La Roma barocca aveva come base l’urbanizzazione voluta da Sisto V durante la Controriforma.
A questa urbanizzazione si aggiunse un fasto di apparati per esaltare il nuovo assetto della città: la capitale manifesto del cattolicesimo doveva dare al mondo un’immagine di apoteosi attraverso la santità e la teatralità e attraverso cerimonie altamente scenografiche all’insegna del bizzarro.
Il tempo era scandito dai giubilei, ogni venticinque anni, e dalle numerose festività religiose; Roma era una città teatro, costruita e ristrutturata per rappresentare se stessa, con un’architettura urbanistica tesa alla spudorata ricerca dell’eclatante: palazzi decorati di stucchi e abbondanti iscrizioni, superbi portali, androni con busti tra nicchie, cortili con logge e rampe di scale elicoidali, sale affrescate in funzioni prospettiche, abbondanti decorazioni sulle sovraporte.
Le basiliche erano, all’esterno, ammantate di estroversa gestualità tra statue e colonnati; all’interno ricche di oro e di argento e con cori angelici e bassorilievi in forma di palchi e sipari.
Di fronte alle dimore signorili si arredavano piazze salotto; gli edifici erano enormi in forma di cittadella, con teatri lussuosi e scuderie.
Non mancavano grandi valori artistici, come gli estri geniali di Carlo Maderno, Alessandro Algardi, Pietro da Cortona, Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini.
Roma era per i cittadini, per i pellegrini e per il mondo l’iperbole del barocco, una città dove impazzava l’effimero, tra ampi tendaggi e archi trionfali.
La teatralità era d’obbligo in ogni occasione sacro-profana: per la canonizzazione dei santi, le incoronazioni papali, le feste religiose ma anche per il carnevale, con macchine e marchingegni scenografici, costruzioni posticce, fuochi d’artificio
La popolazione era per un terzo fatta da gente di chiesa, per un terzo da nobili e per un terzo da borghesia e plebe, artigianale, mestierante e povera, che viveva sottomessa a ricasco di nobili e preti; una cittadinanza che viveva in un miscuglio di strutture abitative: il palazzo del nobile poteva trovarsi accanto alle case dei ceti medi e popolari; nella stessa zona poteva convivere la facciata di un principesco palazzo barocco e la semplice casetta di un borghese o la casupola e la bottega di un popolano; su una strada poteva affacciarsi il salone affrescato e una ricca silenziosa biblioteca vicino ad una bettola rumorosa frequentata da popolani bevitori di vino e giocatori.
In questa Roma barocca non mancava la città fuori porta, una zona di campagna adibita al pascolo e nelle vicinanze delle mura le vigne signorili ma l’agro romano non offriva molti prodotti: Roma era rifornita dalle regioni limitrofe se non addirittura dall’estero.
Era questa l’immagine antibarocca dell’urbe, il rovescio della medaglia fatto di carestia a scapito della popolazione.
Come teatro di morte c’era l’Inquisizione con i suoi processi e le sue vittime, “heretici impenitenti” e una schiera di astrologi, alchimisti, maghi, che lavoravano più o meno alla luce del sole, a seconda della protezione di cui disponevano in alto loco. Era questa la sottocultura, che riservava però elementi di grande suggestione, fantasie e misteri.
A fronte di ciò Roma si trovò schiacciata dalla Guerra dei Trent’anni, dove la controriforma passò in second’ordine e dove svanirono le finalità religiose. La chiesa romana si battè invano per rinverdire le storiche crociate contro i Turchi, con una Spagna e un imperatore sempre interessati a difenderla ma con una Francia che aveva cominciato a farsi interprete di uno Stato moderno sempre meno disposto a tollerare le intromissioni del papa.
Papati e nepotismi barocchi
La storia della Roma barocca comicia con il pontificato di Paolo V (1605-1621), al secolo Camillo Borghese che portò alla ribalta la città e la propria famiglia per mezzo del nipote Scipione Caffarelli: questi assunse il cognome dello zio e s’impegno alla costruzione di Palazzo Borghese e della splendida Villa Borghese con la relativa galleria che si riempirà di opere d’arte.
Con Paolo V la città si illuminò di spendore con la facciata di San Pietro, la Cappella Paolinaal Quirinale e la Cappella Borghesein Santa Maria Maggiore. Sorgono poi le facciate di Santa Francesca Romana, di Santa Maria della Vittoria e della chiesa di Santa Susanna; e ancora le chiese di San Carlo ai Catinari, Santissima Trinità dei Pellegrini, San Giacomo in Augusta e Gesù e Maria.
