La Venezia di Goldoni
Nelle Mémoires di Carlo Goldoni, la sua autobiografia, si legge: Non avevo ancora veduto Parigi e giungevo da città dove a sera bisognava circolare nelle tenebre. Ecco che le lampade di Venezia facevano una decorazione utile e piacevole, tanto più che non erano a carico dei privati. Indipendentemente da codesta illuminazione generale c’era quella delle botteghe, la maggior parte delle quali non chiudeva che a mezzanotte, mentre altre non si chiudevano mai.
Si vedevano a mezzanotte come a mezzogiorno tutti i generi commestibili in bella mostra, le trattorie spalancate, pronti ai pranzi gli alberghi e le locande, frequentate la Piazza e le vie adiacenti, gremiti i caffè dal bel mondo, uomini e donne d’ogni genere. Si cantava nei campi, nelle calli, lungo i canali. I commercianti cantavano anch’essi offrendo le loro merci. Gli operai cantavano lasciando il lavoro. I gondolieri cantavano attendendo i clienti.. Il fondo della nazione era la gaiezza, così come il fondo della parlata era l’umorismo.
Nel Settecento, infatti, per la condizione politica di relativa stabilità, l’attività fiorente dei traffici commerciali, il mito storico-artistico che la rendevano meta italiana obbligata dei viaggiatori, Venezia era la città italiana cosmopolita per eccellenza, d’identità unica eppure in relazione con tutto il mondo, città aristocratica per vocazione, brillante ma non snob, animata da nobili veri e falsi, borghesi, cicisbei, popolani autentici, uomini intraprendenti, ambiziosi, arguti.
Attiva e laboriosa ma anche allegra e festosa, Venezia era magica eppure densa di vita vera, teatro naturale che prepotentemente confluì in quello del grande commediografo Carlo Goldoni, l’artista che, forse, più di ogni altro seppe identificare l’atmosfera e il sapore della propria opera con quelli di un luogo.
Biografia di Carlo Goldoni
Carlo Goldoni nacque a Venezia il 25 febbraio 1707 e trascorse la fanciullezza nella villa del nonno presso Venezia, dove ebbe occasione di entrare in contatto con il vitalissimo mondo degli attori di cui il nonno amava circondarsi.
Studiò prima a Perugia e poi a Rimini, ma da qui fuggì su una barca di attori per raggiungere la madre a Chioggia.
Il padre, medico, avrebbe voluto fargli intraprendere gli studi di medicina, ma Carlo scelse gli studi di giurisprudenza a Pavia, città dalla quale fu, però, costretto a scappare per aver scritto una satira troppo spinta sulle donne della città.
Terminati gli studi a Padova, si spostò prima a Milano, poi a Genova, dove, nel 1736, sposò Nicoletta Conio, che gli fu amorosa compagna per tutta la vita, poi ancora in varie città della Romagna, infine approdò a Pisa, dove per tre anni esercitò la professione di avvocato, ma già la sua grande passione, il teatro, si era palesata, spingendolo a scrivere, nel 1734, “Belisario”, cui seguirono nel 1739 il “Momolo cortesan” e nel 1743 “La donna di garbo” avviando la riforma del teatro comico, che completando quasi del tutto intorno al 1744.
Tornato a Venezia nel 1748, si legò al grande capocomico Girolamo Medebac, stipulando un contratto di cinque anni; nacquero, in questo periodo, commedie importanti come “La vedova scaltra”, ”II cavaliere e la dama”, ”La famiglia dell'antiquario”, ”Le femmine puntigliose”, ”La bottega del caffè”, ”II bugiardo”, ”I pettegolezzi delle donne”, ”La moglie saggia”, “Le donne gelose”, ”La locandiera”, e, nel 1750, impegnatosi a comporre in un anno ben sedici commedie, ne scrisse addirittura diciassette.
Nel 1753 si legò alla compagnia del Vendramin, e fu in questo periodo che iniziò il suo antagonismo con un altro autore, l'abate Pietro Chiari, e, qualche anno dopo, anche con Carlo Gozzi.
