Tra i molti rimatori del Seicento che si mossero sulla scia del Marino(Claudio Achillini, Girolamo Preti, Girolamo Fontanella, Giuseppe Battista, Giuseppe Artale, Giacomo Lubrano), accogliendone la sua poetica, volta a suscitare nel pubblico la “meraviglia” attraverso esuberanti forme barocche, ma che pure seppero offrire accenti personali e proporre temi nuovi (insistente fu il tema del trascorrere del tempo e della morte), si annovera anche il friulano Ciro di Pers, che raggiunse risultati intensi, traendo dal repertorio barocco immagini cupe sulla caducità e sulla vanità della vita, sulle minacce gravanti sulla condizione umana e sull’incombere della morte, distinguendo le sue poesie nella schiera dei canzonieri marinisti per l’applicazione del metaforismo ad una tematica religiosa e meditativa.
La vita di Ciro de Pers
Ciro di Pers nacque nel 1599, dalla famiglia dei signori di Pers, nel castello omonimo, ma studiò a Bologna, dove frequentò l’Achillini ed il Preti.
Entrò nell’ordine dei gerosolimitani dei cavalieri di Malta e, in occasione di un viaggio verso l’isola di Malta, partecipando a una spedizione contro i Turchi, soggiornò a Ferrara, dove conobbe il poeta Fulvio Testi. Rientrato, poi, in Italia non si mosse quasi più dal suo castello, dove trascorse il resto della vita, in contatto con letterati e accademie di area veneta. Morì nel 1663.
Quasi tutti i suoi scritti sono postumi: una tragedia (L’umiltà esaltata ovvero Ester Regina, Bassano 1664),Poesie (Firenze 1666), più volte riedite sino all’edizione più completa (Venezia 1689).
L'opera
Marinista tra i più autentici, ed uno dei più esperti stilisticamente, scrisse decorose liriche civili e moraleggianti (come Italia calamitosa, in cui tracciò un fosco ritratto dei mali d’Italia del tempo), con evidenti influssi del Testi, anche versi delicati dedicati alla nipotina vissuta solo pochi giorni (Per una nipotina dell’autore, che visse pochi giorni…), ma raggiunse risultati migliori nelle rime argute e immaginose più chiaramente ispirate al Marino, in certi versi più semplici, quasi popolareggianti, e nelle meditazioni drammatiche su temi vitali per la poesia barocca, come lavanità del vivere, la miseria dell'umana grandezza, la devastante vecchiezza, con il suo disfacimento e la sua corruzione dell’umana beltà (molte le poesie dedicate alla donna e ai vani tentativi femminili di rimediare ai danni causati alla bellezza: Bella donna con un fanciullo in braccio, Bella dipanatrice,Bella penitente,Lidia invecchiata vuol parere giovine, Per la medesima), la morte incombente e la tomba, temi sui quali maggiormente s’infervorò, con accenti talvolta preromantici.
Il sentimento del tempo
Nella lirica europea del ‘600 costante fu il tema dell’orologio che, implacabile, scandisce l’incessante fluire del tempo e spinge l’uomo ad una ossessiva meditazione sulla morte.
“Tempo” è vocabolo che deriva dal latino medievale temps, la cui radice significa “tagliare”: taglia (miete), infatti, il tempo, le ore dell’esistenza terrestre, dunque è il ministro della Morte, alla quale fornisce le vittime predestinate (perciò spesso fu rappresentato sotto le spoglie di un demone dai denti di ferro, ritto in mezzo a rovine o in desolati paesaggi) e simbolo della caducità di ogni cosa.
In greco, invece, “tempo” è chronos, parola simile a Kronos, il nome del dio che divorò i suoi figli, in latino chiamato Saturno, perciò l’immagine di Saturno divoratore dei figli fu assimilata all’immagine del tempo che tutto ciò che ha creato divora, come nel quadro di Rubens, Saturno che divora il figlio, in cui il dio vecchio e canuto è rappresentato nell’atto di divorare la sua creatura.
La spiritualità barocca fu colpita dal mutevole e dal transitorio, dal valore effimero, fugace della vita, perciò i poeti, mai come nel Seicento, amarono meditare sul sentimento del tempo (intrecciandolo al tema della morte oltre la quale, contrariamente a quanto avveniva in età medievale, non intravedevano alcuna traccia d’eternità, perciò la fantasia barocca insisteva sugli aspetti sepolcrali, la corruzione del corpo nella tomba, lo scheletro, la polvere) e furono ossessionati dal tema dell’orologio, sia come congegno meccanico che come meridiana o clessidra, a ruote, a sole, ad acqua o a sabbia, che scandisce le ore, perché materia implicante svariate possibilità simboliche atte a suscitare la sorpresa nel pubblico e perché metafore esistenziali, di transitorietà, caducità, consunzione, mortalità.
