La giovinezza
Pietro Metastasio nacque a Roma nel 1698, figlio di Felice Trapassi, soldato dell’esercito pontificio e poi pizzicagnolo. Fu tenuto a battesimo dal potente cardinale Ottoboni che le malelingue gli attribuirono come vero padre e che in realtà lo trattò e protesse come un figlio. A Pietro non mancava nulla per farsi amare, anzi fu questa l’arte in cui più eccelse fin da bambino: ero bello, mansueto, spiritoso ma senza insolenza, e dotato di un orecchio musicale che gli permetteva di improvvisare con estrema facilità rime e sonetti. A 12 anni nella bottega di un orefice, dov’era stato messo come apprendista, fu udito improvvisare da G.V. Gravina.
Gravina era un autorevole giurista che aveva redatto lo statuto dell’Arcadia. Colpito dal talento del ragazzo se lo prese addirittura in casa per avviarlo allo studio del diritto e farne il proprio successore. Fu lui a tradurgli nel greco Metastasio il nome Trapassi, che tutta la famiglia adottò sentendosene culturalmente nobilitata. Il ragazzo si dimostrò all’altezza dell’alto onore digerendo con disinvoltura i testi classici, Pindaro, Tibullo, Catullo, Ovidio, che il maestro gli diede in pasto.
Paffuto come un amorino fu accolto come un pastorello in Arcadia con lo pseudonimo di Artino Corasio, dopo avere affrontato in singolar tenzone e battuto per prontezza ed eleganza di versi i più noti improvvisatori del tempo, come Rolli, Vannini, Perfetti.
Il Gravina però voleva che il suo pupillo diventasse abate e avvocato, due mestieri sicuri e il discepolo non si ribellò perché la sicurezza economica interessava anche a lui.
Prese la tonsura ma senza l’obbligo di dir messa e ottenne dal Papa un vitalizio, 300 scudi l’anno. Poco dopo il Gravina morì lasciandolo erede di un patrimonio di circa 15 mila scudi e ciò per il Metastasio significò il benessere. Il suo dolore per la morte del maestro fu sincero. Pretese per il Gravina splendidi funerali e scrisse in suo onore un elegia che fu letta anche in Arcadia.
Il periodo napoletano
Cominciò in quel periodo per il Metastasio un intermezzo di dissipatezza tra gioco e galanterie cui posero fine un po’ la sfortuna per le carte e un po’ una lite con gli altri eredi del Gravina che costrinse il poeta ad una rovinosa transazione.
Si ritrovò quasi povero; decise allora di trasferirsi a Napoli per fare l’avvocato nello studio legale del Castagnola, uomo severo che detestava i poeti.
Metastasio continuò a frequentare l’ambiente letterario di nascosto, entrando presto in contatto con uomini come Vico e Giannone. È in questo periodo che cominciò a frequentare la casa di Marianna Pignatelli.
Napoli era allora feudo dell’Imperatore d’Austria, Carlo VI. Il sovrano era afflitto dal problema della successione, e grandi furono i festeggiamenti quando l’Imperatrice Elisabetta Cristina si ritrovò incinta. A Napoli il cardinale d’Althan, cognato della Pignatelli, volle che il lieto evento venisse poeticamente consacrato, come era allora in uso, e commissionò un melodramma al Metastasio.
Questi dapprima rifiutò temendo di perdere il suo posto presso il Castagnola poi accettò a patto che il componimento rimanesse anonimo.Il melodramma lo intitolò gli “Orti Esperidi” che gli valsero un compenso di 200 ducati e venne musicato dal maestro Sarro.
Il lieto evento fu una delusione perché invece del sospirato maschio nacque una femmina (la futura Imperatrice Maria Teresa), ma l’opera venne ugualmente rappresentata ottenendo un grande successo tanto che tutti vollero sapere il nome dell’autore.
La “Romanina”
La più incuriosita fu la soprano Marianna Benti (la prima delle tre Marianne del Metastasio), detta la “Romanina”, che per conoscere il nome dell’autore arrivò a corrompere il segretario del cardinale, il quale ovviamente rivelò il segreto. Tutta Napoli lo venne a sapere e anche il Castagnola che, come era prevedibile, licenziò il poeta.
Ma la Romanina sperava proprio in questo. D’accordo con il marito ospitò il Metastasio, ormai disoccupato, in casa propria e gli fece dare lezioni di musica dal celebre musicista Nicola Porpora. Poi, sempre in perfetto accordo con il marito, se lo prese come amante. Nel Settecento queste convivenze a tre erano molto comuni e nessuno se ne scandalizzava. La Benti ormai quarantenne non era una grande soprano; in compenso era un’ottima attrice, sensuale e saggia. Metastasio le piaceva non solo perché era un bel giovane, elegante, curato e brillante conversatore, ma soprattutto perché per lei era un buon investimento. Aveva capito che il Metastasio era la migliore assicurazione per la vecchiaia ormai alle porte. Gli fece subito comporre un altro melodramma, fatto su misura per lei, che era la primadonna: “Didone abbandonata” che ebbe uno strepitoso successo. In meno di un secolo il libretto fu adottato da ben quaranta compositori.
