Carlo Emanuele II
La riconciliazione tra madamisti e principisti fu sancita dall’accordo di Torino del 1642 che almeno in apparenza, sanò le beghe interne dello Stato. Lo zampino francese era però rimasto a corte, dove la nobiltà nutriva profonde simpatie per la Francia adottando fogge e pose parigine. Le donne si vestivano “alla franzesa” mostrando il seno e baciando publicamente gli uomini. Quando a Cristina, detta Madama Reale, il suo cuore batteva più per la sua patria di origine che per lo Stato di cui era Duchessa.
I francesi mantennero a Torino un presidio composto da tre reggimential cui sostentamento provvedevano gli abitanti. La guarnigione si ritirò piano piano nella cittadella ma solo dodici anni dopo si decise a sloggiare. Nel 1659 con la Pace dei Pirenei la guerra franco-spagnola ebbe termine e il Piemonte potè reintegrare il Duca di Savoia nelle terre che il trattato di Cherasco gli aveva assegnato, ribadendo in questo modo la presenza della Francia a Pinerolo. Quattro anni dopo la Duchessa Cristina morì e furono in molti a trarre un sospiro di sollievo compreso il figlio Carlo Emaulele II. Il Duca aveva ormai 29 anni e da quindici era sovrano legittimo, ma di fatto fino a quel momento, le redini del governo erano rimaste nelle mani della madre. Cristina aveva provveduto a circondare il figlio di allegre compagnie e belle donne con l’intento di distrarlo dagli affari di governo. Per assicurare un erede alla dinastia pensò di far sposare il giovane duca con una sua lontana nipote, Giovanna Battista di Savoia Nemours, donna bellissima e di grande intelligenza. Carlo Emanuele appena vide la cugina se ne innamorò subito rovinando in questo modo i calcoli della madre che non voleva il figlio succubo della moglie.
Cristina mandò dunque all’aria il matrimonio e poco dopo dalla Francia arrivò a Torino una nobile, Giovanna Maria di Trécesson. Carlo Emanuele, che si innamorava facilmente, dimenticò la bella cugina e si invaghì della nuova arrivata: non la sposò ma da essa ebbe tre figli.
Nel 1663 il Duca sposò la nipote di Luigi XIV, Francesca d’Orleans, detta “Colombina d’amore”. Il matrimonio fu breve perché Francesca morì un anno dopo nel gennaio del 1664. Carlo Emanuele si ritrovò così, nel giro di pochi mesi, senza la madre e senza la moglie. Ma abbandonò per il momento l’idea di risposarsi gettandosi negli affari di governo. Voleva fare del suo Piemonte un grande stato e della sua Torino un grande metropoli. Quando la madre Cristina era ancora in vita, il Duca aveva già provveduto ad abbellire la capitale facendo costruire fantastiche ville e meravigliosi palazzi. Chiamò a se i migliori arstistifra cui l’architetto Guarino Guarini, che fu nominato ingegnere ducale. L’artista progettò la cappella della Sindone, la chiesa di San Lorenzo e la chiesa dell’Immacolata.
La città che la peste del 1630 aveva decimato rinacque e si verifico un boom dopo lunghi anni di guerra. Il Piemonte aveva ormai uno Stato e i nobili ne formavano il nerbo. La nobiltà godeva di parecchi privilegi ma li ripagava con il “pubblico servizio”, impegnata come era a mantenere le cariche di “vertice” non essendo abbastanza ricca per potersene esentare. I patrimoni era di tipo terriero e non molto vasti anche perché i poderi non fruttavano abbastanza per mantenere il castello che si ergeva sulla cima di una collina o il palazzo in città. Era perciò indispensabile che il patrizio piemontese indossasse una divisa o una feluca.
Ma a questa nobiltà di origine feudale se ne andava sovrapponendo un’altra di ceppo borghese. Ed erano stati i duchi stessi a crearla per bilanciare e tenere di conto quella di sangue. Nelle file di questa nuova nobiltà c’erano avvocati, magistrati, notai, medici. Erano senza blasone ma laboriosi ed agiati e soprattutto socialmente evoluti. Il popolo piemontese, godeva di un benessere superiore rispetto a quello del resto della Penisola, eccezion fatta per Venezia. Nelle campagne che pure avevano subito pesantemente gli orrori della guerra, la vita aveva ripreso il normale corso.
Il Duca del resto non aveva fatto mancare provvidenze, sovvenzioni e mutui ai contadini più bisognosi. Sotto di lui il commercio e gli scambi erano rifioriti. Purtroppo Carlo Emanuele II morì improvvisamente a soli 41 anni e ciò gli impedì di terminare questa sua opera di ricotruzione. Fu stroncato dalla malaria nel 1675 e non, come alcuni storici maliziosi sostengono, dagli strapazzi sessuali.
In punto di morte convocò la sua seconda moglie, quella Giovanna Battista che era stato il suo primo amore e che aveva finito per sposare, e il figlio ed erede di soli 9 anni che questa gli aveva dato, Vittorio Amedeo; chiese il viatico e mentre il prete glielo porgeva, udì la folla dietro la porta della sua camera: “Fatela entrare perché veda che anche i principi muoiono” disse dal suo capezzale.