I generi letterari o artistici, giunti alla fase finale del loro ciclo di vita, tendono a streotipizzarsi e, una volta raggiunta l’insignificanza, muoiono. A volte però capita che non scompaiano, ma ricevano una rivitalizzazione: questo fenomeno è tipico della cultura di massa.
Le pubblicità citano spesso pubblicità del passato: lo spot del Cynar con Elio e le storie tese, cita la vecchia pubblicità del digestivo con Ernesto Calindri; le caramelle Elah hanno citato la pubblicità della grappa Bocchino, che aveva Mike Bongiorno come testimonial; la Telecom ha citato di recente il suo vecchio spot del fortino con Massimo Lopez, facendolo interpretare a Christian De Sica e al vecchio attore che faceva il comandante del fortino; e così via.
Sono numerosissime le “turbolenze” prodotte nei sistemi culturali di oggi: ovunque fioccano parodie e letture anomale di prodotti culturali stabilizzati. Ogni lettura, anche la più eterodossa, produce cultura: possiamo usare un testo per parodiarlo, prenderne gli elementi peggiori, comprenderlo solo superficialmente, eccetera eccetera. In ogni caso il nostro consumo della cultura è produttivo, finisce per creare qualcos’altro.
Se una lettura anomala dà origine a precetti stabili e accettati, si forma un nuovo ordine culturale. Paradossalmente, proprio le strutture “dissipative” che accelerano la distruzione di un linguaggio possono produrre nuove strutture forti.
La citazione non è tipica del barocco, ma di tutte le epoche. Anche i periodi classici, fondandosi sul principio di autorità, fanno largo uso di citazioni.
Ma la citazione neobarocca è diversa da quella classica: elimina le fonti e rende impossibile capire se sia vera o falsa.
“Il nome della rosa” è un ammasso di citazioni sotto forma di romanzo. Ma le fonti di queste citazioni sono dubbie. Lo vediamo già nell’introduzione, dove si finge il ritrovamento di un libro, a sua volta tradotto da un’edizione secentesca, che a sua volta aveva copiato il manoscritto originale di Adso da Melk. Si finge la perdita di questo libro e si afferma che ne rimane la traduzione italiana, scritta su quaderni della Papeterie Gibert. Insomma, sull’autenticità della fonte ci sono parecchi dubbi. E tutto il libro è costellato di citazioni false accostate a quelle vere, senza che l’autore ci dia indicazioni per distinguerle.
D’altra parte, secondo Himmelman parlare del passato significa sempre fare dell’ utopia, perché quello che facciamo veramente è trasferire il passato nella nostra cultura. L’artista prende dal passato forme e contenuti sparsi ai quali dà un nuovo significato, fondato sulla cultura del presente. Oggi il meccanismo è ancora più distorto, perché la visualizzazione totale dell’immaginazione rende tutto contemporaneo. Ogni ripescaggio del passato è valorizzato solo se esiste una connessione col presente. Su Youtube tutto è attualità. La storia è finita, oppure è in cerca di un nuovo significato.
Estetica della ripetizione
Tutto è già stato detto, tutto è già stato scritto: sembra una frase fatta ma è difficile darle torto se pensiamo ai palinsesti delle televisioni italiane. Dalla nascita delle TV private, il consumo di telefilm ha esaurito in pochissimi anni il patrimonio di 90 anni di cinema. Dal poliziesco al western, dal kolossal in costume alla fantascienza, abbiamo visto di tutto e quel tutto ci è stato riproposto in infinite salse.
A provocare il gusto e a tenere in pugno l’attenzione degli spettatori non è il sugo del racconto (sempre uguale) ma le piccole varianti al testo, gli esercizi di stile, i mutamenti dell’organizzazione interna.
L’industria televisiva funziona come quella automobilistica: per ragioni economiche le conviene produrre pochi modelli base e stuzzicare il gusto dei clienti con una serie di optional potenzialmente infinita.
Ripassando l’arte barocca storica, quella che va dal Seicento a metà Settecento, possiamo trovare infiniti esempi di questo gusto della ripetizione, del virtuosismo, dell’esercizio di stile.
Analizzando la struttura dei serial televisivi emerge un’altra caratteristica barocca. Beautiful è una soap opera che dura da più di 20 anni, ma i personaggi non cambiano mai. Recentemente Brooke è tornata con Ridge. Quante volte si sono presi e mollati? Impossibile fare il conto. Nei serial alla Beautiful i personaggi non passano mai da uno stato all’altro, non evolvono come i personaggi del romanzo classico. Dopo una serie di vicissitudini ritornano al punto di partenza, che è lo stesso ma non lo è del tutto, perché nel frattempo Brooke e Ridge sono invecchiati, hanno figli grandi che combinano guai a loro volta, hanno raggiunto un diverso equilibrio. Però sono sempre Brooke e Ridge, hanno 60 anni per gamba ma c’è sempre la madre di Ridge che cerca di dividerli.
È un tempo circolare, o meglio ellittico: il tempo barocco. La ripetitività non annoia lo spettatore (può fare battute, fingere di lamentarsene, ma continua a seguire lo show) perché è inserita in un ritmo del racconto veloce, ricco di colpi di scena, con mille varianti. L’universo della fiction è policentrico e in perenne movimento: lo spazio barocco.