Le guerre dalla metà del diciassettesimo secolo in poi, a detta della maggioranza degli storici, erano meno cruente e con minor impatto sulle popolazioni. Dalla fine della guerra dei trenta anni si registra una diminuzione delle vittime ed un aumento dei prigionieri.
Anche i saccheggi sui territori occupati diminuirono, sia per una maggior disciplina militare che per una miglior condizione economica dei militari. Adam Smith nel 1763 sostenne che: “ La guerra è così lontana dal rappresentare uno svantaggio in un paese coltivato che molti vi diventano ricchi. Quando i Paesi Bassi sono teatro di una guerra, tutti i contadini si arricchiscono, poiché non pagano l’affitto della terra quando il nemico occupa il paese, mentre le derrate si vendono a prezzo altissimo”.
Nelle guerre di gran parte del diciottesimo secolo si osserva, nell’Europa occidentale, un elemento di ritualità, di formalità, di cerimonia tradizionale.
I comandanti dell’epoca non furono mai ansiosi di combattere battaglie decisive e di rado le vittorie vennero sfruttate con vera energia. Con eccezione per esempio delle azioni militari di Federico II, re belligerante che tuttavia perseguiva con decisione l’azione diplomatica per ridurre i conflitti.
La fortificazione delle cittadelle di confine e il consolidamento degli eserciti rendevano sempre più difficile conflitti decisivi a favore dei paesi in guerra.
Il clima mentale del diciottesimo secolo non fu caratterizzato dalla violenza, dall’odio religioso o nazionale, che avevano generato le guerre della controriforma e avrebbero prodotto quelle del diciannovesimo e ventesimo secolo.