Antonio Vivaldi nasce a Venezia nel 1678, da una famiglia di origini genovesi. La madre si chiama Camilla Calicchio; il padre, Giovan Battista, è un apprezzato violinista della Cappella di San Marco. Oltre ad Antonio ci sono altri tre figli maschi: Bonaventura e Francesco, di professione parrucchieri, e Iseppo. Francesco e Iseppo sono entrambi di carattere violento e finiscono per essere banditi dalla città: il primo per aver offeso un gentiluomo, il secondo per aver ferito un garzone in una rissa.
Antonio trascorre la sua giovinezza in un ambiente che non è congeniale alla sua sensibilità e temperamento; tuttavia le sue doti eccezionali riescono ugualmente a svilupparsi.
Comincia a studiare il violino sotto la guida del padre, in tenera età. Pare che a soli dieci anni fosse in grado di sostituire Giovan Battista nell’orchestra di San Marco. Forse gli studi musicali di Antonio si sono limitati alle saltuarie lezioni paterne, tuttavia molti hanno voluto giustificare la grandezza del compositore veneziano attribuendogli un maestro più illustre: il Giovanni Legrenzi, maestro della Cappella di San Marco. Ma è una supposizione non suffragata da alcuna fonte. Le notizie riguardanti la formazione del giovane Antonio sono vaghe: non sappiamo se abbia studiato privatamente o in seminario. Nel 1703 Antonio diventa sacerdote; per il colore della sua capigliatura riceve presto il soprannome di "prete rosso". Nel 1704 viene dispensato dal celebrare la messa per le sue precarie condizioni di salute: soffre infatti di una seria forma d'asma.
La dispensa non manca di far sorgere pettegolezzi sul suo conto. Si racconta: "Una volta che Vivaldi diceva la Messa, gli viene in mente un tema di fuga. Lascia allora l'altare sul quale officiava, e corre in sacrestia per scrivere il suo tema; poi torna a finire la Messa. Viene denunciato all'Inquisizione, che però fortunatamente lo giudica come un musicista, cioè come un pazzo, e si limita a proibirgli di dire mai più Messa". Questo era un modo pittoresco per giustificare l’abbandono della vita sacerdotale. Ma lo stesso Vivaldi, anni dopo, dà un’altra versione dei fatti, in una lettera al marchese Bentivoglio datata 1737: "Sono venticinque anni ch'io non dico messa né mai più la dirò, non per divieto o comando, come si può informare Sua Eminenza, ma per mia elezione, e ciò stante un male che io patisco a nativitate, pel quale io sto oppresso. Appena ordinato sacerdote, un anno o poco più ho detto messa, e poi l'ho lasciata avendo dovuto tre volte partir dall'altare senza terminarla a causa dello stesso mio male. Ecco la ragione per la quale non celebro messa".
Descrive il suo male a fosche tinte: "Io vivo quasi sempre in casa, e non esco che in gondola o in carrozza, perché non posso camminare per male di petto ossia strettezza di petto". Ma c'è una contraddizione evidente fra le affermazioni del musicista e la vita che conduce. Come è possibile che egli non fosse in grado di camminare e di stancarsi, se riusciva ad affrontare un'attività così impegnativa e faticosa come quella di compositore e di concertista? In ogni caso, dopo la dispensa si dedica totalmente alla musica e viene nominato maestro di violino presso uno dei quattro orfanotrofi veneziani, quello della Pietà.
Concerto n.2 Le Quattro Stagioni, l'Estate (terzo tempo)
Nonostante Vivaldi sia l'espressione più genuina e rappresentativa della civiltà musicale veneziana del Settecento, i compiti che gli vengono affidati non gli consentono di primeggiare in società. Nel 1692 Antonio Biffi succede a Legrenzi alla guida del servizio musicale nella gloriosa Cappella di San Marco e mantiene il posto fino alla morte, nel 1736. Impedisce così a Vivaldi di accedere al sacro soglio della Basilica, confinandolo tra i maestri che gestiscono la musica negli ospedali e nei conservatori della Serenissima.
