Salvator Rosa (1615-1673), pittore, attore e poeta, nacque all’Arenella, presso Napoli, ma visse per lo più a Roma e Firenze, protetto dai Medici e perseguitato dall’Inquisizione per la sua vita sregolata e per il contenuto delle Satire.
La produzione letteraria del Rosa si limita a sette Satire, agli Aforismi e a qualche testo per musica: ma il grosso delle presunte composizioni per musica gli è stato disattribuito. Per il testo delle Satire, a lungo circolate manoscritte prima di essere stampate, manca a tutt’oggi un’edizione critica. Ci si deve ancora valere dell’edizione di G. A. Cesareo, Napoli 1892, filologicamente discutibile e linguisticamente arbitraria.
Il bello degli scrittori barocchi è che coltivavano in poesia la stravaganza, per poi accusare gli altri poeti di essere, appunto, stravaganti. Caratteristica che non può non indurre simpatia per questi personaggi eccessivi e contraddittòrii in tutto.
[…]
vv. 247 e segg.
Balordi senza senno che voi sète!
Mentre andate morendo da la fame
d’immortalare altrui vi persuadete,
e sète così grossi di legname
che non udite ognun moversi a riso
in sentirvi lodar le vostre dame:
stelle gli occhi, arco il ciglio e cielo il viso,
tuoni e fulmini i detti e lampi i guardi,
bocca mista d’inferno e paradiso;
dir che i sospiri son bombe e petardi,
pioggia d’oro i capei, fucina il petto
dove il magnano Amor tempera i dardi;
et ho visto e sentito in un sonetto,
di bella donna a cui puzzava il fiato,
arca d’arabo odor, muschio e zibetto!
Le metafore il sole han consumato
e, convertito in baccalà, Nettuno
fu nomato da un certo il dio salato.
[…]
vv. 274 e segg.
Le nostr’alme trattar bestie da selle
mentre li serba il ciel, da’ corpi sgombre,
biada d’eternità, stalla di stelle!
E (a pensarlo il pensier vien che s’adombre)
fare il sol divenir boia che tagli
con la scure di raggi il collo a l’ombre!
Ma chi di tante bestie da sonagli
legger può le pazzie? I lor libracci
de le risa d’ognun sono i bersagli,
chè da certi eruditi animalacci
giornalmente a le tenebre si dànno
mille strambotti e mille scartafacci;
[…]
vv. 295 e segg.
Cada il giorno a l’occaso o sorga all’orto,
sempre cogitabondi e sempre astratti,
hanno un color d’itterico e di morto;
discorron fra se stessi com’a i matti
facendo con la faccia e con le mani
mille smorfie ridicole e mill’atti;
[…]
Il poeta si rivolge ai poeti suoi contemporanei ma, come detto, le caratteristiche di cui li accusa sono anche le sue. Balordi senza intelligenza alcuna che non siete altro, mentre siete dei morti di fame cercate di immortalare gli altri nelle vostre poesie, essendo così rozzi e zotichi che non vi accorgete la gente sbellicarsi dalle risate nel sentirvi lodare in poesia le vostre donne. Chiamate “stelle” gli occhi, “archi” le sopracciglia e “cielo” il viso; e chiamate “tuoni e fulmini” le parole, “lampi” gli sguardi e la bocca “mista d’inferno e paradiso”. Dite che i sospiri sono come “bombe e petardi”, i capelli come “pioggia d’oro”, il petto come una “fucina” dove il magnanimo amore “tempera i dardi”. E ho visto e sentito – dice il poeta – in un sonetto “urna di aromi arabi, muschio e zibetto” per definire una bella donna a cui puzzava l’alito. Le vostre metafore hanno consumato il sole e il dio Nettuno è stato chiamato “il dio salato”, quasi che fosse un baccalà.
Trattate le nostre anime come cavalli mentre il cielo le attende, uscite dai corpi, definito “biada dell’eternità e stalla composta di stelle”. A pensarci il pensiero si oscura e rattrista, ma fate del sole un “boia che taglia il collo alle ombre con la scure dei raggi”. Ma chi riesce a leggere le pazzie di tante bestie da metter loro il sonaglio al collo? I loro libracci sono il bersaglio delle risa di tutti, poiché tutti i giorni da certi eruditi in realtà peggio che animali si hanno alle tenebre mille poesie e libelli di scarso credito.
Muoia il giorno al tramonto o sorga all’alba, cioè da sera a mattino, siete sempre pensierosi e pronti ad astrarvi nel comporre le vostre poesie, avendo un colore le vostre facce tra il pallido e il giallino. Discutete tra di voi – qui non si capisce se da soli, con se stessi, oppure in gruppo – come i matti, facendo moltissime smorfie e gesti ridicoli con la faccia e le mani.