Appartenenti a un antico casato di mercanti e di banchieri, i Medici furono i signori di Firenze per quattro secoli. Nel 1569 la Signoria divenne Principato con Cosimo I che nonostante le sue stranezze governò bene. Malgrado non fosse più la Mecca del Rinascimento e del capitalismo, il Granducato di Toscana non perse del tutto i suoi connotati.
Il figlio di Cosimo, Francesco I, non era stato all’altezza del padre, succubo dell’amante Bianca Capello, dei maghi e della Spagna, si era disinteressato dei sudditi e dello Stato. Nel 1587, alla sua morte, divenne Granduca il fratello Ferdinando che aveva invece la stoffa dello statista.
Ferdinando I
Quando Ferdinando divenne Granduca aveva trentasei anni. Era stato eletto a quattordici Cardinale e membro del Sacro Collegio. Aveva lasciato Firenze per Roma dove si era fatto costruire al Pincio la famosa Villa Medici che aveva trasformato in un prezioso museo. Aveva la passione per l’archeologia per questo finanziava personalmente campagne di scavi dove qualche volta vi partecipava personalmente. Amava la musica mentre la letteratura lo lasciava indifferente. Religione e fede non erano il suo forte e più che ai preti credeva agli astrologi e ai maghi.
Era di bell’aspetto, sofisticato e generoso e all’abito di cardinale preferiva l’armatura di cavaliere anche se era un uomo pacifico. Eletto Granduca, i fiorentini lo acclamarono con il grido di rito “palle, palle, viva, viva” ed egli ricompensò i suoi sudditi elargendo forti somme di denaro in beneficenza e concedendo un’amnistia.
Divenuto Granduca decise di prendere moglie e scelse Cristina di Lorena, nipote di Caterina dei Medici, la vecchia regina di Francia. Sapeva che da questa unione avrebbe potuto ricavare alcuni vantaggi: la dote di Cristina di 600 mila scudi, più la cessione di tutti i diritti di Caterina sul patrimonio dei Medici. La Francia, sia pur dilaniata dalle guerre di religione, si avviava a diventare la prima potenza europea e questo matrimonio gli avrebbeconsentito di passare dal campo spagnolo a quello francese.
Le nozze furono celebrate con gran sfarzo e Cristina piacque subito ai fiorentini. Non era una bellezza ma era piena di grazia, di eleganza e di spirito. Non fu difficile per Ferdinando innamorarsene e le restò fedele per tutta la vita. Il Granduca lavorava dalla mattina alla sera, spesso anche la notte. Il fratello Francesco aveva portato la Toscana sull’orlo della bancarotta; lui riuscì a risanare le finanze con il commercio di cereali che affidò alla sua flotta personale. Riuscì grazie a questa e ad altre speculazioni a mettere insieme un bel gruzzolo che custodiva in una camera segreta. Solo lui e l’architetto che l’aveva costruita possedevano le chiavi.
Uno dei suoi maggiori meriti fu di avere valorizzato Livorno, proclamandola porto franco, facendone lo scalo tirrenico più importante dopo Genova e la città più tollerante d’Italia in fatto di religione: le sue porte furono spalancate a calvinisti, luterani ed ebrei ai quali fu garantita libertà di culto e incolumità. Queste piccole minoranze diedero un immenso contributo allo sviluppo economico della città che Ferdinando chiamava “la mia dama”e che Montesquieu definì “il capolavoro della dinastia Medici”.
Il Granduca abbelì ed ampliò Siena e Grosseto e incoraggiò, a Firenze, l’edilizia di lusso e quella popolare. Per se stesso fece costruire molti casini di caccia che rimaneva, nonostante la gotta il suo hobby principale. Questa malattia era il marchio della dinastia Medici, e Ferdinando tentava di curarla con una dieta appropriata. Pur non essendo bigotto pregava ogni volta che sentiva l’attacco avvicinarsi. Andava a messa più per dare l’esempio che per mera devozione. Il popolo l’amava perché era generoso e prodigo. Alla nascita del primo figlio istituì il “Monte delle doti” per le fanciulle povere e con il proprio denaro fece costruire l’ospedale dei convalescenti, uno dei primi non solo in Italia ma anche in Europa.
