L'abitudine di riunirsi in un apposito luogo, specificatamente creato per ascoltare musica dietro pagamento di un biglietto d'ingresso, è abbastanza recente; nel Medioevo, ad esempio, i Trovatori ed i Trovieri suonavano espressamente per le corti che li ospitavano e così nel Rinascimento il musicista o i musicisti suonavano dinanzi ai nobili nei palazzi. Si trattava dunque di intrattenimenti riservati a pochi privilegiati e ovviamente gratuiti.
Solo più tardi furono costruiti teatri e sale da concerto in cui chiunque, pagando il biglietto d'ingresso, poteva assistere allo spettacolo. Con l'apertura dei teatri e delle sale pubbliche la musica divenne così anche un attraente affare commerciale.
Il primo teatro stabile concepito come unità architettonica fu il Teatro Olimpico di Vicenza del Palladio (1580): legato alla tradizione classica romana, il Palladio ricostruì la città all'interno dell'invaso teatrale mediante l'accorgimento prospettico del palcoscenico. Ad esso si possono collegare il teatro di Vincenzo Scamozzi a Sabbioneta (1589) e il Teatro Farnese a Parma di G. B. Aleotti, che fissò le caratteristiche tipologiche del teatro all'italiana (cavea allungata a U e file di panche per il pubblico meno abbiente, ordini sovrapposti di palchi indipendenti disposti ad alveare e accessibili dal retro, palcoscenico racchiuso nella cornice dell'arcoscenico e sopraelevato rispetto alla platea). Degno di nota il Teatro Scientifico di Mantova, dovuto al genio di Antonio Galli di Bibiena.
Mentre in tutta Europa, particolarmente in Gran Bretagna (teatro elisabettiano) e in Spagna (i corrales), si sviluppò un tipo di organismo adeguato ad un pubblico molto vasto, in Italia venne assumendo sempre maggiore importanza il carattere simbolico-rappresentativo dell'edificio teatrale, che ben si confaceva al contemporaneo progressivo consolidamento della borghesia cittadina. Frattanto si affermarono nuove tipologie di teatro: il teatro alla francese, molto simile a quello italiano, fino ad arrivare alla sala wagneriana ottocentesca in cui venne eliminata la distinzione dei posti.
L'acustica
Per quanto riguarda la forma della sala furono adottate varie strutture architettoniche per i teatri: ora a forma di cavallo, come il Teatro alla Scala o il San Carlo, ora a forma semicircolare, come nel teatro di Bayreuth o nel Teatro dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia, oggi ormai distrutto. Questo perché le onde sonore potessero essere riflesse in modo tale da non creare “zone d'ombra”, o zone dette “fuochi” in cui il suono risultava essere troppo alto.
Occorre tenere presente che anche la disposizione delle sedie, dei lampadari e delle eventuali colonne fu studiata in modo tale da non ostacolare o facilitare la diffusione delle onde sonore.
Per il rivestimento interno dei teatri venivano utilizzati materiali fonoassorbenti proprio per la loro proprietà di assorbire suoni e di non creare effetti d'eco: lo sono ad esempio i tappeti, le tende, e in genere tutto ciò che non riflette con troppa nitidezza e con troppa insistenza i suoni.
Anche il pubblico può essere un materiale fonoassorbente: una sala senza uditorio ha infatti un'acustica diversa da una stracolma di gente. Non solo: anche l'abbigliamento del pubblico, specie delle signore poteva diminuire la quantità di materiale fonoassorbente di un teatro. Per questo le signore furono presto invitate a non presentarsi con abiti troppo ingombranti.
La nascita dei teatri pubblici veneziani favorì lo sviluppo della grande scenografia melodrammatica come sarà intesa a partite dal Seicento su impulso dei fiorentini Giulio e Alfonso Parigi, quindi di Jacopo Torelli, il “mago” delle scene secentesche.
Dilettante proveniente da Fano, Torelli iniziò la sua attività a Firenze. Presto si affermò a Venezia e in seguito venne chiamato in tutte le capitali d'Europa uguagliando in fama i più celebrati interpreti vocali. Il suo campo d'azione più proficuo fu Venezia, per la compresenza di numerosi teatri e la fede assoluta, la confermano le prefazioni ai libretti, nell'arte scenografica come elemento di richiamo per il nascente genere operistico.