Famoso il componimento del poeta spagnolo Francisco de Quevedo, La clessidra (che suggerisce le metafore esistenziali della polvere (la consunzione, la mortalità) e del vetro (la fragilità), in cui il poeta esprime il rifiuto ad assoggettarsi alla misura del tempo, implacabilmente scandito dall’oggetto, ed insieme la certezza dell’ineluttabile morte.
La clessidra
Che hai tu da contar, clessidra fastidiosa,
in un soffio di vita sventurata
che sì presto trascorre?
In un cammino che è breve giornata
e stretta da questo all'altro polo,
giornata che non è che un passo solo?
Poiché se son gli affanni e le pene
comprender non potresti se capace
vaso tu fossi delle arene
dove l'eccelso mar trattiene il passo.
Lascia passare l'ore senza udirle,
contarle io non voglio
ne che tu mi annunci in questo modo
i termini forzosi della morte.
Non farmi ormai più guerra,
lasciami e nome di pietosa acquista,
che troppo è il tempo che m'avanza
per dormir sotto terra.
Ma se per caso questo è il tuo ufficio,
di misurar la mia vita,
presto riposerai, poiché le pene
tremende
che alimenta lacrimoso
il cuor preoccupato e dolente,
la fìamma ardita che amore,
me triste!, ardere fa nelle mie vene
(meno di sangue che di fuoco piene),
non solo affretta la mia morte,
ma il cammino raccorcia:
ché con piede dolente,
misero pellegrino,
giro intorno alla nera sepoltura.
Ben so che sono alito fuggente;
ormai io so, e temo e anche spero
d'esser polvere, come te, se muoio;
e che sono vetro, come te, se vivo.
Traduzione di G. Bellini.
Anche Ciro di Pers, in diversi componimenti (Miseria umana,Orologioda polvere, Orologio da sole, Orologio da rote) affrontò, ma senza concettismo virtuosistico, il tema dell’orologio, in luttuosa consapevolezza dell’inevitabile destino di morte; esemplare è il suo Orologio da rote che, in stridula nota, scandisce il sentimento del tempo che conduce alla morte.
L’orologio da rote
Nobile ordigno di dentate rote
lacera il giorno e lo divide in ore,
ed ha scritto di fuor con fosche note
a chi legger le sa: Sempre si more.
Mentre il metallo concavo percuote,
voce funesta mi risuona al core;
né del fato spiegar meglio si puote
che con voce di bronzo il rio tenore.
Perch’io non speri mai riposo o pace,
questo, che sembra in un timpano e tromba,
mi sfida ognor contro all’età vorace.
E con que’ colpi onde ‘l metal rimbomba,
affretta il corso al secolo fugace,
e perché s’apra, ognor picchia alla tomba.
Orologio da rote è basato sul metaforismo verbale ed intriso di una tinta fosca caratteristica dei motivi morali e religiosi del secolo e, spesso, anche di quelli paesistici.
Sempre si more, verso non d’immediata comprensione, infatti bisogna decifrarlo (a chi legger le sa), è il probabile anagramma di un motto reale (potrebbe essere serpe mi morse, essendo il serpente, animale caratterizzato da un simbolismo polivalente, anchesimbolo di morte e, nell’iconografia rinascimentale, attributo delle divinità del Tempo), piegato al senso della caducità della vita.
L’orologio ha una voce di bronzo, funesta, perché la sua risonanza fa pensare alla morte, il suo cupo suono è simile alla voce del destino, avverte che bisogna sempre lottare contro il tempo che tutto divora, che tutto distrugge, i suoirintocchi sono come altrettanti picchi sulla tomba perché si apre ad inghiottire: ogni rintocco, dunque, avvicina alla tomba.
Tutto il componimento ha accenti drammatici, violenti, traumatici (lacera, percuote, risuona, sfida, rimbomba), a significare l’implacabilità del tempo che continuamente determina la morte,esigendo, così, sempre nuove sepolture.
Nell’ impressionante verso finale è riconoscibile l’immaginazione teatrale del Seicento, che non sempre giova alla poesia ma che, in questo caso, contribuisce a rendere più sinistra, inquietante, e fascinosa, l’immagine del tempo che trascina gli uomini alla tomba.
Bibliografia
Marino e i marinisti, a cura di G. G. Ferrero, Ricciardi, 1954, Milano
G. Getto, Il Barocco letterario in Italia, Mondadori, 2000, Milano
M. Battistini, Simboli e allegorie, II parte, Electa, 2004, Roma
L. Impelluso, Eroi e dei dell’antichità, II parte, Electa, 2004, Roma
L. Impelluso, La natura e i suoi simboli, II parte, Electa, 2004, Roma
R. Spongano, Antologia della letteratura italiana, vol.II, Principato, 1964, Milano
G. Ferroni, Storia della letteratura italiana, vol. II, Einaudi, 1991, Milano
Poesia italiana(Seicento, Settecento), Einaudi, 1999, Torino