La Toscana, sotto Ferdinando, ritrovò pace e benessere. In politica estera Ferdinando fu abile e lungimirante. Il suo matrimonio gli garantì l’appoggio della Francia che riconquistò l’unità religiosa grazie un po’ anche a lui: quando nel 1589, Enrico di Valois fu assassinato, fu Ferdinando a convincere il pontefice ad accettare come successore, Enrico di Navarra che era stato scomunicato perché ugonotto. Il Granduca riuscì, inoltre a dare in moglie ad Enrico IV, il nuovo re di Francia, la propria nipote Maria, figlia di suo fratello Francesco.
Anche le nozze del figlio primogenito Cosimo con Maria Maddalena d’Austria, furono opera sua. La cerimonia per il matrimonio fu allietata da giostre, tornei e fuochi d’artificio. Seguì un enorme banchetto al quale il Granduca fece onore, dimentico della gotta. Pochi giorni dopo si mise a letto e ci rimase un mese. Sentendosi meglio, decise di partecipare ad una battuta di caccia ma al ritorno fu assalito da forti dolori al ventre. I medici di corte diagnosticarono un’occlusione intestinale. Ferdinando, sentendo la fine ormai vicina, mandò a chiamare il figlio, lo benedisse e morì tra le sue braccia.
Cosimo II
Quando il padre morì, Cosimo aveva diciannove anni. Di salute cagionevole, malinconico e taciturno, era stato un bambino prodigio: già a tre anni sapeva leggere e scrivere, a quattordici parlava il latino correntemente. Conosceva anche lo spagnolo e il tedesco, aveva ottime nozioni di filosofia, di scienza e di musica. Per contro non si concedeva svaghi, non amava lo sport, le donne lo lasciavano indifferente come indifferente lo lasciava la cucina. Amici non ne aveva, si coricava prestissimo e passava a letto buona parte del suo tempo. La corona di Granduca gli pesò parecchio specialmente negli ultimi anni di vita. All’inizio del suo regno governò con saggezza, grazie anche ai consigli dei ministri di suo padre. Continuò la politica d’espansione commerciale. Potenziò la flotta e strinse un’alleanza con Fakhr-ad Din, emiro dei Drusi del Libano e della Siria e incoraggiò la sua rivolta contro i turchi, ottenendo in cambio fondachi e franchigie sulle coste siriane.
Da buon Medici protesse artisti e scienziati. Fu lui a chiamare da Padova Galileo Galilei, nominandolo “matematico soprastraordinario” all’Università di Pisa e concedendogli una pensione di mille scudi all’anno. Sovvenzionò cenacoli scientifici e filosofici e favorì il diffondersi del melodramma.
A ventiquattro anni era, però, già pieno di acciacchi. Alla solita gotta si aggiunse un’ulcera gastrica e la tisi. Era costantemente circondato da medici ma ogni terapia e ogni rimedio si rivelavano vani. Il giovane Granduca, sempre più debole, sapeva di essere destinato a morte precoce, per questo passò le redini dello Stato nelle mani della madre, della moglie e del primo ministro.
Un ennesimo sbocco di sangue gli fu fatale. Aveva solo trent’anni e pesava quaranta chili. Aveva lasciato scritto di volere un funerale privo di sfarzo. Vi parteciparono infatti solo i familiari. A corte la sua morte passò praticamente inosservata.
La reggenza
In attesa che il figlio primogenito Ferdinando raggiungesse la maggiore età, rimase arbitro della situazione, la Granduchessa madre, Cristina, filofrancese, imperiosa e sicura di se. Donna energica e battagliera, era molto affezionata alla nuora con la quale condivideva la passione per il lusso. Finchè Cosimo era vissuto le due principesse si erano dovute accontentare della vita morigerata che il Granduca pretendeva. Cosimo non ammetteva nessuna ostentazione di fasto e soprattutto non voleva che si intaccasse il tesoro di famiglia accumulato dal padre e da lui stesso ingrandito. Ma poco dopo la sua morte, la madre e la moglie, senza dar peso alle sue volontà, aprirono i forzieri facendo man bassa.
La vita a corte, ritornò ad essere fastosa, come ai tempi di Lorenzo il Magnifico. Le sale del palazzo ducale furono rimesse a nuovo e abbellite e gli appartamenti delle due principesse si riempirono di sfarzo. I sarti migliori furono incaricati di rimettere a nuovo il guardaroba delle reggenti, che imposero a corte un rigido cerimoniale e per sottolineare al meglio il loro rango si circondarono di paggi da “viaggio”, o come venivano chiamati allora, “da valigia”, agli ordini di un maggiordomo. Feste, balli, concerti e commedie allietavano le serate della corte.