Il pittore Pieter Van Laer nacque ad Haarlem nel 1592. Dal suo soprannome, riferito ad una deformazione fisica che lo vedeva di bassa statura e dai lineamenti simili a quelli di un grottesco fanciullo, deriva il termine "bamboccio"che indica una pittura di genere di gusto aneddotico e spregiudicato.
Documentato a Roma dal 1625 al 1638, è solo uno dei tantissimi giovani pittori fiamminghi, olandesi e tedeschi che accorrono a Roma per specializzarsi nell'arte pittorica e "abbeverarsi" ai capolavori di Caravaggio e Carracci. Questo esercito turbolento e vivace, più assiduo frequentatore delle locande e dei bordelli romani che delle botteghe degli artisti è rimasto noto con il nome di Bentuvoeghels (banda di uccellacci). Van Laer, come la maggior parte dei suoi colleghi, si specializza nella rappresentazione della vita quotidiana: le sue tele, spesso di piccolo formato, mostrano scene all'interno delle mura della città o in campagna e si soffermano particolarmente sulla tematica del viaggio, mostrando assalti di briganti, cavalieri che abbeverano i cavalli al fiume, soste alle locande, gruppi di vagabondi. In molti casi il Bamboccio associa al paesismo olandese assimilato in patria motivi desunti dai caravaggeschi nordici con cui entra in contatto a Roma.
Van Laer infatti tentò di fondere la profonda umanità del Caravaggio con il realismo della tradizione nordica, adottando un tono più semplice e asciutto rispetto ai compiacimenti descrittivi e caricaturali degli altri bamboccianti.
Tra le opere più note: Cavallo al guado (Napoli, Museo Filangieri), Riposo durante la caccia (Firenze, Uffizi), L'accampamento (Roma, Collezione A. Busiri-Vici).
Morì ad Haarlem nel 1642.
Il pubblico del Bamboccio
L'arte di Van Laer e dei suoi seguaci non è un'arte su commissione: le sue opere trovano occasionalmente qualche cliente, i cui gusti determinano la produzione dei dipinti che vengono acquistati direttamente sul mercato. Suoi primi estimatori sono i suoi colleghi e conterranei già affermati Swanevelt o Bosman, per poi raggiungere il gusto del collezionista Vincenzo Giustiniani, già committente di Caravaggio, o di Cassiano dal Pozzo.
Bamboccio arriverà a chiedere cifre altissime per le sue opere, 30-35 scudi, che spesso non potevano pretendere neppure pittori di successo: il mercato, quel fenomeno tutto secentesco che stravolge il modo di ricezione dell'arte, è la vera fortuna dei bamboccianti e dimostra come il mecenatismo aristocratico non rappresenti un ostacolo alla diffusione della nuova pittura, nonostante le profonde critiche di contemporanei invidiosissimi del successo di questi forestieri.
La critica ai Bamboccianti
A rendere pessima la reputazione dei bamboccianti non è solo la natura dei temi trattati ma anche questo nome grottesco, che li identifica come una marmaglia noncurante di offendere il decoro. Solo uno tra i "critici" secenteschi, Filippo Baldinucci (primo biografo del Bernini), sottolinea la portata dequalificante del termine deplorando la tendenza " di chiamare le invenzioni e quadri a piccole figure fatti da certi valentuomini, col nome di bambocciate".
Questa rimarrà una voce fuori dal coro e non stupiscono i giudizi ostili e netti di Francesco Albani, uno dei grandi maestri della stagione precedente, interrogato dal suo allievo Andrea Sacchi a proposito di questa nuova pittura: alla lettera di Sacchi, che ironicamente gli chiede se sia pittura rappresentare "un barone che si cerca i pidocchi" o un altro "che beve la minestra da una scudella", Albani appare rassegnato all'idea che "nelle taverne, nei postriboli, nei porcili vedremo strascinata sì degna Regina (la pittura) menar vita tanto diversa da quella nobiltà che gli hanno acquistati i sudori dè passati maestri".
Giovan Battista Passeri nelle sue Vite dedica una biografia a Van Laer, segno dell'innegabile successo del Bamboccio ma, conformemente all'opinione dominante definisce i suoi "soggetti vili di baronate e di basse scempiezze, che rendevano tanto diletto alla plebe et a quegl'animi non sollevati in una nobile idea".
Tuttavia nelle rappresentazioni degli umili di Val Laer e compagni non c'è dramma esistenziale, non c'è il verismo delle drammatiche condizioni di vita popolari del XVII secolo: l'immagine dei poveri rappresentata dai bamboccianti è figlia dell'idea che di essi hanno i ricchi, membri di quella raffinata società nei cui palazzi finiscono quei dipinti. Non è un caso che venga scelto proprio uno dei migliori seguaci di Bamboccio, Jan Miel, per realizzare l'incisione del frontespizio del libro del gesuita Daniello Bartoli La povertà contenta, pubblicato a Roma nel 1650 e che promuove il messaggio morale dell'ordine, secondo il quale all'infelicità dei ricchi mai contenti si contrappone la contentezza dei poveri, puri perchè esenti dalle tentazioni di peccato che lastricano la vita dei ricchi.
I flagellanti (1635)