Il periodo romano
La Romanina fu per Metastasio una buona amministratrice dei suoi risparmi. Con lui la donna si trasferì a Roma e per legarlo ancora di più a se, si prese in casa anche il padre e il fratello del poeta. Qui aprì una scuola di canto di cui fu allievo una stella della lirica del settecento: il castrato Broschi detto “Farinelli”.
Ormai nel pieno del successo, il Metastasio era tenuto in palmo di mano dall’Arcadia e da Apostolo Zeno che gli rese omaggio in una lettera. La sua nuova opera, “Siroe” mandò in visibilio mezza Europa e l’impresario Aliberti gli commissionò un’altra opera, “Catone in Utica” che fu il suo unico fiasco: troppi toni drammatici e così tanti morti non si addicevano al Metastasio e lo capì anche lui. Dopo alcune repliche, Catone andò a morire dietro le quinte e gli spettatori lo appresero dal racconto che ne fecero i suoi amici. Così il fiasco si tramutò in successo e l’Aliberti propose al poeta un nuovo contratto di 300 scudi a opera. Ma Metastasio, comprendendo i rischi dell’inflazione non compose mai più di due opere all’anno.
Nel frattempo nel cuore del poeta prendeva il sopravvento un’altra Marianna: Marianna Pignatelli-D’Althan, che aveva già frequentato a Napoli e che nel frattempo era divenuta prima dama alla corte di Vienna e favorita dell’Imperatore. Più giovane della Romanina, la nobildonna convinse l’imperatore a chiamare Metastasio a Vienna come poeta di corte al posto dell’oramai anziano Apostolo Zeno. Le “trattative” furono condotte dalla stessa Romanina che riuscì a spuntare per il poeta la bellezza di 3000 scudi l’anno, ma rinunciò a seguire l’amante.
Di passaggio a Venezia, Metastasio ebbe un’avventura galante con la celebre Barbara Gritti. A Vienna si accasò come ospite presso il gentiluomo napoletano Martinez.
Il periodo viennese
Vienna gli piacque e anche lui piacque ai viennesi: era cortese ed amabile e parlava molto bene il tedesco oltre che il greco, il latino, il francese e lo spagnolo. Era molto curato e faceva un forte uso di creme e profumi. Inoltre curava la sua salute senza darsi a nessun tipo di eccesso. Cinque ore al giorno erano dedicate al componimento di versi. Scriveva i versi sulla lavagna e gli canticchiava accompagnadosi al clavicembalo con il maestro Popora che che gli aveva rivelato molti segreti.
Se non era convocato a corte, pranzava presso Marianna, nel cui castello trascorreva l’autunno. La loro relazione era discreta ma la Romanina, quando ne fu a conoscenza partì per Vienna, disperata e furiosa, tentando anche il suicidio a Venezia.
Molto turbato per lo scandalo, Metastasio mandò l’abate Riva dal marito della Romanina, per convincerlo a riprendersi la moglie.
La Romanina morì alcuni anni dopo, lasciando all’infedele amante tutto il suo patrimonio. Il poeta con molto stile rinunciò all’eredità lasciandola al vedovo; dopo di che prese il lutto, vale a dire rinunciò alle visite serali in casa di Marianna che andava lei da lui, dalle sette alle dieci di sera.
Un uomo appagato
Metastasio era ormai famoso e godeva di immenso prestigio in Europa. Corrispondeva con Federico II, con Caterina II di Russia, con Voltaire, Diderot, D’Alembert; corteggiato e ricoperto di doni. Quando scoppiò la guerra di successioneal trono, fu proclamata l’austerity e anche il teatro andò in crisi, ma il Metastasio era ormai talmente ricco che nemmeno se ne accorse.
Nulla sembrava turbarlo. Rinunciò persino al titolo nobiliare che gli concesse la città di Assisi, sua patria di origine, per non doversi spostare da Vienna.
Quando il maestro Porpora , povero e malato gli chiese aiuto, il poeta con sublime egoismo girò la supplica a Farinelli: “ Vi sarò personalmente obbligato se mi vorrete evitare il dolore di vedere il naufragio d’un uomo, per il quale abbiamo sentito rispetto”.
Nella soffitta della sua casa abitava Franz Joseph Haydn, che egli ammirava, ma per il quale non mosse un dito quando seppe che aveva gravi problemi economici.
L’unica cosa che lo colpì veramente fu la perdita di Marianna che aveva segretamente sposato. Smise di scrivere, rinunciò ad ogni tipo di mondanità, e rinunciò al titolo di barone e alla croce di Santo Stefano che Maria Teresa d’Austria gli aveva offerto.