Introdusse veri e propri effetti speciali negli spettacoli dei teatri della Serenissima, come mostra questo bozzetto per una scenografia davvero d'impatto per l'opera Deidamia, rappresentata a Venezia nel 1644: le onde del mare erano realizzate in legno e, dotate di appositi congeni a rullo, simulavano una tempesta mentre il gigante, tridimensionale, era in grado di compiere semplici movimenti, tra cui impedire il passaggio delle navi rovesciandovi sopra il fuoco (vero!) della fiaccola.
Torelli perfezionò i “macchinismi” barocchi, capaci di abbattere palazzi o far comparire su nuvole dozzine di ninfe, e impose una caratteristica moltiplicazione illusoria dello spazio di palcoscenico attraverso la pittura del fondale (prospettiva all'italiana). Ulteriore passo avanti fu quello che portò in primo piano la funzione delle quinte risolvendo il problema degli interni. Agli inizi del ‘700 i trattati documentano la nascita delle scene “vedute per angolo” che saranno l'emblema di Filippo Juvarra e Ferdinando Bibiena.
Il teatro lirico
La storia del teatro lirico, quale edificio destinato esclusivamente alla rappresentazione di “opere in musica”, è legata all'avvento e allo sviluppo dell'opera lirica e inizia dopo oltre un trentennio dalle prime rappresentazioni del genere. I primi lavori drammatici in musica venivano infatti eseguiti in teatri di corte o privati, questi ultimi appartenenti a ristretti circoli aristocratici e culturali, cui si accedeva solo per invito. Palazzo Pitti a Firenze e palazzo Barberini a Roma costituiscono alcuni dei maggiori esempi di teatri privati.
Il primo teatro lirico a pagamento fu il San Cassiano, aperto a Venezia nel 1637 e inaugurato con l'Andromeda di F. Manelli. Ad esso seguirono, sempre a Venezia, i Santi Giovanni e Paolo nel 1639 e il San Moisé, pure aperto nel 1639, inaugurato con l'Arianna di Monteverdi.
Nel Settecento Venezia vantava ben sedici teatri pubblici, dei quali sette funzionavano contemporaneamente; i palchi erano riservati alle famiglie patrizie, che avevano fatto costruire e sovvenzionavano i teatri, mentre le platee accoglievano il pubblico pagante e le gallerie il personale di servizio addetto ai palchi.
Il Teatro La Fenice fu inaugurato nel 1792 e assunse fin da allora la funzione di maggior teatro lirico veneziano.
A Roma, oltre ai famosi teatri privati delle famiglie Barberini, Capranica, Ottoboni, della seconda metà del XVII secolo, si ebbe un teatro pubblico, il Tor di Nona, nel 1671. L'attività melodrammatica romana divenne però più intensa e regolare solo nel Settecento. In questo secolo furono aperti tra gli altri il teatro Valle e il Teatro Argentina che venne inaugurato nel 1732 con la Berenice di D. Sarro.
A Milano la vita del teatro lirico iniziò nel teatro delle Commedie e nel salone Margherita. Il primo, restaurato più volte e integralmente ricostruito nel 1686, ospitò un ricco repertorio musicale. Opere liriche e balli furono rappresentanti dal 1717 al Teatro Ducale (sorto al posto del Salone Margherita), la cui importanza si accrebbe rapidamente con l'esecuzione di opere dei maggiori compositori dell'epoca, italiani e stranieri, e dove furono date tra l'altro, in prima esecuzione, alcune opere del giovanissimo Mozart (composte durante i viaggi in Italia).
Famosi furono i teatri Napoletani. L'opera fu introdotta a Napoli nel 1651 ad opera del viceré, conte di Onate, per suo privato divertimento, esteso ad una ristretta cerchia della nobiltà locale. Da Roma il Viceré fece venire una compagnia d'opera che, in un teatrino fatto appositamente costruire nel Regio parco (gli attuali giardini di palazzo Reale), rappresentò il primo melodramma, L'incoronazione di Poppea di Monteverdi. Successivamente, dal 1654, fu attivo come teatro per l'opera in musica, e per un pubblico pagante, il teatro San Bartolomeo. Lo sviluppo dell'opera napoletana nel Settecento portò alla costruzione del San Carlo che dal 1737 sostituì il vecchio teatro San Bartolomeo; per l'opera buffa furono utilizzati dal 1709 il teatro dei Fiorentini, il Pace (dal 1724 al 1749) e il Teatro Nuovo (dal 1724 al 1878). In questi teatri minori furono rappresentati capolavori di Pergolesi, Piccinni, Paisiello, Cimarosa. Altri due teatri d'opera si aprirono a Napoli nella seconda metà del Settecento: il teatro del Fondo (oggi Teatro Mercadante) nel 1779 e il San Ferdinando (poi destinato alla prosa) nel 1790.
