La teologia della predestinazione
La questione del giansenismo provocò forti contrasti all’interno della Chiesa di Roma. In origine si trattò di una polemica teologica riguardante una delle parti più oscure e importanti della teologia cristiana: le dottrine della grazia, del libero arbitrio e della predestinazione. Giansenio, vescovo di Ypres, che dette il nome a un movimento costituitosi solo una generazione dopo la sua morte, avvenuta nel 1638, riaffermò in proposito le tradizionali dottrine agostiniane, ma in una forma notevolmente più rigorosa. Affermando che ogni uomo era irrimediabilmente predestinato al paradiso o all’inferno, ridusse implicitamente al minimo l’importanza della virtù, della ragione e delle buone opere come vie d’accesso alla salvezza. Dalle idee da lui formulate (in forme varie ed espresse con vario rigore esse facevano da un pezzo parte della dottrina cristiana) costruì un imponente edificio di idealismo puritano, mettendo in primissimo piano il concetto di peccato e rifiutando gli assunti della religione naturale.
Comincia la controversia
Il giansenismo si assicurò l’appoggio di un gruppo di teologi parigini e, dalla metà del diciassettesimo secolo, del grande convento francese di Port-Royal. Alla fine del secolo interessò anche ambienti molto più vasti del paese, laici oltre che clericali. Nel 1693 Pasquier Quesnel ne riformulò le dottrine centrali, nel Nouveau Testament en fran avec des réflexions morales, in termini che parvero mettere in dubbio l’autorità ultima della gerarchia ecclesiastica in materia di fede. A ogni modo, i più intimi rapporti stabilitisi, a partire da quell’anno, tra Luigi XIV e il papato e l’opposizione dei gesuiti indussero il governo francese a fare un serio sforzo per mettere al bando il movimento. Port Royal fu distrutto nel 1710; nel 1713 diversi paragrafi del libro di Quesnel furono condannati da Clemente XI nella bolla Unigenitus.
Il giansenismo penetra nella società francese
Con la promulgazione di questa bolla cominciò la fase settecentesca della controversia. Nelle generazioni seguenti il giansenismo cessò di essere quello che era stato fino ad allora, e cioè una questione essenzialmente teologica che interessava soprattutto una classe ristretta di intellettuali. Da quel momento in poi fu presente in quasi tutti gli aspetti della vita francese. Intorno ad esso si raccolsero l’opposizione patriottica alle pretese papali e la crescente ostilità dei pariements verso alcuni aspetti dell’assolutismo (poiché Luigi XV, rompendo con la tradizione degli avi, fu portato ad appoggiare il partito papista e ultramontano della chiesa francese), nonché la frustrazione e il risentimento avvertiti da molti preti del basso clero di fronte alla potenza e alla ricchezza dei più alti gradi della gerarchia cattolica.
Nemici e sostenitori
Benché ufficialmente appoggiati durante il periodo della reggenza, i giansenisti furono molto indeboliti dall’avvento al potere del cardinale Fleury nel 1726. Due anni dopo, quando Noailles, l’arcivescovo di Parigi che li appoggiava da oltre trent’anni, fu alla fine costretto ad abbandonarli, essi perdettero l’ultimo aderente autorevole all’interno della gerarchia francese. Le persecuzioni crescenti fecero nascere un’ala mistica e addirittura isterica del movimento, associata ai presunti miracoli operati alla tomba del diacono Paride nel cimitero di San Medardo che contribuirono a screditare la maggioranza più disciplinata dei giansenisti. Questi ultimi, tuttavia, furono protetti dal pariement di Parigi in una lunga serie di lotte con Fleury (1730-33), pubblicarono un periodico clandestino assai fortunato, le « Nouvelles Ecclésiastiques » (1728-1803), e pensarono addirittura di fondare in Indocina una missione indipendente dal papato. La loro popolarità nella capitale fu così grande che il giurista e diarista Barbier calcolò nel 1730-39 che i due terzi del popolo parigino simpatizzassero per i giansenisti.
Intorno alla metà del ‘700 il movimento, pur costretto in qualche misura alla clandestinità dalle pressioni ufficiali, era diventato sempre più influente nella società francese. Adesso tendeva sempre più a mettere in evidenza i diritti del semplice sacerdote contrapponendoli a quelli dei suoi superiori, e perfino quelli dei laici rispetto ai preti. In molte parti della Francia, inoltre, i curés giansenisti avevano introdotto cambiamenti liturgici e cerimoniali. Dal 1749 in poi diversi sacerdoti, in particolare de Beaumont, arcivescovo di Parigi, tentarono di costringere i penitenti in punto di morte, come condizione per ottenere l’assoluzione, a dimostrare la loro ortodossia presentando un certificato a firma di un sacerdote di provata fede cattolica. Questo tentativo di mettere al bando il giansenismo provocò grandi opposizioni che dimostrarono come esso conservasse ancora grandi simpatie nel popolo. Nel 1760-69, in ogni modo, il movimento in Francia aveva sparato tutte le sue cartucce. Negli ultimi decenni del secolo non rappresentava più un vero pericolo, e neppure una seccatura, per la chiesa o per lo stato, anche se qualcuno ha detto che la costituzione civile del clero introdotta dai rivoluzionari nel 1791 dovette qualcosa alla tradizione giansenista.
Il giansenismo in Europa
L’influenza del giansenismo nel diciottesimo secolo fu, per molti aspetti, non meno grande fuori della Francia che dentro. Negli stati cattolici della Germania, come in Spagna e in Portogallo, non ebbe mai molta importanza. Nell’Impero Asburgico, invece, ricevette un considerevole incoraggiamento ufficiale. Il confessore di Maria Teresa, l’abate de Tesme, fu giansenista; e la censura lasciò liberamente entrare nei domini degli Asburgo i libri giansenisti. Nei Paesi Bassi, Utrecht fu un notevole centro di cultura giansenista.
Il giansenismo in Italia
Il giansenismo fu diffuso e influente soprattutto in Italia, alimentando l’avversione contro i gesuiti e il papato e a volte assumendo (particolarmente in Lombardia) una forma radicale e perfino democratica. È stato affermato che fosse tra i fattori della rivoluzione napoletana del 1799 e che l’antipapismo di Mazzini, il più grande profeta del nazionalismo nell’Europa del diciannovesimo secolo, fosse in parte il prodotto di influenze gianseniste, assorbite da bambino a Genova. In Toscana si tenne addirittura un sinodo giansenista a Pistoia, nel 1786; le sue decisioni furono però condannate dal pontefice, nel 1794, e il suo leader Scipione de’ Ricci, la più grande figura nella storia del movimento giansenista in Italia, dovette fare atto di sottomissione al papato nel 1805.