, trovando sulla sua strada un avversario insuperabile: lo Stato moderno con le sue pretese gallicane di controllo della Chiesa.
Studiando la struttura dell'inquisizione romana, John Tedeschi sottolinea l'incredibile modernità delle procedure adottate. Qualche esempio eloquente: il diritto dell'imputato ad avere un avvocato difensore, scelto fra tre da lui proposti; l' "avvocato d'ufficio" pagato dal tribunale per chi versa in condizioni di povertà; la traduzione degli atti processuali in volgare e la loro fornitura in copia all'inquisito, perché possa difendersi studiando bene i documenti d'accusa; la prudenza estrema nell'arrestare e nel carcerare; la clemenza verso chi si denunciava spontaneamente; la severità incredibile nel vagliare e scartare le testimonianze accusatorie; la possibilità di contestare e controinterrogare i testimoni dell'accusa.
Sono tutte norme che il diritto penale secolare introdurrà molto tempo dopo, e che la laica e liberale Inghilterra, ad esempio, incomincerà ad adottare solo nei primi decenni dell'Ottocento. Infine, si possono menzionare le condizioni carcerarie quasi confortevoli: è una tesi ben dimostrata da Luigi Firpo, che ricorda il cambio delle lenzuola ogni settimana, la possibilità di avere vino o birra, la fornitura di capi di vestiario, celle abbastanza spaziose e luminose, libri e testi utili a difendersi e a redigere memorie a propria discolpa.
A conferma di questo quadro c’è un dato poco citato dai manuali di storia: dal 1542 al 1761 le condanne a morte emesse dal Sant'Uffizio sono state presumibilmente 97. Una media di un condannato a morte ogni 26 mesi. Un dato sorprendente, se teniamo conto che, ad esempio, nella “Repubblica dei Santi” fondata a Ginevra da Calvino sono state messe a morte una sessantina di persone in un arco di tempo di soli 20 anni.
L’Inquisizione protestante
L’inquisizione romana ha le sue vittime famose: Giordano Bruno (arso sul rogo) e Galileo (condannato agli arresti domiciliari). A questo punto, è il caso di dare un’occhiata all’Inquisizione protestante.
In Inghilterra, i “papisti” – così sono chiamati i cattolici – vengono impiccati e arsi. L’ultimo viene bruciato nel 1696, e la discriminazione civile prosegue fino alla prima metà dell’Ottocento. In Germania, i contadini trucidati vengono allineati lungo le strade a monito contro ogni tentativo di emancipazione sociale. A Munster, gli anabattisti di Giovanni da Leyda arrivano al cannibalismo sotto l’influsso delle “profezie” del loro capo. In Francia, gli ugonotti (vittime poi a loro volta della cupidigia di Luigi XIV di compiacere il Papa cattolico romano) si rendono responsabili di massacri inauditi. Quanto al regime teocratico di Ginevra, in poco più di 20 anni Calvino manda a morte una sessantina di persone per bestemmia, idolatria e adulterio. Squadre di “santi” ispezionano le case, fustigando gli oziosi e arrestando i peccatori. Un fanciullo di 10 anni viene decapitato perché ha percosso i genitori. Il medico e letterato Michele Serveto viene arso vivo perché ha modificato per sbaglio una parola del simbolo di fede redatto da Calvino. I processi per stregoneria del Massachussets sono altrettanto famosi. Rotta la comunione con Roma, e di conseguenza l’unità di dottrina che l’Inquisizione cattolica aveva preservato per secoli, le “Chiese cristiane” si moltiplicano a dismisura scindendosi, separandosi e inquisendosi l’un l’altra. I sociologi della religione hanno rilevato giustamente che questa moltiplicazione in gruppi e sètte che si proclamano uniche depositarie della verità ha aperto la via allo scetticismo e all’incredulità, nonché al materialismo e a tutte le filosofie che vi si sono ispirate.
Una visione politica e sociale
L'inquisizione fu senza dubbio un espressione malvagia dello stato nell'atto di affermare il suo dominio sugli uomini in senso religioso. Fortezza dello stato è l'unità di agire e di intenti, di rilegare le persone attorno ad un unico fine. La religione nei tempi antichi aveva questa fuzione di dare un fine alla vita di tutti attraverso una morale. Il più forte ha imposto la sua religione o ne ha inventata o deformata un'altra per dare al popolo un credo. Non è quindi possibile metter sullo stesso piano il tribunale di inqisizione e il tribunale comune perchè i fini son diversi. La mitezza dei tribunali cattolici conta proprio nel fatto che le eresie andavano bloccate ma allo stesso tempo l'ideologia non poteva esprimersi in efferata violenza tanto da traumatizzare i sudditi o incrementare ulteriormene i movimenti scismatici.