A Torino le rappresentazioni operistiche si effettuarono fin dal 1610 al Teatro dei Commedianti presso il Palazzo Ducale di San Giovanni, dal 1638 al Teatro delle Feste e infine dal 1740 al Nuovo Teatro Regio, costruito da Benedetto Alfieri, zio del poeta, e più volte restaurato.
A Parma le prime rappresentazioni teatrali ebbero luogo principalmente nel Teatro Farnese (1628), teatro di corte riservato agli invitati.
Intensa e attivissima fu l'attività teatrale di Bologna: rappresentazioni di opere ebbero luogo al Teatro della Sala, che aveva sede nel palazzo del Podestà ed era attivo dal 1547. Nel 1636 si aprì il Teatro Formagliari, nel palazzo omonimo, che fu subito sede di un'intensa attività operistica seguito da altri, il teatro Malvezzi (1651), il Marsigli Rossi (1710), l'Angelelli (dapprima privato, poi aperto al pubblico verso il 1710). Nel 1763 si inaugurò, con il Trionfo di Clelia di Gluck, il Teatro Comunale, costruito su disegno di Antonio Galli il Bibiena, destinato a divenire il più importante teatro bolognese.
Manifestazioni teatrali di vario genere si ebbero a Firenze presso Palazzo Pitti tra il 1600 e il 1630. Nel 1656, con l'inaugurazione del teatro degli Accademici Immobili della Pergola, iniziò a Firenze un lungo periodo di prosperità con l'opera musicale grazie anche al concorso del pubblico pagante di ogni ceto.
A Palermo i primi melodrammi furono rappresentati nel vecchio teatro dello Spasimo costruito nel 1582; tra le opere che vi furono date si ricorda il “Serse” di Cavalli nel 1658. Dal 1693 fu attivo il Teatro Santa Cecilia, affiancato, alcuni anni dopo, da un nuovo teatro, il Santa Lucia, che, ricostruito nel XIX secolo, cambiò il nome in Teatro Carolino (1809), in omaggio a Maria Carolina, moglie di Ferdinando I.
La suddivisione del teatro in zone distinte favorì subito una sorta di legame diretto tra la nobiltà (che s'impegnava ad occupare uno o più palchetti per tutta la stagione, oppure addirittura li acquistava) e gli impresari, mentre la zona centrale al piano terra, non più a gradoni, era prediletta dai ceti medi o meno abbienti. Furono i teatri veneziani ad inaugurare una prassi provocatoriamente ugualitaria rendendo accessibile lo spettacolo con il pagamento del biglietto. Questo fatto avvicinò molte fasce sociali e rivoluzionò l'organizzazione spettacolare, in quanto il gradimento del pubblico non poteva più essere considerato un elemento accessorio.
Interessante fu l'introduzione della barcaccia, un palco di gradi dimensioni posto ai due lati della sala vicinissimo al palcoscenico: ospitava generalmente gli spettatori che non volevano farsi notare dal pubblico in sala.
L'impresario
La gestione teatrale, malgrado il successo testimoniato dal ritmo delle nuove produzioni, dall'interesse crescente del pubblico e degli ospiti, non era impresa facile. Bancarotte e processi, concorrenze sleali e rivalità bellicose erano all'ordine del giorno. Gli impresari erano figure emergenti ma anche le vittime preferite.
Costui era sostanzialmente un finanziatore che anticipava, di tasca sua, il denaro necessario all'allestimento dello spettacolo e affrontava i numerosi problemi organizzativi che la realizzazione di un'opera lirica comportava. In particolare si preoccupava di commissionare l'opera ad un dato musicista ed eventualmente il testo della stessa ad un librettista; scritturare i cantanti necessari ad interpretarla; prendere contatto con l'orchestra che doveva eseguirla e con il direttore; commissionare allo scenografo la realizzazione delle scene; interpellare il costumista e coordinare il lavoro dei vari macchinisti che dovevano muovere le scene, regolare le luci, ecc.
Se l'opera aveva successo, essa veniva “replicata”, cioè ripetuta più volte e la vendita dei biglietti ripagava le spese intraprese; se invece l'opera non incontrava i favori del pubblico, si “faceva fiasco”, l'impresario andava in bolletta.
