(C. E. GADDA, L’Editore chiede venia del recupero chiamando in causa l’Autore, appendice a La cognizione del dolore)
Ci si chiedeva quali potessero essere le caratteristiche dell’epoca contemporanea riscontrabili nella letteratura coeva. Si sono scelti alcuni autori giudicati tra i più rappresentativi e nei loro testi si sono cercate caratteristiche comuni, comuni approcci di fronte alla realtà, al mondo, al significato ed al senso che emanerebbe (quando lo fa), facendo attenzione ai diversi giudizi che su di essa poggiano. Gli autori sono Vincenzo Consolo, con Il sorriso dell’ignoto marinaio [1] e Retablo [2], Giorgio Manganelli con Nuovo commento [3] e Roberto Calasso con Le nozze di Cadmo e Armonia [4].
La prima caratteristica che si rende evidente all’occhio del ricercatore è una sorte di catastrofe continuata, di disgregazione di un centro immaginario che, per l’appunto, si sfalda in una “infinita suddivisione del molteplice” [5], come dice il Gadda citato in epigrafe. La resa letteraria di detta catastrofe è diversa, ma costante è il riferimento a quella in tutti i loro scritti, di cui spesso è anche il perno. Leggendo questi testi ci si accorge di trovarsi di fronte ad una metamorfosi continua [6], ad una simbolizzazione infinita, in cui ogni elemento della realtà simboleggia un’altra – tutto è il simbolo di tutto, ogni dato del reale è la variante di qualcos’altro [7]. Si assiste ad un continuo trasformarsi: ogni cosa ne cela un’altra.
Ne deriva un senso di incostanza della realtà, una leggerezza soverchiante che porta ad una sorta di doppiezza nelle cose [8]. Sono tutte caratteristiche della letteratura barocca, nelle sue forme così come nei contenuti che rendono la visione del mondo caratteristica dell’uomo del Seicento, visione che torna periodicamente nella storia [9].
In Calasso quasi ossessivo è il ritornare del tema del simulacro: anche la copia originale è simulacro di se stessa ed alla fine la storia è descritta come il ripetersi, o meglio il precipitare, degli eventi dopo la breve ed intensa età degli eroi. Il Commento di Manganelli è un “simulacro” di un testo che si sospetta inesistente. In Retablo i resti archeologici sono residui di un’epoca che non è più, frammenti dispersi di un centro oramai perduto: c’è ovunque una fuga, un vortice che si forma attorno a quel centro di cui non è dato saper nulla e di cui rimangono solo testimonianze indirette spesso difficilmente interpretabili. Tutto pare conseguente a qualcosa di originario, di preesistente che però non c’è più. In questo senso si spiega il “labirinto di segni” di cui parla Manganelli in Nuovo commento: sulla scorta di questi frammenti di un centro che formano un vero e proprio labirinto, si cerca di decifrare, segno dopo segno, il senso compiuto di una realtà che sembra non averne (un percorso a ritroso nei significati prima ancora che nello spazio e nel tempo) e forse non ne ha mai avuto: “Queste cose non furono mai ma sono sempre” pone in epigrafe Calasso al suo libro. Il centro è perso perché inesistente, in una sorta di crisi copernicana che toglie l’uomo da un centro perso per sempre e che scopre non aver mai avuto[10]. Tutt’al più i suoi frammenti sono il centro stesso: in Manganelli alla fine il commento e il testo sono forse la stessa cosa (“Non c’è testo, solo commento”).
Ne consegue un uso frequente della metafora del libro, il problema che Mandralisca si pone nel Sorriso riguardo all’uso del linguaggio, perché questo non diventi facciata di un retro inesistente (facciata qui associata al ricciolo o alla voluta della chiocciola) o esistente (ma in questo caso facciata che distoglie, che distrae: tema ricorrente in Retablo)[11]. In Calasso la questione della facciata è trattata un po’ diversamente:l’insostenibilità della realtà è mascherata, addolcita dal bello, al “cerchio di ferro della necessità” si sovrappone la ghirlanda della bellezza:
Cornice barocca: resto del quadro
=
Ricciolo, voluta o chiocciola: realtà nascosta
=
Facciata estetica, ghirlanda: dura necessità
Si parlava prima di un vortice, una fuga, una spirale: e pare non casuale l’uso simbolico della voluta e della chiocciola fatta da Consolo nel Sorriso. E come lì torna ossessivamente in tutti i capitoli il motivo della chiocciola[12], nelle Nozze vediamo fare capolino in moltissimi luoghi la ghirlanda. Il cerchio, la cornice (è citata la funzione della cornice barocca nelle pagine finali) è il simbolo del romanzo-saggio di Calasso, che infatti si chiude a cerchio (la rassegna dei miti comincia dal rapimento di Europa e termina con la sua ricerca da parte del fratello Cadmo) come la chuiocciola è la struttura del Sorriso di Consolo.
Molto spesso la facciata è il mondo, ne prende posto così come il “commento” si sostituisce al “testo”, come denuncia Consolo, osserva Manganelli e sembra giustificare Calasso. La rappresentazione, dunque, la teatralità assumono parte preminente nei romanzi-saggi dei narratori-filosofi di oggi [13]: basti pensare al frequente ritorno delle immagini e metafore desunte dal mondo del teatro, al Consolo di Retablo che per bocca di Fabrizio Clerici si lamenta dell’inganno scenografico che la vita ci offre nel mascherare la realtà. Tutto sembra svolgersi per essere visto da altri, al punto che nella descrizione della nascita dei riti religiosi ellenici, in Calasso, è sottolineato come la vera colpa è il non sapere di averla commessa, non il delitto vero e proprio; la mancata rappresentazione, quindi, di ciò che si è commesso segretamente, lontano da un pubblico, fuori da un palcoscenico.
