Donatien Alphonse Francois, marchese di Sade (Parigi, 1740 – Charenton, Parigi, 1814), di nobile famiglia meridionale, ricevette in Provenza e a Parigi una buona istruzione. Col grado di sottotenente e poi di capitano partecipò alla Guerra dei Sette anni. Di ritorno nel 1763 sposò Renèe Pèlagie de Montreuil che gli diede tre figli.
Già noto per i suoi costumi libertini e dissoluti, non mutò vita col matrimonio: risale infatti a quell’anno la sua prima incarcerazione per libertinaggio. Altri episodi più gravi costellano gli anni successivi: una denuncia per sevizie nel 1768, una condanna a morte in contumacia del tribunale di Aix nel 1772 per avvelenamento e sodomia. Riparato in Italia, su richiesta della suocera che non gli perdonava di essere fuggito con la figlia minore, fu arrestato dalle guardie del Re di Sardegna e imprigionato a Miolans. Fuggito l’anno successivo, dopo alcuni anni trascorsi nel suo castello di La Coste durante i quali non riuscì a evitare altri scandali, per effetto di una lettre de cachet (genere di editto regale che poteva rovesciare sentenze legali), ancora su richiesta della suocera, fu di nuovo incarcerato, prima a Vincennes e poi alla Bastiglia dal 1778 al 1789.
Il decreto di soppressione delle lettres de cachet a opera dell’Assemblea Costituente lo colse nel 1790 ospite dell’asilo per alienati di Charenton. Partecipò alle attività della Rivoluzione insieme con i giacobini, per i quali divenne segretario e poi presidente della sezione rivoluzionaria delle Piques; ma, sospettato di tradimento per la sua moderazione, gli fu rinfacciata la sua origine nobile e fu incarcerato per un anno e minacciato di ghigliottina. Infine, nel 1801, in seguito alla pubblicazione della Nouvelle Justine fu fatto imprigionare dal primo console a Saint-Pèlagie, da dove uscì solo per passare di nuovo e fino alla morte a Charenton, dove svolse la funzione di organizzatore di spettacoli e psicodrammi. Nei periodi di libertà e più ancora di prigionia ebbe modo di comporre una vasta opera, soprattutto narrativa, pubblicata in buona parte postuma per la natura scandalosa e violenta dei suoi contenuti e l’esaltazione della perversione sessuale ricorrente in ogni sua parte.
Essa comprende opere giovanili come Le dialogue entre un pretre et un moribond (Dialogo tra un prete e un moribondo), pubblicata solo nel 1926; numerosi romanzi come Les 120 journèes de Sodome (Le 120 giornate di Sodoma), scritto alla Bastiglia tra il 1784 e il 1789; Justine ou les malheurs de la vertu (Giustina o le sventure della virtù, 1791); Aline et Valcour (1795); la redazione definitiva di Justine, intitolata La nouvelle Justine ou les malheurs de la vertu, suivie de l’histoire de Juliette, sa soeur, ou les prosperitès du vice (La nuova Giustina o le sventure della virtù, seguita dalla storia di Giulietta, sua sorella, o le prosperità del vizio, 1797); opere teatrali; opere saggistiche e filosofiche tra cui La philosophie dans le boudoir (La filosofia in camera da letto, 1795). Postuma è anche la pubblicazione delle lettere e del Diario (1807, 1808, 1814 e 1970).
Contemporaneamente alla riscoperta e rivalutazione dell’opera si è avuta un’esplosione di interesse per il personaggio De Sade, precorsa già dall’entusiastica esaltazione surrealista e dall’analisi della critica psicanalitica. Ha teso a farsi strada l’interpretazione che vede celebrato nel Marchese l’estremo trionfo dell’illuminismo materialistico settecentesco e insieme la sua fine, in quanto si ritorce contro se stesso nell’urto profondo di quest’opera dissacratoria contro i valori stessi della ragione illuministica e nel rapporto, stabilito attraverso una coraggiosa discesa nell’oscuro mondo degli istinti e delle pulsioni sessuali, tra natura e distruzione, violenza e istituzioni.
Dal punto di vista strettamente letterario l’opera di De Sade ricalca i canoni settecenteschi, presentandosi povera sintatticamente e lessicalmente ma nello stesso tempo rivelando un virtuosismo tecnico nell’intreccio e nella costruzione delle trame, che utilizza tutti gli strumenti del romanzo di quel periodo, e spostando quindi l’asse d’interesse sui motivi fantastici che l’hanno originata.
Nei suoi scritti l’autore condanna tutto: potere, nobiltà, religione, schiavismo, Stato, morale sessuale e familiare e tutte le consuetudini del suo tempo, esaltando il libertinismo sia morale che filosofico che politico. Il suo pensiero politico non fornisce un sistema coerente e realistico, limitandosi a essere spesso la trasposizione provocatoria del suo stile di vita e degli altri contenuti della sua arte.
Come delegato di sezione alla Convenzione Nazionale fu inizialmente simile, adeguandosi fin troppo al nuovo clima, agli Enragès (gli “Arrabbiati”, l’estrema sinistra non parlamentare), con posizioni libertarie ma, in seguito, spaventato dagli esiti del Terrore divenne abbastanza moderato, al punto di dimettersi poiché in contrasto prima con i giacobini e quindi con il Direttorio, secondo lui entrambi troppo moderati in questioni etiche (soprattutto i giacobini visti come dei moralisti, ed è forse qui il dato più interessante della sua vicenda).