Con Newton la Rivoluzione scientifica iniziata da Copernico e Galileo giunge al suo compimento, sia sul piano del metodo che su quello dei contenuti, la metodologia di Newton ispirerà innanzitutto l’empirismo inglese che, a cominciare da Locke, elaborerà un concetto di ragione diverso da quello secentesco cartesiano. L’importanza di Newton non è solo scientifica, ma anche culturale e filosofica, poiché egli ha plasmato un’epoca del pensiero umano, divenendo un punto di riferimento imprescindibile del sapere dei moderni. Newton influirà profondamente anche sulla cultura illuministica, che vedrà in lui il metodologo per eccellenza ed il portatore dell’autentico modello del sapere.
Vita e scritti
Isac Newton nacque a Woolsthorpe il giorno di Natale del 1642, l’anno stesso della morte di Galilei. Entrò nel 1661 nel Trinity College di Cambridge, tra il 1665 e il 1667 un’epidemia di peste lo costrinse ad abbandonare Cambridge e ritornare a Woolsthorpe; al suo ritorno a Cambridge Newton conseguì i gradi universitari e nel 1669 successe al suo maestro nella cattedra di matematica. Si occupò dapprima di ottica e concepì quel telescopio a riflessione che anche oggi reca il suo nome. La Società Reale di Londra lo nominò allora suo membro; e Newton comunicò un’altra scoperta: quella delle varie rifrangibilità dei raggi che costituiscono la luce bianca.
Nel 1694 fu nominato Ispettore della Zecca di Londra, della quale in seguito divenne direttore. Newton adempì anche a questo ufficio con molta competenza e zelo. Nel 1699 fu nominato Membro straniero dell’Accademia delle Scienze di Parigi, nel 1703 fu eletto presidente della Società Reale di Londra; nel 1705 gli fu conferito il titolo di Sir.
A ottant’anni, nel 1722, subì un primo attacco di mal della pietra; un altro attacco di questo male lo condusse alla morte il 20 marzo del 1727. Una tomba sontuosa gli fu eretta nell’Abbazia di Westminster dove sono sepolti i re d’Inghilterra.
Nel corso della sua vita Newton aveva pubblicato, oltre i Principi matematici della filosofia naturale, l’Ottica e l’Arithmetica universalis.
Il calcolo delle flussioni
Il più importante studio del calcolo infinitesimale di esse è senza dubbio di Archimede che considerava la circonferenza come un poligono di infiniti lati, ognuno di lunghezza infinitesima. A questa idea non può essere dato un significato realistico: i segmenti costituenti i lati dei poligoni non saranno mai infinitesimi, a meno che non si riducano ad un punto tuttavia può essere considerata come il limite irraggiungibile di una serie di tali poligoni, e ciò allo scopo di ottenere la misura di essa con la massima approssimazione possibile. Le stesse osservazioni si possono fare a proposito dei volumi: un numero infinito di superfici.
Il riconoscimento del carattere puramente fittizio e utilitario dell’ipotesi che il continuo sia formato da elementi infinitesimi si trova nella Geometria degli indivisibili di Bonaventura Cavalieri (1591-1647). Un altro antecedente importante al calcolo integrale dell’opera di Newton in questo campo è l’opera degli analisti inglesi Isac Barrow (1630-1677).
Ecco il concetto generale del calcolo delle flussioni di Newton: la linea esser descritta non già come una addizione di parti ma come il movimento continuo di un punto. Analogamente, la superficie può esser descritta come il movimento di una linea; il solido come il movimento di una superficie; il tempo come un flusso continuo. Le quantità così generate sono dette da Newton fluenti. Esse variano di più o di meno a seconda della maggiore o minore velocità con cui ciascuna di esse cresce. Questa «velocità di accrescimento» è ciò che Newton chiama flussione.