Anche le necessità idriche dell’urbe vennero rispettate con la costruzione dell’Acquedotto Paolo e la relativa mostra dell’Acqua Paola sul Gianicolo.
Dopo Paolo V fu il turno di Gregorio XV (1621-1623), al secolo Alessandro Ludovisi che nel suo breve pontificato fece la fortuna della sua famiglia nominando il proprio nipote Ludovico Ludovisi camerlengo e ricoprendolo di costosi benefici ecclesiastici. Nacquero in questo modo la Villa Ludovisi e la chiesa di Sant’Ignazio.
Urbano VIII
Con Urbano VIII (1623-1644), al secolo Maffeo Barberini ebbe inizio la fortuna di questa famiglia che si arricchì più di tutti gli altri casati. Fu costruito il celebre palazzo Barberini sull’omonima piazza adornata dalle due celebri fontane, quelle del Tritone e delle Api, opere del Bernini.
Urbano VIII diede a Roma l’impronta barocca definitiva impiegando a questo scopo notevoli somme di denaro a cominciare dall’erezione del baldacchino bronzeo in San Pietro, opera del Bernini. Per questa celebre opera non bastò il metallo e allora il papa non esitò a farlo togliere dalle travi del pronao del Pantheon, che si erano salvate dai barbari e dai lanzi. Pasquino commentò: “Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini”.
Un cronista riferisce che se ne trassero 450.250 libbre, fornendone i soli chiodi 9370, tanto che ne avanzò una quantità di bronzo utilizzata per 80 cannoni di Castel Sant’Angelo.
La megalomania di papa Barberini raggiunse il suo apice con la splendida chiesa del Borromini, Sant’Ivo alla Sapienza, che nella sua forma ad ape riprendeva lo stemma araldico della famiglia di Urbano VIII.
Tutto questo significò l’impiego di denaro senza fondo; a questo scopo furono inventati alcuni giubilei, quanto mai redditizi, a cominciare dall’Anno Santo del 1625 per proseguire con gli altri 9 straordinari, un vero e proprio record.
Tuttavia i soldi non bastarono ed ecco che si ricorse alle tasse a discapito del popolo. Il solito Pasquino commentò: “Papa Urbano dalla barba bella, finito il giubileo impone la gabella”.
A complicare questa mancanza di denaro ci si mise anche la guerra causata dalle idee ambiziose di Urbano VIII di impossessarsi del ducato di Castro e Ronciglione, proprietà dei Farnese.
Ma Odoardo Farnese riuscì a difendere i propri possedimenti avanzando verso Roma, sconfiggendo l’esercito pontificio e riuscendo addirittura a farsi togliere la scomunica.
Il pontificato di Urbano VIII fu ricoperto d’infamia a causa dell’opera dell’Inquisizione e del processo a Galilei; mentre riuscì a salvarsi dall’Inquisizione l’astrologo personale del pontefice, Tommaso Campanella.
Innocenzo X
Il fasto barocco proseguì con Innocenzo X (1644-1655), al secolo Giovanni Battista Pamphilj. Il centro del nepotismo della famiglia Pamhilj non fu il papa ma sua cognata, Olimpia Pamphili , in un certo senso il vero pontefice. Ella condizionò le tante decisioni e scelte del papa e si arricchì personalmente, gestendo con fermezza i vari campi dell’amministrazione.
Fu lei a volere Palazzo Pamphilj a piazza Navona, realizzato da Girolamo Rainaldi, con le 23 sale affrescate da una schiera di pittori barocchi straordinari e la splendida Galleria con le storie di Enea di Pietro da Cortona. Al palazzo fu collegata la chiesa di Sant’Agnese, concepita come una grande cappella di famiglia; la ricostruzione fu affidata a Girolamo e Carlo Rainaldi e terminata dal Borromini. Sulla piazza, concepita come un grande salotto all’aperto, la Fontana dei Quattro Fiumi con l’obelisco eretta nel 1651 dal Bernini, con le monumentali statue del Nilo, del Gange, del Danubio e del Rio de Plata. Il complesso fu studiato a tavolino dal Bernini il quale si basò sull’interpretazione fantasiosa dei geroglifici di Athanasius Kircher.