Gli ultimi anni
Dopo la morte di Marianna, il poeta smise persino di uscire e trovò consolazione in un’altra Marianna, figlia di Martinez, il suo anfitrione. La ragazza aveva sedici anni e lui ormai cinquanta, quando cominciò ad impartirle lezioni di musica e di canto. Metastasio fu per Marianna Martinez un Pigmalione ed essa divenne una delle più grandi interpreti dei suoi lavori.
Sebbene anziano, il poeta conservava ancora bellezza e fascino, ma era diventato malinconico e misantropo. Il suo mondo, fatto di cipria, parrucche e melodramma era agli sgoccioli e i protagonisti di quell’epoca stavano svanendo anche loro. Quando morì anche l’imperatrice Maria Teresa, dalla quale era sempre stato molto ammirato (il Metastasio fu insegnante di italiano dell’arciduchessa Maria Antonietta, futura regina di Francia), Giuseppe II abolì tutte le pensioni concesse dalla madre, compresa quella concessa al poeta, che ne fece una tragedia. Di denaro il Metastasio non aveva bisogno ma l’abolizione della sua pensione era un segno di eclissi.
Morì ad ottantaquattro anni a Vienna nel 1782. Nel suo testamento aveva ordinato che il suo corpo fosse sottoposto ad autopsia “per scoprire gli sconcerti della mia salute”.
Il compianto per la sua morte fu universale, come universale era stata l’ammirazione per il poeta; in suo onore fu coniata uname daglia d’oro con la scritta Sophocli italico.
La critica
Il Metastasio fu un temperamento idilliaco, scarso di volontà, amante del viver quieto, ordinato, alieno da odio e invidia, equilibrato e sostanzialmente ottimista. Pertanto il mondo tranquillo e decoroso, idilliaco e galante dell’Arcadia e le facili e superficiali commozioni sentimentali della vita mondana del ‘700 trovarono in lui l’espressione più felice e genuina. Fu l’unico poeta di fama a livello internazionale che abbia avuto l’Italia nel Settecento. Mozart lo idolatrava, Vincenzo Monti gli dedicò la “Giunone placata”, Ludovico Muratori il “Rerum italicarum scriptores”, perfino lo scorbutico Baretti, per potergli tributare un elogio, scrisse che Metastasio non aveva nulla a che fare con l’Arcadia. Tanta ammirazione non era del tutto infondata. Metastasio ebbe come nessuno il senso musicale del verso. Fu lui l’inventore e l’insuperato maestro del “bel canto” italiano che avrebbe di lì a poco conquistato il mondo.
La sua canzonetta “A Nice” e quella “La partenza” sono le cose migliori della lirica arcadica.
Poeta di profonda cultura e gusto scrisse, su ordinazione di Diderot, il saggio sul teatro greco per l’Enciclopedia, rivelando un acume critico nettamente in anticipo sui tempi.
Vernon Lee lo paragonò a Jean Racine e in effetti nel melodramma, egli toccò il punto più alto. Per il dramma invece gli mancava la passione perché probabilmente egli stesso, come uomo, non ne provò alcuna. Gli eroi delle sue opere sono galanti e piangono più di quanto non soffrano; le sue delicate eroine sfiorano la tragedia ma poi riescono a cadere nel patetico.
I suoi melodrammi più famosi, oltre alla “Didone”, sono il “Siroe”, il “Catone in Utica”, l’ Artaserse, l’ Olimpiade, la “Clemenza di Tito”, e l’Attilio Regolo che è il più solenne dei suoi melodrammi eroici, sebbene lo stesso protagonista non sfugga al carattere manierato che hanno tutti gli eroi dei drammi metastasiani.
Delle sue opere (ventisei melodrammi, sette commedie, cinque azioni sacre, cantate , poesie, serenate) furono pubblicate una quarantina di edizioni. Ma il successo che aveva avuto nel suo tempo non durò. Il Romanticismo, che fu un fremito di passioni, non poteva capire Metastasio, e non poteva amarlo. La critica fino a Croce e Carducci fu inesorabile. De Sanctis e Martini furono più indulgenti. La poesia forse gli deve poco ma musicisti come Cimarosa, Paisiello, Mozart e Rossini gli debbono molto.
I suoi scritti di critica letteraria (versione e commento della Poetica di Orazio, Estratto della poetica di Aristotele e considerazioni sulla medesima e Osservazioni sul teatro greco) furono pubblicati postumi; in essi Metastasio tratta con indipendenza di giudizio parecchie questioni che saranno pienamente risolte più tardi, quali la classificazione dei generi letterari e le cosiddette unità aristoteliche di tempo e di luogo, nella critica delle quali precorse il Manzoni.
Ci restano inotre 2000 lettere, argute e colorite, nelle quali Metastasio si rivela nitido e umanissimo prosatore.