L’idea fondamentale del calcolo newtoniano è che l’accrescimento, la costanza o la diminuzione di una quantità qualsiasi, possa paragonarsi agli stati successivi di un fluido in movimento. Ogni variazione della massa fluente, cioè ogni flussione, anche se piccolissima, può essere considerata nella sua velocità di variazione cioè nella sua flussione; si avranno così flussioni di flussioni e così via. Il metodo delle flussioni consente quindi di calcolare l’incremento continuo delle quantità matematiche mediante la considerazione delle variazioni minime, tendenti a zero, di queste quantità.
La gravitazione universale
Una leggenda vuole che l’idea della gravitazione sia venuta in mente a Newton da una mela che cadde da un albero, da qui la domanda: che cosa accadrebbe se la mela fosse caduta da un albero alto quanto la luna?
Copernico aveva riconosciuto la gravità come una forza che attrae tra loro i corpi celesti, Huygens aveva dato la formula della forza centrifuga, Giovanni Alfonso Borelli aveva osservato che per mantenere i pianeti nelle loro orbite, deve corrispondere alla forza centrifuga un’altra forza, centripeta o attrattiva. Newton con una sola formula esprimere la forza che mantiene i pianeti nelle loro orbite e quella che fa cadere i gravi sulla terra. Un corpo lanciato con una certa velocità iniziale lungo la tangente di un cerchio si muove per inerzia lungo questa retta, si incurva della sua traiettoria in modo da formare un’orbita circolare, è ad ogni istante una specie di caduta.
Nel 1682 il francese Picard fornì l’esatta misura del raggio terrestre dando a Newton la conferma fece definitiva della sua legge: solo dopo la conferma comunicò al mondo la sua scoperta, dapprima con le Proposizioni sul moto (1684) e poi nei Principi matematici di filosofia naturale (1687).
Con questa scoperta si poté riconoscere una causa perturbatrice del movimento dei pianeti; la terra non descrive intorno al sole un’ellisse, ma una ellisse perturbata dall’azione degli altri pianeti che le sono intorno.
Ammessa la forza attrattiva e ammesso che i pianeti si trovino in un determinato istante mossi da una velocità iniziale, la dottrina di Newton spiega in che modo l’inerzia del pianeta e la forza attrattiva esercitata su di esso dal sole si compongano insieme in modo che il pianeta descriva un’orbita ellittica. La legge di gravitazione universale tuttavia non spiega da dove gli derivino i pianeti la velocità iniziale. Newton ammette come causa l’atto creativo della divinità, che avrebbe comunicato ai corpi celesti un impulso iniziale. Laplace un secolo più tardi tentò una spiegazione naturalistica della velocità iniziale, considerando i pianeti generati dal distacco di una certa quantità di materia dalla massa fluida rotante del sole.
La dinamica
Il concetto di dinamica newtoniano si distacca dalla meccanica di Galilei e di Huygens per la generalizzazione del concetto di forza e l’estensione della validità delle leggi meccaniche all’intero universo.
La massa è distinta dal peso ed è definita come la quantità di materia che non cambia mai per un oggetto dato, mentre il peso è una forza che varia a seconda della regione del globo in cui il corpo si trova. La nozione di forza viene da Newton collegata con quella d’accelerazione enunciando il secondo principio della dinamica.
Così i tre principi base della dinamica:
1) principio d’inerzia: Ogni corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo e uniforme fino a quando non sia costretto a mutare tale stato da forze impresse. Questo principio, enunciato per la prima volta da Leonardo, era stato generalizzato da Galilei e Cartesio;
2) principio di proporzionalità tra la forza e l’accelerazione: la forza è proporzionale all’accelerazione, cioè alla variazione di velocità nell’unità di tempo, e non alla velocità stessa. Questo principio era conosciuto da Galilei limitatamente al fenomeno della caduta dei gravi, ma trascurato da Cartesio;
3) principio di azione e reazione. Ogni azione ha una reazione uguale e contraria, cioè le azioni reciproche di due corpi sono sempre uguali e di senso contrario. L’enunciato generale di questa legge è uno dei contributi più importanti di Newton alla meccanica generale.