Goldoni fu costretto, allora, ad assecondare i gusti del pubblico, scrivendo commedie romanzesche, pur continuando, però, a comporre opere di carattere ambientate a Venezia, offrendo un’immagine vivissima della città lagunare e della realtà veneziana settecentesca nelle sue varie componenti sociali: nacquero, così, nuovi capolavori, come ”II campiello”, ”Gli innamorati”, ”I rusteghi”, ”Un curioso accidente”, ”La casa nova”, ”Le smanie per la villeggiatura”, ”Sior Todero brontolon”, ”Le baruffe chiozzotte”.
Nel 1762, deluso per le critiche e per gelosia di mestiere, si congedò dal suo pubblico e si trasferì a Parigi, invitato come autore della ”Comédie italienne”.
In Francia fu costretto a ritornare alla commedia dell'arte, ma in seguito riuscì ad introdurre una sua commedia scritta, rappresentando nel 1771 ”Le bourru bienfaisant”, (II burbero benefico). Goldoni insegnò italiano anche alle principesse reali figlie di Luigi XV e dal 1784 al 1787 si dedicò alla stesura, in francese, delle sue memorie, “Mémoires”, una gustosissima autobiografia, vera miniera di notizie ed aneddoti della sua vita e della società del suo tempo. Morì a Parigi nel 1793.
La riforma della commedia
Fu Goldoni l’iniziatore della commedia modernamente intesa; fu lui, infatti, ad avviare la riforma e ad attuare il superamento della vecchia commedia dell'arte, che aveva una gloriosa tradizione ma che ai suoi tempi era in declino.
Fino ad allora nel nostro teatro, aveva dominato la commedia dell’arte o a soggetto, genere di spettacolo nato verso la metà del XVI secolo, caratterizzato da improvvisazioni regolate da uno schema, detto scenario o canovaccio, preparato dal capocomico o dal poeta della compagnia, e dalle maschere,recitata non da dilettanti, ma da attori professionisti (arte, nell'antica accezione significava, appunto, mestiere, professione) che, su un canovaccio puramente indicativo, di volta in volta improvvisavano i dialoghi e le battute, creando, di fatto, così la commedia.
Per mancanza di dignità artistica negli attori, preoccupati di sollecitare l’applauso dello spettatore facendo leva sui loro più bassi istinti, attraverso i lazzi, cioè azioni mimiche o battute comiche piuttosto volgari, le rappresentazioni erano ben presto degenerate, causando anche l’allontanamento del pubblico borghese da questo tipo di rappresentazione e, conseguentemente, un decadimento ancora maggiore del genere, poiché gli attori, per adattare sempre più la loro recitazione al gusto del pubblico plebeo e spesso rozzo, avevano ancor più accentuato le volgarità e le trivialità.
A nulla erano valsi i vari tentativi di risollevare le sorti del teatro comico italiano ma Goldoni, concentrando l’attenzione sugli elementi vitali della commedia dell’arte, cioè la vita che si svolgeva intorno agli attori e agli spettatori e la spigliatezza del dialogo, convinto che bisognasse restituire dignità letteraria e artistica ad un genere teatrale decaduto, portando sulla scena un mondo reale, multiforme e vario, animato non da tipi fissi, astratti, ormai del tutto anacronistici (il servo, il bugiardo, l’innamorato) ma da personaggi veri che rappresentassero i contraddittori aspetti del sociale, riuscì a riformarlo, eliminando innanzitutto la recita a soggetto ed introducendo un copione scritto al quale gli attori dovevano attenersi: le prime commedie in cui attuò questo cambiamento furono il “Momolo cortesan”, di cui scrisse solo la parte del primo attore, e poi “La donna di garbo”, di cui compose l'intero copione.
Goldoni, portò, così, il mondo sulla scena, un mondo multiforme, con personaggi in fermento, in varietà di emozioni, diversità di caratteri, consentendo agli attori di non restare prigionieri in schemi fissi, in maschere che li imprigionassero per la vita, offrendo loro la possibilità di impersonare di volta in volta, pur in adesione al reale, ruoli sempre diversi, in complessità di atteggiamenti e in ricchezza di sentimenti.
Bibliografia
G. Ferroni, Storia della letteratura italiana, vol. 2, Torino, Elemond, Einaudi, 1991
M. Pieri, Il teatro di Goldoni, Bologna, Il Mulino, 1993