In passato talvolta il musicista stesso si metteva a fare l'impresario come nel caso di Handel che per un certo periodo della sua vita intraprese anche questa rischiosa e poco tranquilla attività. Bisticci tra i cantanti, rivalità tra i compositori, mutevoli gusti del pubblico, erano i problemi a cui un simile tipo d'attività andava incontro.
Con la nascita della figura dell'impresario nasce anche il ridotto. Per ridotto s'intende l'insieme dei locali circostanti la sala teatrale, a disposizione del pubblico che vi si intrattiene prima dello spettacolo e durante gli intervalli. Tradizionalmente il ridotto era adibito a bisca ed era una ricca fonte di introiti tanto che Venezia nel 1774 ne soppresse l'istituzione. Questa soppressione si rivelò però disastrosa perché come scrisse Goudar “I vizi sono assolutamente necessari alla vita dello Stato”.
I cantanti e il pubblico
Ben presto lo spettacolo d'opera si assesta attorno alla figura del cantante. Il divismo non è dunque un fenomeno recente: i cantanti celebri che andavano per la maggiore erano contesi a suon di denari e molto spesso l'impresa risparmiava sulle orchestre, sui ballerini e sui musicisti-compositori pur di assicurarsi la loro presenza. Ma la stagione teatrale non durava tutto l'anno e in genere lasciava scoperti nove mesi di attività. Nascono quindi le tournées che permettevano ai cantanti di lavorare e inoltre facevano conoscere altrove i titoli più fortunati del Carnevale. Queste compagnie operistiche di giro (celebre quella dei Febiarmonici che nel 1651 presentò a Napoli la monteverdiana“Incoronazione de Poppea”) favorirono i compositori, messi nelle condizioni di pensare il proprio lavoro in maniera più “libera”. Tra aggiustamenti autorizzati e arbitrari la nuova partitura nel giro di qualche tournée trovava la sua forma più adeguata ai gusti di un pubblico più vasto. Nella seconda metà del Seicento, i teatri pubblici sorsero anche in altre città: da allora furono soltanto i grandi cantati a muoversi, ma il fenomeno di popolarizzazione del repertorio continuò. Divenne caratteristica degli interpreti più famosi l'aria di bravura, cioè il pezzo di grande effetto, legato più all'interprete che all'autore (a volte neppure citato), che il divo inseriva in qualsiasi melodramma come momento culminante.
Il settore più pittoresco di un teatro dell'epoca era la platea, gremita di “sedie volanti” e di canapè a due o a tre posti. Una grossa aliquota era riservata alle cappe nere, i servitori dei palchettisti, pronti ad accorrere ad un cenno del loro signore; consideravano l'ingresso gratuito un loro sacrosanto diritto, e nessun impresario riuscì mai a far pagare loro il biglietto anche perché fra essi c'erano i segugi delle personalità del governo della cui autorità si sentivano investiti. In Italia la figura del “portoghese” era già un'istituzione.
La cosa meno importante nei teatri era la musica, completamente sopraffatta dai rumori della sala. Racconta il De Brosses: “La platea è pazza o ubriaca, o l'una e l'altra cosa insieme: nemmeno al mercato si fa tanto chiasso. Non basta che ognuno faccia conversazione gridando a perdifiato e saluti con urli i cantanti quando si presentano e mentre cantano, senza ascoltarli. No, i signori della platea esprimono la loro ammirazione picchiando i loro bastoni sui banchi. E a questo segnale, gli spettatori del loggione lanciano milione di fogli stampati con sonetti di lode del virtuoso o della virtuosa”.
I cantanti si comportavano esattamente come il pubblico. Spesso fingevano di cantare muovendo la bocca e risparmiavano la voce per la cavatina, quando le tende dei palchi si aprivano e per un attimo il brusio si quietava. Altrimenti fiutavano tabacco, discorrevano con gli spettatori, litigavano con l'orchestra. Erano talmente capricciosi e bizzosi che gli impresari avevano fatto costruire sotto il palcoscenico un camerino-prigione per i più agitati.
Il baccano era tale nei teatri che molto spesso i palchettisti dalle tendine abbassate non si accorgevano della fine dello spettacolo. Erano gli inservienti che li avvertivano bussando alla porta. C'era anche chi in un palco ci dormiva solo o in compagnia.