L’epoca barocca fu sotto il profilo religioso, ricca di scandali e abusi, ma ciò non deve far dimenticare i numerosi casi di religiosi che percorsero la dura strada della virtù e del sacrificio. Molti di loro godevano di grande fama tra i fedeli anche se non tutti ebbero l’onore degli altari.
Nel convento dell’Aracoeli, morì nel novembre del 1639, all’età di 106 anni, fra Taddeo de Tocco, frate converso in odor di santità che nella sua lunghissima vita si era nutrito esclusivamente di pane e acqua e avanzi dei poveri. Faceva il cuciniere nel convento e non aveva mai voluto sedersi nel refettorio comune.
Quando morì il suo corpo venne esposto per tre giorni sulla terra nuda; una folla di fedeli venne a venerare la sua salma che venne tumulata nella chiesa dell’Aracoeli. Dal suo sepolcro, secondo molte testimonianze, si sprigionava un incredibile profumo di viole.
Il convento dell’Aracoeli era una fucina di Santi. Attratto dalla fama di santità di due religiosi, Montaigne fece una visita in quel convento e ne trovò solo uno: “ Mi parve un uomo molto semplice ma molto sottile, quando discorreva di Dio. La sua camera era poverissima”. Il frate non poteva uscire dal convento perché la gente vedendolo arrivava a strappargli il saio per portarsi a casa qualche reliquia.
Nel 1622 vi furono solenni cerimonie per la canonizzazione di cinque santi: S. Isidoro, S. Francesco Saverio, S. Teresa d’Avila, S. Ignazio da Loyola e S. Filippo Neri. La canonizzazione fu seguita da feste memorabili: “grandissimi segni di allegrezza con suoni di tromba, di tamburi, di campane.. la sera poi si fecero gran fochi per tutte le strade e quasi”. Un’interminabile processione si mosse da S. Pietro il giorno dopo con i cinque stendardi dei santi elevati agli onori degli altari.. Nel corteo a tappe (ogni stendardo veniva deposto in una chiesa), avevano preso posto tutti i preti e i religiosi di Roma con croci e stendardi, ciascuno con una candela accesa.
Il culto dei santi si esprimeva spesso con manifestazioni di autentica isteria collettiva. Nel 1638, i padri dell’Oratorio furono costretti a nascondere il corpo di S. Filippo Neri per evitare che fosse smembrato.
Spesso le reliquie erano oltrechè raccapriccianti: cuore, interiora, denti, nervi che stando alle testimonianze operavano “infiniti miracoli e grazie”. Talvolta erano reliquie improbabili come nel caso delle due teste di S. Pietro e di S. Paolo che venivano esposte a San Giovanni in Laterano il sabato santo. Racconta Montaigne “ le teste avevano ancora la carne, il colorito e la barba, come se fossero vivi. San Pietro aveva un viso bianco un po’ allungato, carnagione vermiglia tendente al sanguigno, barba grigia a due punte e in testa una mitra papale; San Paolo aveva un colorito scuro, il viso largo e pieno, testa più grossa e folta barba grigia”.
Ma a San Giovanni in Laterano erano custodite un’infinità di reliquie ancora più improbabili: un brandello della tunica di Gesù e un frammento del pozzo della Samaritana.
Prodigi e miracoli
Il confine tra sacro e profano, tra religione e superstizione, tra fede e magia, nel Seicento appariva piuttosto labile e non solo a Roma. Le cronache del tempo sono piene di riti e feste, solenni cerimonie religiose emiracoli, di pratiche magiche e prodigi. La plebe facilmente portata, dalla disperzione, a cercare nel mondo del mistero e della magia, quella speranza che la vita quotidiana non riusciva a dare, era ovviamente più vulnerabile.
Prodigi e miracoli, autentici o presunti, provocavano un morboso fanatismo. Anche i fenomeni celesti agli occhi di molti non avevano una spiegazione razionale.
Durante gli Anni Santi i prodigi e i miracoli non si contavano. Ma si trattava, nella maggior parte dei casi di finti miracoli, escogitati da qualche imbroglione che intendeva speculare sull’ingenuità popolare. A Roma, nell’Anno Santo del 1650, uno storpio guarì miracolosamente durante una processione grazie ad un crocefisso portato da Firenze; ma era solo un espediente escogitato da un ladro per consentire ai suoi complici di rubare più facilmente.
Accanto ai miracoli finti, molti cronisti annotavano anche quegli veri. Vi erano molte immagini mariane venerate perché ritenute miracolose. La più famosa nel Seicento, era sicuramente quella che si trovava a Roma in Santa Maria della Vittoria. A questa immagine si attribuiva la vittoria della Montagna Bianca, riportata dall’imperatore Ferdinando sugli eretici, nei pressi di Praga, nel 1620, in piena Guerra dei Trent’anni. L’immagine era stata raccolta tra i rifiuti del castello di Pilsen dal carmelitano scalzo spagnolo Domenico di Gesù, che cavalcando in testa alle truppe imperiali con la sacra immagine, aveva dato il suo contributo deciso alla vittoria.
Ma anche i santi avevano un ruolo non trascurabile nei racconti popolari del tempo. Alle volte si trattava di inquietanti prodigi, di cui erano spesso tesimoni umili popolani. Nell’ottobre del 1615, vicino alla tomba di Cecilia Metella, un bifolco fu testimone di un prodigio mentre portava ad abbeverare la sua mandria. Improvvisamente le bestie si fermarono impaurite perché nel ruscello non scorreva acqua ma sangue. Spaventato il bifolco portò via il bestiame ma la curiosità lo portò a tornare sui suoi passi. Nel ruscello l’acqua era tornata a scorrere limpida. L’uomo ne bevve e gli parve buonissima ma la cosa particolare fu che guarì improvvisamente da una specie di rogna che da tempo lo infastidiva.
Un fiume di gente accorse alla sorgente miracolosa e vi furono, secondo molte testimonoanze, non poche guarigioni inspiegabili. Il luogo fu chiamato “acqua santa” e il papa dette ordineche vi si costruisse una vasca per le abluzioni dei malati.
Anche il cielo assumeva talvolta aspetti inquietanti. Nelle cronache del 1622 si apprende che nel cielo erano apparsi tre Soli in un cerchio. Si trattava ovviamente di un’eclisse ma l’avvenimento venne interpretato come presagio di sventure. I fenomeni celesti non erano considerati fenomeni naturali ma sinistri presagi. La gente osservava atterrita il cielo “solcato da frecce, saette, spade lucenti e scintille di fuoco, come se lassù fosse in corso un’animata battaglia”. Ancora più inquietanti i fenomeni osservati nel 1654: molti raccontavano di avere visto di notte strani fuochi e splendori nel cielo, mentre un corteo di fantasmi muniti di torce trascinava una cassa da morto.
Tra religione e superstizione, tra fenomeni celesti e miracoli, si insinuavano spesso pratiche magiche e astrologiche. L’astrologia esercitava da sempre un irresistibile fascino, per quanto contrastata da papi. Lo stesso Urbano VIII, che pure aveva varato nel 1631 la bolla Contra Astrologos, non ne era immune.