L'Ospedale della Pietà è un ospizio analogo ai conservatori napoletani e palermitani, in cui trovano assistenza orfani, illegittimi e malati. Qui Vivaldi ricopre di volta in volta cariche diverse (maestro di cappella, maestro di coro, maestro di concerti) dapprima alle dipendenze di Francesco Gasparini - uno degli allievi di Corelli – e dal 1713 in veste di responsabile.
Grazie al lavoro e alla presenza di Vivaldi, le giovani cantanti e strumentiste dell'Ospedale della Pietà ottengono prestigio e rinomanza internazionale. Per esse Vivaldi compone la maggior parte dei suoi concerti, oltre a cantate e brani di musica sacra. Nascoste alla vista del pubblico da una fitta grata, le anonime musiciste ogni Domenica o giorno festivo fanno sfoggio della propria abilità, destreggiandosi fra virtuosismi di ogni genere. Le più abili raggiungono una certa fama negli ambienti musicali – fama che talvolta non è soltanto di natura artistica - ma il loro successo è tutto merito del "prete rosso", che per quelle "putte" dai nomi curiosi (l'Apollonia, l'Albetta, la Bolognesa, eccetera) impegna gran parte della sua fantasia inventiva.
Vivaldi rimane alla Pietà quasi tutta la vita, anche se per vari periodi riduce il suo lavoro all'orfanotrofio per dedicarsi all'attività di operista, che gli garantisce successo e denaro. Nel 1713 diventa impresario al Teatro S.Angelo di Venezia. La prima delle sue opere teatrali e' l'Ottone in villa, rappresentata a Vicenza nello stesso anno. Ne seguono altre 45, fra cui le più note sono Il Giustino (1724), Farnace (1726), L'Orlando (1727) e l'Olimpiade (1734).
Alcuni viaggi lo portano all'estero, talvolta in compagnia della cantante Anna Giraud: nel 1737 è ad Amsterdam come ospite d'onore per il centenario del teatro locale. Nel 1741 è a Vienna, questa volta senza un motivo apparente. Proprio a Vienna muore dopo pochi mesi, misteriosamente e in povertà.
La Follia
Le opere
La colossale opera di Vivaldi è stata riscoperta solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, e oggi appare in tutta la sua eccezionale qualità. Nell'epoca precedente il confitto mondiale era noto soltanto per i rapporti emersi con lo sviluppo degli studi su Bach, che era stato grande trascrittore di Vivaldi (rielaborò non meno di dieci concerti, sei dei quali dalla raccolta dell'Estro armonico).
La parte più consistente del repertorio delle musiche vivaldiane è conservato nella Biblioteca Nazionale di Torino, a cui le opere sono pervenute per donazione in due tornate distinte nel 1927 e nel 1930. Il patrimonio musicale di Vivaldi era appartenuto prima del 1745 al bibliofilo veneziano Jacopo Soranzo, e dopo il 1780 al conte genovese Giacomo Durazzo, ambasciatore imperiale a Venezia nonché direttore dei teatri imperiali di Vienna. Il Durazzo è noto per essere stato l'artefice principale della riforma del melodramma voluta da Gluck e Calzabigi.
Dall' opera Ottone in Villa, Come l'onda
Bisogna ascrivere a Ezra Pound gran parte del merito della riscoperta di Vivaldi. Il poeta e la moglie violinista Olga Rudge sono i primi intellettuali europei ad aver conoscenza del Fondo Durazzo e del suo prezioso contenuto vivaldiano: pressoché tutta l'opera del “prete rosso”, una collezione poi acquisita dalle famiglie Foà e Giordano e donata dalle stesse, in memoria dei figli tragicamente scomparsi, alla Biblioteca Nazionale di Torino. Nel 1939 viene organizzata la prima Settimana Musicale dell'Accademia Chigiana a Siena, dedicata appunto a Vivaldi.
Dopo alterne vicende si giunge alla redazione di un catalogo "definitivo" delle opere vivaldiane da parte dello studioso danese Peter Ryom, che nel 1987 a Copenaghen dà alle stampe il primo volume del Repertoire des Oeuvres d'A.Vivaldi, dedicato alle composizioni strumentali.
