Giuseppe II nacque a Vienna nel 1741, figlio dell’Imperatore Francesco I di Lorena e di Maria Teresa imperatrice d'Austria. In quanto erede al trono, la madre Maria Teresa si era preoccupata di curare accuratamente la sua educazione. Ma come spesso accade, tanta sollecitudine aveva provocato nel ragazzo l’effetto contrario.
Giuseppe fu, fin da giovanissimo, un contestatore ante litteram. “Il mio Giuseppe non sa obbedire” si lamentava la madre. I gesuiti, suoi precettori, avevano fatto di lui un furioso anticlericale. Quando scoprì Voltaire, se ne ubriacò; e quando scoprì che il filosofo era intimo amico di Federico II di Prussia detto il Grande , divenne anche lui grande ammiratore del sovrano, malgrado questi fosse nemico numero uno degli Asburgo e sua madre lo detestasse definendolo l’anticristo. Non ebbe pace finché non andò di persona ad esternare a Federico la propria ammirazione.
Per responsabilizzarlo e disciplinarlo, Maria Teresa lo fece a vent’anni membro del Consiglio di Stato. Giuseppe vi portò una ventata di progressismo sconvolgendo tradizioni e abitudini. Propose di abolire tutto il rituale di Corte, le proprietà della Chiesa, dazi e gabelle e di tassare anche la nobiltà, liberando anche i contadini dal sistema feudale. Quando gli dettero moglie, per una volta tanto, gradì la scelta che gli veniva imposta.
Isabella di Parma era figlia di Don Filippo di Borbone e nipote di Luigi XV re di Francia. Giuseppe amò molto la moglie, apprezzandone la giovinezza e la grazia ma ancor di più la malinconia perché la condivideva. Per Isabella, però, la tristezza era patologica, la vita la spaventava. Da Isabella, Giuseppe ebbe un’unica figlia Maria Teresa, che morì però bambina.
Quando pochi anni dopo il matrimonio Isabella morì di vaiolo, Giuseppe non si riebbe più dal dolore. Si piegò alle ragioni di Stato che gli imponeva di risposarsi, ma odiò la seconda moglie, Maria Giuseppina di Baviera, prima ancora di conoscerla. Non ebbe con lei alcun tipo di rapporto, trovandola “repulsiva”, e quando poco dopo anche lei morì di vaiolo, non volle più sentir parlare di matrimonio dedicandosi invece con molto zelo alle cure del governo.
Nel 1764 lo avevano incoronato Re dei Romani, il titolo che avviava a quello di Imperatore. Alla cerimonia partecipò anche il giovane Goethe, che la trovò grottesca e medievale. “Mi costa un grande sforzo trattenermi dal dire a questi signori quanto sono idioti, loro e i loro discorsi”, scrisse Giuseppe al fratello Leopoldo II.
L’anticamera al titolo imperiale fu breve: l’anno dopo il padre, l’Imperatore Francesco I di Lorena morì improvvisamente durante i festeggiamenti per il matrimonio del figlio Leopoldo con l’Infanta di Spagna. Il colpo per Maria Teresa fu terribile: si tagliò i capelli, si disfece di ogni monile, regalò tutto il suo gardaroba meno gli abiti di lutto e pensò di ritirarsi in convento. Il senso del dovere l’impetuosità e la giovinezza di Giuseppe la trattennero. Giuseppe non era ancora pronto per ricevere interamente le redini del potere.
Oltre al titolo di Imperatore, Giuseppe ottenne il comando dell’esercito e la supervisione della politica estera che in realtà rimase nelle accorte mani del principe Kaunitz. Maria Teresa invece, mantenne il titolo di Regina e la supervisione sugli affari interni dell’Austria, dell’Ungheria e della Boemia.
Il rapporto madre-figlio fu burrascoso. Giuseppe tentava continuamente di forzare la mano alla madre con progetti di riforme. Ma in quell’interregno materno riuscì solo a far emanare una legge che liberava i medici dal vincolo di molti tabù imposti dalla Chiesa. Quando però Maria Teresa cadde malata di vaiolo, Giuseppe rimase al capezzale della madre sfidando il contagio. Subito dopo ricominciarono i bisticci.