Ma come si pongono i vari autori rispetto al modo in cui sentono, o concepiscono, la realtà? Il conflitto tra volontà razionalizzatrice e fuga disordinata verso l’ “infinita suddivisione del molteplice” è una delle realtà che emergono dalle loro pagine. Tale contraddizione torna ad esempio in Manganelli, dove le fatiche del chiosatore sono spesso frustrate da una realtà difficilmente compendiabile: all’inizio il testo pare riluttante ad assumere la geometrica razionalità della città (supposta come un arbitrio logico degli interpreti per capirla) e più oltre il commentatore esperto di profezie a cui sarà richiesto un parere racconterà di come il suo moderato, calmo e compassato aplomb di chiosatore di testi latini esca turbato traumaticamente dall’apparizione di immagini di un cattivo gusto da lui definito esplicitamente come “barocco”.
Né è da meno Vincenzo Consolo, polemico nei confronti di un mondo che il razionale impegno politico del Sorriso – contro i “riccioli” – e filosofico di Retablo – contro le facciate – denunciano, sia pure con più successo nel primo e con maggiore problematicità nel secondo. E’ meno astratto, Consolo, e più orientato nel senso di un impegno storico-politico, ma il senso del frammentarsi e al tempo stesso celarsi della realtà permane, è anzi sviluppato in una diversa accezione che non necessariamente lo nega, bensì lo denuncia decisamente come qualcosa da combattere.
Chi rinuncia, o così sembra, a voler geometrizzare il mondo è Roberto Calasso, nelle cui Nozze l’operazione estetica messa in atto dalla ghirlanda pare svolgere un ruolo positivo. Ma è anche vero che le Nozze sono l’unico luogo letterario, di quelli sin qui presi in esame, in cui forse il rigore geometrico, sebbene determinato dalle ferree leggi della necessità, sta alla base di tutto e la cornice baroicca, la facciata, è apposta dall’uomo: se la razionalizzazione commentatoria di Manganelli e l’illuministico illudersi di Consolo, l’errore che il senso profondo delle cose possa essere conosciuto razionalmente e cambiato storicamente cercano di definire o svelare il testo-realtà, viceversa nel libro di Calasso è una realtà – identificata con la Necessità-Ananke – rigidamente determinante le azioni degli uomini ad essere resa più accettabile dal bello, dalla cornice, dalla ghirlanda. Sente l’esigenza di comprendere razionalmente chi avverte un mondo come confuso, caotico e disordinato; e chi lo sente necessitante esalta la funzione dell’inutile, del superfluo, del sovrabbondante, del… “barocco”.
Note
[1] V. Consolo, Il sorriso dell’ignoto marinaio, Einaudi, Torino 1976.
[2] V. Consolo, Retablo, Mondadori, Milano 1992.
[3] G. Manganelli, Nuovo commento, Adelphi, Milano 1992.
[4] R. CALASSO, Le nozze di Cadmo e Armonia, Adelphi, Milano 1991.
[5] C. E. Gadda, L’Editore chiede venia del recupero chiamando in causa l’Autore, appendice a La cognizione del dolore, Einaudi, Torino 1987, pag. 484.
[6] G. FERRONI, Storia della letteratura italiana, II, Dal cinquecento al settecento, Einaudi scuola, Milano 1991, pag. 253: “ Uno dei maggiori studiosi del barocco letterario, Jean Rousset, ha indicato nella maga Circe e nel pavone le due figure esemplari del Barocco: Circe indica la tendenza alla metamorfosi […].” D’ora in poi con la sigla GF.
[7] Ivi, pag. 255: “Tutte le cose si riflettono reciprocamente […]”.
[8] Ivi, pag. 281: “La vita può essere interpretata come qualcosa che si dilegua e si cancella […].” E pag. 255 “[Il] Barocco ama anche i personaggi doppi, inclini a scambiarsi le parti.”
[9] E. D’Ors, Del barocco, Abscondita, Milano 2011.
[10] N. Abbagnano, Filosofi e filosofie nella storia. Volume secondo. Il Rinascimento e l’età moderna, Paravia, Torino 1986, pag. 124: “Il copernicanesimo […] rappresentava dunque, e in modo radicale, ciò che è stata definita l’esperienza della diversità, poiché tramite essa, […] di fronte alla perdita del loro tradizionale posto nell’universo, gli individui si sentirono spaesati e diversi di fronte a loro stessi […].”
[11] J. ROUSSET, La letteratura dell’età barocca in Francia, Il mulino, Bologna 1985, pag. 209, Predominio della facciata: “Lungi dall’adattarsi alla struttura, la facciata barocca tende ad esprimere soltanto se stessa; da subalterna diventa indipendente, se non padrona.” E pag. 210: “Al limite, è come se la facciata, nell’edificio barocco, diventasse l’essenziale, come se l’edificio esistesse in funzione di essa.”: se un paragone interdisciplinare, tra contenuto e stile letterario da una parte e stile architettonico dall’altra, è consentito.
[12] Ivi, pag. 208: La lanterna a chiocciola della Sapienza porta alle estreme conseguenze il principio della curva […]. La spirale è uno dei trattati preferiti dal Barocco […]. “:
[13] GF, pag. 281: “Mondo naturale e mondo sociale erano visti come uno spettacolo di cui gli uomini sono nello stesso tempo attori e spettatori: chi vive sostiene una parte, che può mutare incessantemente o diventare costante e immutabile; tutto ci viene incontro attraverso la mediazione della scena, che svela e nasconde nello stesso tempo.”