In effetti, più che ai lavori per il teatro o alla splendida produzione vocale sacra (tra cui bisogna ricordare almeno l'oratorio Juditha Triumphans scritto per la Pietà, i due Gloria, lo Stabat Mater e il Nisi Dominus), la fama di Vivaldi è legata alla produzione strumentale. Il "prete rosso" fa ricorso a soli due generi: sonata e concerto. Oggi gli vengono attribuiti 549 concerti, ma il numero varia in continuazione per effetto dei ritrovamenti che si verificano quasi ogni anno. Di questi, solo una parte è stata pubblicata e catalogata con numero d'opera progressivo. Fra i concerti vanno ricordate le raccolte l'Estro Armonico op. 3, La stravaganza op. 4, Il cimento dell'armonia e dell'invenzione op. 8, La cetra op. 9 e i Concerti per flauto op. 10.
La ricca fantasia di Vivaldi si esprime anche nella scelta dello strumento o degli strumenti solisti: oltre al violino e al flauto troviamo anche concerti per oboe, violoncello, viola d'amore, mandolino, tromba, fagotto e ottavino. Molti dei suoi lavori strumentali propongono anche un inedito realismo descrittivo, com'è il caso dei celeberrimi concerti de Le quattro stagioni, che aprono la raccolta op. 8. L'utilizzo di effetti imitativi e la personalizzazione dei motivi tematici garantiscono a Vivaldi una piacevole libertà espressiva che attenua la rigidezza della formula Allegro-Adagio-Allegro dei suoi concerti.
La freschezza, la forza espressiva, l'invenzione melodica di ciascun concerto annullano l'effetto di prevedibilità che la costante ripetizione delle stesse forme poteva creare. Non ha dunque reali motivazioni il pregiudizio di Stravinskij, secondo il quale Vivaldi avrebbe scritto non centinaia di concerti ma centinaia di volte lo stesso concerto. La monotonia dell'uniformità architettonica viene superata con il trattamento timbrico, gli impasti armonici, la disposizione degli strumenti. Frequentissimo è l'impiego della sordina; strumenti particolari intervengono ad arricchire con effetti insoliti (violetta, liuto, tiorba, salmoe, tromba marina, viole all'inglese, trombon da caccia, eccetera). In alcuni casi è previsto l'impiego della scordatura, ossia di una diversa intonazione delle corde; in altri casi si richiede un modo particolare di cavare il suono (ad esempio, il violino in tromba).
La musica descrittiva è un genere che mira all'imitazione della natura. Il fine dell'imitazione è quello di piacere, commuovere, intenerire. In una parola, lo scopo della musica descrittiva è il diletto. Le sensazioni, i fenomeni naturali, i caratteri vengono tradotti in immagini sonore. In Italia il genere è poco praticato: vi si preferiscono le forme pure e una strumentalità fine a se stessa, non schiava di immagini extramusicali. Lo stesso avviene in Inghilterra. In Francia e Germania, invece, si ricorre volentieri al descrittivismo.
L'indifferenza mostrata dai cembalisti italiani per la musica descrittiva ha una gigantesca eccezione in Antonio Vivaldi, che partecipa vivamente a quel modulo estetico. Una trentina di suoi concerti recano titoli più o meno descrittivi e programmatici: ai celeberrimi Concerti delle stagioni si aggiungono altri titoli come Il riposo, Il piacere, La notte, La tempesta di mare, Il gardellino, La caccia, La pastorella, eccetera. I Concerti delle stagioni vengono pubblicati ad Amsterdam nel 1725 e ottengono particolare successo in Francia, dove sono fatti oggetto di rielaborazioni.
La più grande intuizione di Vivaldi è quella di dare rilievo alla struttura formale e ritmica del concerto, ottenendo accattivanti contrasti armonici anche all'interno di ciascun movimento. Insuperabile nel trovare nuovi temi e nuove melodie, non ha rivali nel gioco della concertazione; ma soprattutto, è il primo musicista a comporre col preciso intento di stimolare il gusto del pubblico. I concerti di Vivaldi piacciono oggi al pari tre secoli fa perché non mostrano traccia di autocompiacimento erudito: al contrario lasciano intendere un senso di gioia nel fare musica, anche quando sono stati composti dietro impellenti necessità economiche. Si spiega così il successo che Vivaldi riscuote in tutta Europa: caso isolato fra i compositori italiani di musica strumentale, riesce a destare ammirazione anche in un paese di gusti allora particolari e nazionalistici come la Francia.