Essenziale alla meccanica di Newton è il concetto di moto assoluto, che riferito allo spazio vuoto, suppone a sua volta un tempo e uno spazio assoluti. Newton poneva infatti un tempo assoluto «vero e matematico» fluente uniformemente, in sé senza relazione a qualcosa di esterno; e poneva pure uno spazio assoluto, anch’esso non relativo a qualcosa di esterno, ma permanente, sempre simile e immobile. Il tempo e lo spazio erano da lui considerati come luoghi delle cose: luoghi assoluti, non essendo concepibile che essi, come luoghi primari, si muovano.
L’ottica
La luce per Cartesio era dovuta all’elasticità di un fluido sottile, l’etere, nel quale la luce si trasmetterebbe istantaneamente. Il problema se la luce abbia una velocità finita di propagazione era stato già trattato da Galilei senza giungere ad una conclusione.
Nel 1675 dall’astronomo danese Olaf Ròmer, a proposito delle eclissi dei satelliti di Giove ne carpì l’essenza. Le leggi di Keplero permettono infatti di calcolare con esattezza l’istante in cui questi satelliti si debbono rendere invisibili; l’osservazione dà invece un tempo differente. La differenza di tempo si spiega se si ammette che la luce solare, per giungere alla terra, impieghi circa 8 minuti primi; il che significa che essa cammina a una velocità di circa 300 mila Km al minuto secondo.
Newton fece prevalere la teoria corpuscolare: l’agitazione dell’etere produce, nei corpi incandescenti, l’emissione di particelle luminose, che variano di grandezza a seconda del colore della luce. La percezione del colore, tuttavia, sarebbe prodotta dalla diversa frequenza delle vibrazioni prodotte dai corpuscoli luminosi sul nervo ottico. Le particelle luminose agiscono a distanza sulle particelle dei corpi, mettendole in vibrazione; queste vibrazioni si trasmettono all’etere.
Il metodo
Le considerazioni generali di Newton sul metodo e la scienza, sono profondamente diverse da quelle di Cartesio che ha inteso determinare l’unico possibile metodo per ben condurre la ragione. Egli ha ritenuto anche di aver determinato questo metodo nella sua forma definitiva, infallibile e onnipotente.
Le pretese di Newton sono assai pi ùmodeste. Le regole di Newton costituiscono non un sistema metafisico della ragione ma una guida per l’esercizio effettivo del lavoro scientifico.
L’ideale della scienza che Newton delinea è quello di una scienza puramente descrittiva dei fatti della natura e delle sue leggi: cioè di una scienza che eviti qualsiasi ipotesi metafisica o comunque qualsiasi ipotesi che trascenda le possibilità di verifica fornite dai fatti stessi. Questo è ciò che Newton intese dire con la sua affermazione famosa hypotheses non fingo, cioè: mi rifiuto di immaginare ipotesi che non risultano evidenti all’osservazione scientifica e non possono essere sottoposti al calcolo matematico.
Non sempre Newton si mantiene rigorosamente fedele a questo ideale della scienza come semplice descrizione dei fenomeni, tuttavia le regole che egli d ànei Principi delineano questo concetto della scienza che l’Illuminismo farà proprio.
Così Newton nei Principi le quattro regole:
1) “Bisogna ammettere solo quelle cause che sono necessarie per spiegare i fenomeni, giacché la natura non fa niente invano e farebbe cosa inutile se si servisse di un numero maggiore di cause per fare ciò che si può fare con un numero minore di cause.”
2) “Effetti dello stesso genere devono sempre essere attribuiti, finché è possibile, alla stessa causa.”
3) “Le qualità che non sono suscettibili di aumento e di diminuzione e che appartengono a tutti i corpi dei quali si può fare esperienza, devono essere considerate come appartenenti a tutti i corpi in generale.”
4) “Nella filosofia sperimentale, le proposizioni raggiunte mediante induzioni dai fenomeni, devono essere considerate, nono stante le ipotesi contrarie, esattamente o approssimativamente vere fino al momento in cui altri fenomeni le confermino interamente o facciano vedere che sono soggette a eccezioni… Un’ipotesi infatti non può indebolire i ragionamenti fondati su indicazioni suggerite dall’esperienza .“