E infine la Villa Pamphilj che si sviluppò in tutta la sua magnificenza tra il 1640 e il 1664 grazie al principe Camillo Pamphilj, figlio di Olimpia e nipote del papa.
Alessandro VII
Alessandro VII (1655-1667), al secolo Fabio Chigi, legò il suo pontificato ad una “guerra fredda” con la Francia: violenti furono i suoi contrasti con Luigi XIV, fomentati dal cardinale Mazzarino.
Intransigente verso i giansenisti, contro i quali pubblicò diverse costituzioni, appoggiò invece i gesuiti sui loro problemi missionari in Cina.
Con Alessandro VII ci fu ancora uno sfaccato nepotismo ma il papa se ne uscì con la dichiarazione storica che Dio doveva gradire molto di essere servito con alto decoro da gente ben nata (in questo caso i Chigi).
Tutti i vantaggi del pontificato di Alessandro VII andarono al fratello di questi, don Mario Chigi, e ai nipoti, il cardinale Flavio Chigi e Agostino chigi, castellano di Castel sant’Angelo che sarà il primo ad abitare a Palazzo Chigi in piazza Colonna.
Alessandro VII si dedicò tra l’altro alla definizione urbanistica di Roma: il papa si fece costruire un plastico di tutta Roma e si divertì a dislocare come in un gioco a scacchi i vari tasselli della città, alla ricerca della perfezione e sollecitando una serie di combinazioni. Sotto il suo pontificato ecco la chiesa di Santa Maria in via Lata, il bizzarro obelisco detto il pulcin della Minerva, il colonnato di San Pietro e la Cattedra dell’apostolo custodita nella splendida Gloria del Bernini; furono poi rinnovate San Giovanni in Laterano a cinque navate e Santa Maria della Pace con la caratteristica facciata a portico; ed ecco Sant’Andrea al Quirinale, con lo spettacolare interno a teatro.
L’evento storico del pontificato di Alessandro VII fu la conversione della regina luterana Cristina di Svezia che dopo aver abdicato si trasferì a Roma; il suo arrivo, la sera del 23 dicembre 1655, fu trionfale. Il papa sperava di avere dalla illustre convertita un aiuto per ricondurre al cattolicesimo i popoli protestanti. Clero e nobiltà andarono incontro alla regina in un solenne corteo, partito dalla via Flaminia, che passò sotto la porta del Popolo, dove per l’occasione fu incisa una targa a memoria di ciò.
Le feste per l’arrivo di Cristina di protrassero fino a Natale; Alessandro VII la ricevette in concistoro e le impartì personalmente la Cresima con il nuovo mome di Alessandra. Ma la regina di Svezia avrebbe provocato più dolori al papa che altro: donna colta e coraggiosa, eccentrica e dominatrice, si rese conto di poter dominare il campo della cultura e della mondanità della Roma barocca e lo fece in piena libertà.
Evento negativo per la città fu la peste che si abbattè tra il 1656 e il 1657. Roma prese tutte le misure necessarie e cautelative dell’epoca: furono aperte otto porte per accedere e uscire dalla città e furono creati cinque lazzaretti per gli appestati. Il teatro di morte con le 14.473 vittime accertate si trovò in netto contrasto con l’immagine barocca di Roma.
Con il pontificato di Clemente IX (1667-1670), al secolo Giulio Rospigliosi, fu ancora il nepotismo il protagonista: il fratello del papa, Camillo, fu nominato generale della chiesa; i nipoti Giacomo e Felice ricevettero la porpora cardinalizia, Tommaso divenne castellano di Castel Sant’Angelo e Vincenzo prese il comando dell’esercito francese, veneziano e pontificio coalizzato contro i turchi.
I maggiori favori andarono a Giovanni Battista Rospigliosi che venne creato principe del Sacro Romano Impero e acquistò dai Ludovisi il ducato di Zagarolo. Dopo aver sposato Maria Camilla Pallavicini ereditò beni e titoli di questa famiglia ma con l’obbligo di assumere il cognome Pallavicini.
Lo spirito di fratellanza e di pace di Clemente IX divenne da allora l’impegno tacito dello stato pontificio e sulla scia di queste intenzioni il papa potè operare positivamente in Francia sul piano religioso attenuando le controversie gianseniste con la cosiddetta “pace clementina”
Il Re Sole fece coniare una moneta a “ricordo del ristabilimento dell’unità della chiesa”.