Giuseppe non si accontentò di andare a far visita personalmente a Federico II. Volle anche combinare un accordo con lui, rovesciando in quel modo il tradizionale sistema di alleanze. Il risultato fu un accordo tra Austria, Prussia e Russia per la spartizione della Polonia. Maria Teresa firmò l’accordo a malincuore e dopo molte riluttanze. “Piange ma prende”, fu il cinico commento di Federico. Ma i rimorsi della sovrana erano sinceri: “Che vi siate scelto per modello Federico, non vi fa onore. Questo conquistatore non è mai riuscito a conquistarsi un amico. E che vita è, una vita senza calore umano?” scrisse al figlio Giuseppe.
Con il passare degli anni la volontà di Giuseppe prese sempre più il sopravvento su quella della madre. L’Imperatore ebbe una grande parte nella soppressione dell’ordine dei gesuiti, che invece Maria Teresa proteggeva, nella confisca dei loro beni e nell’abolizione della tortura, fatto per quei tempi rivoluzionario.
Quando si recò a Parigi per dare qualche consiglio alla sorella Maria Antonietta, da poco regina, Giuseppe affermò di aver capito in pochi giorni la Francia più di quanto suo cognato Luigi XVI ne avesse capito in tutta la vita. E non era una vanteria. Ai due giovani sovrani l’Imperatore consigliò di procedere allo smantellamento del vecchio regime feudale e alle riforme di cui il Paese aveva bisogno prima che una rivoluzione spazzasse via il trono.
In Francia si recò anche per prendere contatto con l’ambiente dei Filosofi, tra i quali ottenne un grande successo. Per non dispiacere a sua madre rinunciò invece a far visita a Voltaire. Quando tornò a Vienna trovò delle brutte novità. I boemi si stavano convertendo alla religione protestante e Maria Teresa aveva reagito con misure persecutorie. Ci fu uno scontro tra madre e figlio che solo la diplomazia di Kaunitz riuscì a mitigare.
Subito dopo sopravvenne un altro problema. Il Duca di Baviera era morto senza lasciare eredi. Al candidato dell’Austria, Federico II ne oppose uno. Giuseppe si sentì tradito nell’amicizia e senza ascoltare i moniti della madre si mobilitò. Per evitare un’altra guerra dei Sette Anni , Maria Teresa prese degli accordi segreti con Federico con un’offerta di compromesso che questi accettò.
L’Imperatrice aveva salvato la pace, ma usciva da quell’ennesima crisi con il figlio molto provata. Colpita poco dopo da una bronchite, la sovrana si aggravò e morì il 29 novembre del 1780. Giuseppe rimase al suo capezzale fino all’ultimo. Oramai libero di governare, Giuseppe liquidò in pochi giorni il pesante rituale della vita di Corte, feste e cerimonie, instaurandone un’altra più coscienziosa.
Volle essere solo “il primo servitore dello Stato” senza farsi condizionare da pregiudizi. Sapeva che il popolo non era abbastanza preparato per far da se. Per questo doveva governare per ma non con e attraverso il popolo. Scelse i propri ministri senza curarsi di titoli, rango e anzianità, trattandoli come semplici impiegati, facendo eccezione unicamente per Kaunitz, l’unico in grado di tenergli testa. Controllandoli e accentrando in questo modo tutti i poteri nelle sue mani, si dedicò a costruire il suo Regno.
Giuseppe II promulgo una serie di riforme: l’abolizione della pena di morte e di qualsiasi discriminazione religiosa, l’introduzione del divorzio, la liberazione dei servi e l’abbattimento dei privilegi feudali. L’Imperatore non si curò degli squilibri che ne derivarono e demolì tutto il sistema di dazi interni, lasciando solo quelli esterni, avviando così un sistema autarchico. Ci fu un progressivo indebolimento della proprietà terrierasu cui si basava l’aristocrazia a profitto della borghesia. Molti industriali e mercanti si ritrovarono insigniti di titoli e blasoni e andarono a formare una nuova nobiltà che faceva da contrappeso a quella tradizionale e diedero vita ad un capitalismo fortemente protetto dallo Stato.
