Nel seicento la commedia diventa sempre più un genere comico sviluppandosi pienamente nella Commedia dell’Arte. Con questo nome s’intende la forma di teatro praticata da compagnie di professionisti che organizzano, allestiscono e recitano uno spettacolo; arte quindi nell’accezione di mestiere.
La prima compagnia di comici dell’Arte fu fondata a Padova nel 1545, per il Seicento non si tratta di un fatto nuovo ma delle nuove dimensioni e della risonanza che portarono questa forma di teatro al successo in Europa. Il fenomeno ha un’origine colta e nasce dalla consapevolezza dell’autonomia dello spettacolo rispetto al testo scritto, dall’idea che il teatro è una forma di comunicazione che accanto alla parola usa la scena, il gesto, i costumi, le luci. Almeno dalle prime grandi compagnie di cui abbiamo testimonianza, il canovaccio non è inteso come un testo di natura e di livello inferiore rispetto a quello scritto in tutte le sue parti, ma come un testo diverso, che più si adatta alle esigenze del teatro.
I personaggi
La recitazione è rilevante in questa arte e richiede doti di mimo, di cantante, di musico, abilità acrobatiche e porta ad una specializzazione dell’attore come interprete. Per questa strada si giunse, attraverso la tipizzazione dei personaggi, alle maschere, nelle cui vesti il personaggio si presentava in ogni testo con le stesse caratteristiche: Pantalone, nel ruolo del padrone vecchio, ricco e rimbambito; Balanzone, come dotto pedante; Arlecchino, Pulcinella, Truffaldino, Colombina, come servi; Capitan Spaventa, Coccodrillo, negli atteggiamenti militareschi e fanfaroni del capitano; gli innamorati, che non portano maschera, sono Flavio, Isabella, Lelio.
Il personaggio della Commedia dell’Arte è una funzione scenica, deve mettere in moto un’azione, dare corpo ai contrasti e creare in modo immediato una polarizzazione tra condizioni sociali e situazioni diverse. Gli stessi intrecci ripetono schemi collaudati di peripezie che si concludono con il ristabilimento del l’ordine e attingono largamente al patrimonio della novella e della commedia scritta.
L'uso della lingua
La parlata regionale dei vari personaggi è spiegata dai primi comici dell’Arte come rispondente a una esigenza di verisimiglianza del tipo di teatro da essi praticato, e non si deve nemmeno dimenticare che i personaggi che diedero vita alle prime compagnie dell’Arte spesso erano anche dei letterati.
Una celebre attrice, Isabella Andreini (1562-1604), moglie di Francesco, è autrice di un canzoniere e di interessanti Lettere inviate a don Carlo Emanuele duca di Savoia, e Francesco Andreini (1548-1624), recitava nel ruolo prima di innamorato e poi di capitano, pubblicò nel 1607 le Bravure del Capitan Spaventa, una specie di repertorio del suo personaggio.
Questi attori ambivano ad un riconoscimento della loro professione e della loro scelta culturale, come del resto testimonia anche la vita di alcune famose compagnie che, secondo il costume delle accademie, si davano un nome ed intrattenevano rapporti con le corti. La più famosa, quella dei Gelosi (1568-1604), di cui facevano parte gli Andreini, recitò a Parigi e nelle più importanti città italiane; non meno celebri furono le compagnie dei Desiosi, degli Accesi, dei Fedeli, dei Con fidenti.
Dalla commedia dell'arte alla commedia
Tutto ciò va detto per ridimensionare l’interpretazione della Commedia dell’Arte come teatro di origine popolare: certamente fu una forma di spettacolo che i comici dell’Arte, spostandosi con il loro carro portarono sia nei centri cittadini e nelle corti che nei luoghi più periferici, e fu un teatro di facile godibilità che, essendosi costruito un linguaggio specializzato, poté essere riprodotto, se pure a vari livelli di spettacolarità, anche in modo del tutto ripetitivo.
Pertanto, passata questa prima gloriosa stagione, l’inventiva, la vivacità e in primo luogo la consapevolezza teorica dei comici dell’«improvviso» si offuscarono e cominciò a prevalere una pratica teatrale fondata essenzialmente sul mestiere e testimoniata da repertori di canovacci rozzi, di zibaldoni che raccoglievano tirate (cioè soliloqui dei vari personaggi), dialoghi precostituiti, lazzi con i quali i comici dell’Arte si aiutavano nella loro «improvvisazione».