Con Clemente X (1670-1676), al secolo Emilio Altieri, la linea di pace del suo predecessore fallì. L’unica consolazione per Clemente arrivò dalla Polonia con l’elezione di un re cattolico, Giovanni Sobieski che risucì a superare i contrasti interni che si opponevano alla sua candidatura grazie all’appoggio di Luigi XIV.
Non avendo nipoti maschi, il papa trasferì il proprio nepotismo nella persona di Paluzzo Albertoni, sposato ad una sua nipote. Così i Paluzzi ereditarono addirittura il cognome degli Altieri e si dedicarono alla costruzione dello splendido Palazzo Altieri che venne ultimato in tempi record.
Innocenzo XI (1676-1689), al secolo Benedetto Odescalchi, fu un papa di costumi irreprensibili e contrario al nepostismo e applicò rigide regole di economia volte a riassestare le finanze del Vaticano. La situazione di Roma era assai vicina alla bancarotta a causa degli eccessi delle spese urbanistiche e i soprusi dei vari pontefici che avevano preceduto Innocenzo XI. Il pontefice riuscì però a riempire le casse dello Stato con una politica fiscale e la compressione delle spese.
Contrario alla morale dei gesuiti, Innocenzo XI sembrò appoggiare il giansenismo e il quietismo ma alla fine condannò il teologo Miguel de Molinos.
Energico difensore della propria utorità, il papa entrò presto in conflitto con Luigi XIV e non si piegò nemmeno dopo l’occupazione francese di Avignone. È un fatto che, parallelamente, Innocenzo XI s’impegnò in un’ennesima crociata contro i turchi, che gli diede due vittorie. La prima nel 1683 nella battaglia per la difesa di Vienna, dove i cristiani riportarono una grande vittoria, riuscendo a strappare le bandiere ai turchi; i trofei furono trasportati a Roma e conservati della chiesa di Santa Maria della Vittoria. L’altra vittoria si ebbe tre anni dopo con la liberazione di Buda a opera di Carlo V di Lorena. Il grande avvenimento fu festeggiato con uno scampanio durato un’ora da parte di tutti i campanili romani e ciò ispirerà in parte il Meo Petacca che insieme al Maggio romanesco costituisce l’inizio della tradizione della poesia in dialetto romanesco.
Gli ultimi sprazi della Roma barocca
Alla morte di Innocenzo XI fu eletto papa Alessandro VIII (1689-1691), al secolo Pietro Vito Ottoboni che regnò solo 16 mesi. Ciònonostante questi pochi mesi gli furono sufficienti per far arricchire in maniera scandalosa i parenti Ottoboni. Cosciente dell’età avanzata il papa non faceva che ripetere alla sua famiglia: “Affrettiamo al possibile, perché sono sonate le 23 hore!”.
L’aspetto ridicolo del nepotismo di papa Alessandro fu nell’assegnazione degli incarichi: il nipote Marco, per quanto gobbo e zoppo, divenne sovrintendente delle galere pontificie, duca di Fiano e marito di Tarquinia Colonna, pronipote del cardinale Altieri.
Furono questi gli ultimi sprazi della Roma barocca, che rischiò di far saltare di nuovo l’economia dello Stato Pontificio ma la brevità del pontificato di Alessandro VIII non compromise l’equilibrio del bilancio.
Il grande evento culturale della Roma barocca si ebbe nel 1690 con fondazione dell' Arcadia, destinata a durare fino ad oggi.
Ad Alessandro successe Innocenzo XII (1691-1700), al secolo Antonio Pignatelli. Con il nuovo papa tutto svanì all’insegna di un rigore religioso che egli impose alla città e con la condanna del nepotismo con un’apposita bolla. Il che significava nessuna concessione di favori ai parenti e abolizione di qualsiasi forma di fasto; il papa arrivò addirittura a far demolire il Teatro di Tor di Nona.
L’unica preoccupazione del pontefice fu l’assistenza ai poveri e agli orfani, che provvide a far ricoverare presso l’edificio di San Michele a Ripa.
Fu sempre Innocenzo XII a volere la costruzione di palazzo Montecitorio destinato alla curia Innocenziana.
Il pontificato di questo papa finì con l’anno santo del 1700; nonostante Innocenzo fosse afflitto da podagra concesse udienze ai pellegrini finchè ne ebbe la forza. La sua morte segnò la fine della Roma barocca.