Senza lasciarsi influenzare dalla popoloazione, tradizionalmente cattolica, l’Imperatore impose tolleranza con editti di esemplare intolleranza: chi si ostinava ad essere discriminante verso le altre religioni era punito con ventiquattro scudisciate (non considerate una forma di tortura). L’effeto fu un progressivo incremento delle conversioni al protestantesimo e un aumento delle logge massoniche. Giuseppe non abòlì la censura; la comminò sia ai libri che attaccavano il Cristianesimo, sia a quelli che trattavano di miracoli e leggende che potessero incrementare la superstizione. Le opere scientifiche ne erano immuni e quelle messe all’Indice erano comunque messe a disposizione degli studiosi.
L’insegnamento doveva essere rigorosamente libero. Quando alcuni studenti contestarono un loro professore che sosteneva che il mondo fosse molto più antico di quanto la Bibbia dicesse, l’Imperatore li fece espellere commentando che delle teste così vuote non potevano profittare dell’istruzione. Tutte queste misure e riforme, misero in allarme la Chiesa: il papa Pio VI si precipitò addirittura a Vienna dove fu accolto da un folla osannante che manifestava in questo modo il suo disappunto al troppo anticlericalismo dell’Imperatore. Giuseppe II ricevette il papa con onori e colmandolo di doni, ma non gli concesse nulla.
Pochi mesi dopo l’Imperatore ricambiò la visita recandosi a Roma dove fu accolto da una folla non meno osannante, che in questo modo dimostrava la propria avversione al clericalismo. L’Imperatore dovette comunque fare i conti con le resistenze interne del suo Paese, con le tradizioni, con gli usi e costumi delle singole nazionalità e anche con i vari pregiudizi.
Un’incauta alleanza con Caterina II di Russia costrinse Giuseppe ad una campagna contro i turchi e ciò mise in luce le magagne dell’esercito. Quasi tutti i soldati facevano parte della vecchia aristocrazia che l’Imperatore con le sue riforme aveva cosi tanto mortificato. Per ridare un po’ di slancio a quel suo apatico esercito, Giuseppe richiamo colui che era stato l’eroe della Guerra dei Sette Anni, il vecchio maresciallo Laudon. Ma la Prussia aveva già provveduto a schierarsi dalla parte dei Turchi. Federico era morto ed il suo successore ne aveva continuato la politica antiaustriaca.
Gli Ungheresi, sempre pronti ad ogni occasione, avevano innalzato il vessillo dell’indipendenza nazionale. I Belgi seguirono l’esempio e cacciarono il Governatore, cognato di Giuseppe e proclamarono la Repubblica. L’Imperatore cercò l’appoggio della sorella Maria Antonietta e di suo marito il re di Francia, ma proprio in quel periodo la Francia era in piena rivoluzione.
Consigliato dal fratello Leopoldo Granduca di Toscana, restituì agli Ungheresi la loro corona, la corona di Santo Stefano, riguadagnando in questo modo molti consensi. Indebolito dal lavoro che si era imposto, l’Imperatore era ormai molto molto stanco e provato sia nel fisico che nella mente. Sentendo la fine vicina, chiamò a se il fratello Leopoldo per passargli le redini del potere.
Mori nel 1791 di tisi e lui stesso dettò il proprio epitaffio: “Qui giace Giuseppe che non riuscì in nulla.” Ma ciò non era esatto; gli era mancato in realtà quel realismo che era stato invece una caratteristica della madre. Non aveva capito di avere forzato e di avere anticipato i tempi. Ciò non toglie nulla alla generosità e alla lealtà dei suoi propositi e di tutti i “despoti” dell’epoca egli fu certamente il più illuminato. L’Austria impiegò due secoli per realizzare le riforme che Giuseppe aveva preteso di realizzare in pochi anni.
Prima di morire lasciò scritto al Principe Kaunitz: Spero che la posterità, più imparziale e quindi più giusta dei contemporanei, riconoscerà l’onestà e la giustezza delle mie intenzioni.