In un celebre aforisma, Montecuccoli osservava: Per la guerra sono necessarie tre cose: primo, il denaro: secondo, il denaro; terzo, il denaro. Non c’è da sorprendersi se la questione finanziaria assume in epoca barocca un’importanza tale da diventare l’ossessione di tutti i governi. Dall’accumolo del metallo prezioso, giallo o bianco, dipendeva il successo o l’insuccesso delle grandi nazioni del vecchio continente. Ogni individuo capace di portare un aiuto, anche minimo, ai governanti a corto di soldi, occupa un posto essenziale sulla scena nazionale.
È su questo sfondo che si delinea la figura del finanziere, un personaggio centrale dell’epoca barocca.Colui che possiede il privilegio eccezionale, misterioso, quasi miracoloso, di disporre di ingenti somme di denaro, mentre tutti gli altri, Stati compresi, ne sono sprovvisti. Questo potere fa del trafficante di denaro un individuo a parte, molto corteggiato ma anche invidiato. Il suo aspetto esteriore raffinato, la ricchezza ostentata, gli conferiscono un’aura ambigua.
Per finanziere si intende comunemente colui che maneggia il denaro del principe, un espressione tutto sommato vaga poiché ogni cittadino di uno Stato che impiega nelle normali transazioni la moneta di metallo merita il nome di finanziere. Ma in effetti l’appellativo deve essere attribuito soltanto a colui che, a qualsiasi titolo, procura al principe i capitali che gli permettono di far fronte ai suoi impegni. Le somme che manipolano sono garantite dalle entrate dello Stato. Quanto al credito che essi accordano al sovrano, è un falso anticipo, una sempice dilazione di pagamento, e non un finanziamento vero e proprio. Il finanziere impiega capitali propri e diventa un archetipo sociale, un emarginato, bersaglio di tutte le ostilità. Nella società barocca il commercio e le attività finanziarie sono ritenuti indegni e il finanziere rappresenta una categoria maledetta.
In un mondo come quello del XVII secolo è difficile capire come mai un individuo scelga di esporsi e di essere messo all’indice. Siamo di fronte ad un paradosso: una società pervasa dal sacro partorisce dei contravventori ai suoi principi. Non c’è suddito in Francia che non disprezzi il finanziere. Richelieu in persona, riassume lapidario la questione: i finanzieri sono un male, ma un male necessario. Senza la loro opera lo Stato non esisterebbe e non potrebbe agire.
Malgrado tutto ciò che ne dicono i conpemporanei, il finanziere non è mai un “parvenu”. Contrariamente a quanto ci indurebbe a pensare il clima dell’epoca, il finanziere non è in rotta con la società, né con il sistema politico, e neanche con i valori morali del regno. Per mezzo della sua famiglia, della sua carriera s’inserisce nelle élites e si distingue solo per una professione molto rischiosa e dalla brutta nomea. In qualche modo la leggenda che vuole le origini del finanziere oscure ed ignobili lo mette al riparo. Il finanziere-lacchè, eroe di tante commedie, canalizza la vendetta popolare, felice di trovare un capro espiatorio per le proprie miserie. Egli sembra essere il meccanismo più importante dello Stato e al tempo stesso il principale responsabile delle sue disfunzioni, e dunque dei mali che affliggono le popolazioni.
Il finanziere in realtà non è avversario dello Stato, ma svolge una funzione indispensabile. È colui che mette in azione la pompa finanziaria di drenaggio dei capitali mediante un’iniziale offerta di fondi. Il problema più grande da risolvere è quello della permanente disponibilità di liquidità. Il finanziere non possiede una sufficiente riserva monetaria; è necessario perciò che la reperisca dove essa è disponibile, cioè presso ricchi e potenti finanziatori. Il lavoro del finanziere è concepibile solo con il loro aiuto interessato ma discreto. Lungi dall’essere un emarginato in totta con tutti, la figura del finanziere appare totalmente integrata nella vita sociale e politica dell’età barocca, e ingranaggio essenziale della macchina statale.