I padri fondatori della scienza moderna (Keplero, Galilei, Bacon, Descartes, Harvey ecc.) parlano spesso di scienza, ma non usano la parola scienziati, che è in realtà un termine ottocentesco.
L’uomo di scienza, nell’età barocca, era un intellettuale. Bacon era un filosofo, Keplero un matematico, Galilei professore di matematica a Pisa. Descartes un militare, Mersenne un religioso. Harvey un medico.
Nel seicento si forma il ritratto dello scienziato
Il più grande cultore della Scienza rinascimentale era stato Leonardo che pur con tutte le sue illuminazioni, faceva della scienza un hobby. Solo nella seconda metà del Cinquecento la Scienza comincia a ribellarsi a questa qualifica.
La spinta parte da una reazione: la reazione alle superstizioni che pullulavano in tutto il mondo. L’Inghilterra fu forse uno dei casi-limite di questo vaneggiamento; le sue energie creative non potevano distrarsi nel dilettevole, come quelle degli italiani del Rinascimento che non avevano una nazione da difendere perché non lo erano. L’Inghilterra si concentrò sull’utile: installare industrie, costruire flotte, fabbricare cannoni. Le sue energie erano attirate soprattutto dalla Scienza. L’uomo che riassume nel suo nome il genio inglese fra il Cinque e il Seicento, e lo illumina fu Francesco Bacone. Ciò che di Bacone conta è soprattutto il metodo ch’egli introduce. Contro il sistema aristotelico invalso fin allora, Bacone insegna a procedere non dall’idea al fenomeno, ma dal fenomeno all’idea. “Mi serve solo l’esperimento completo. Non è la filosofia che mi permette di capire le cose. È lo studio e la comprensione delle cose che in seguito mi permetteranno di farmene una rappresentazione filosofica.” Si trattava di una conquista assolutamente rivoluzionaria perché, liberandola dal vassallaggio della filosofia, conferiva alla Scienza una sua indipendente dignità.
Montaigne con il suo scetticismo, Cartesio con il suo razionalismo, Bacone con il suo empirismo, portarono un attacco concentrico sia al dogmatismo cattolico che a quello protestante.
Ciò non vuol dire che di colpo tutto il pensiero europeo si orientò sul loro insegnamento ed esempio. La pressione esercitata dal potere politico sulla scienza ebbe su di essa effetti devastanti. Nel seicento la religione era concepita come una visione totalizzante, una pietra di paragone per giudicare ogni sorta di nuova teoria.
La cosmologia infinitista propagandata da Giordano Bruno, sembrava mettere in discussione la tradizione cristiana. Quando il conflitto tra potere e scienza si trasformava in scontro aperto allo scienziato si offrivano tre soluzioni: distinguere la religione dalla scienza, dissimulare o mascherare quelle dottrine ritenute pericolose o accantonare le ricerche. Soluzioni, queste, adottate largamente da molti scienziati del seicento. Annusando puzzo di eresia in ogni speculazione filosofica che non fosse scrupolosamente ortodossa, il tribunale del Sant’Uffizio dirottava le menti verso la Scienza sperimentale, ma ponendo loro un limite ben preciso. Sia nella fisica che nella matematica, nella meccanica, nell’astronomia, gli italiani furono i più grandi “specialisti” di questo periodo. Ma i loro studi restavano delle costruzioni senza tetto, perché dalle leggi che via via scoprivano essi non potevano risalire all’idea generale cioè all’idea filosofica, che per forza di cose li avrebbe messi in contrasto col dogma e fatti cadere sotto le grinfie dell’inquisizione come nel caso di Galilei.
La scuola di Galilei, produsse ancora dei grandi maestri: Torricelli, Redi, Morgagni, Malpighi, Cassini, Borelli; ma l’esempio del maestro impedì loro di raggiungere la statura del loro iniziatore.
Così per colpa dell’Inquisizione, il pensiero scientifico trasmigrò dall’Italia, e in genere dai paesi cattolici, per diventare appannaggio di quelli protestanti.