Detto del Barocchus vulgaris, D’Ors prende a parlare del Barocchus officinalis, di cui dice che è “più curioso ancora, a base di esagerazione spinta e d’arbitrario voluto, quel barocco capriccioso di carnevale, proprio a tutte le epoche, e che segna per ciascuna di esse l’estrema licenziosità dei giochi dell’immaginazione.” Come per il barocco volgare, anche per il barocco officinale, “il critico d’arte deve tener conto, non meno del critico delle idee, del curioso impulso che, parallelamente alle manifestazioni intellettuali del romanticismo, della Fine del Secolo, e del Dopoguerra, ha portato e a suscitare, a mantenere , a seguire con una pietà feticista, più o meno imbevuta di politica tendenziosa, certe fioriture poco ingenue di carattere, del colore locale pittoresco, sempre con una predilezione per il tipo nazionale o regionale.”
E poi porta degli esempi: una provenzale mascherata da artesiana, un signore scozzese o gallese con cornamusa e gonna corta, un pittore spagnolo che a Parigi o New York presenti fatti particolari sulla devozione castigliana o sulla tauromachia, il filosofo che adotti il dialetto maiorchino, l’apostolo religioso-politico del particolarismo bavarese, i continuatori latinoamericani delle tradizioni incas o azteche: come la marchesa di Versailles che faccia la pastorella, lo svizzero Liotard che si vesta da turco, Paul Gauguin che cerchi la nudità del Paradiso Terrestre nelle isole dell’Oceania.
E conclude proprio su questo: “Tutto ben considerato, c’è del barocco nella stessa nudità.” Eh sì, perché per D’Ors un nudista contemporaneo vede nell’assenza di vesti un significato più artificiale, enfatico e “officinale” di quello che aveva la parrucca finta per la testa di un uomo del XVII secolo.
Un’ipotesi sull’origine dell’usanza del travestimento è l’antica tradizione pagana: durante i Saturnalia, antica festa romana da cui ebbe origine il carnevale, si era soliti mescolare le gerarchie sociali invertendo i ruoli imposti dalla società. I poveri si tramutavano in ricchi e viceversa e perciò chi voleva, poteva nascondere la propria identità con travestimenti.
Una seconda ipotesi è che presso le popolazioni arcaiche ci si mascherava ritenendo che gli spiriti dei defunti si sentissero invitati a tornare sulla terra, dove avevano la possibilità di divertirsi e fare baldoria in cambio dei raccolti abbondanti offerti sotto forma di cibarie e bevande.
Ma già prima il travestimento sarebbe una pratica nata durante le festività in onore della dèa egizia Iside – dèa della maternità, della fertilità e della magia – importate nell’Impero romano. Lo spirito di queste feste, in generale, consisteva allora come oggi nel ribaltare la realtà con la fantasia e travestirsi da ciò che non si è.
La celebrazione del carnevale ha origine nell’antichità, come già detto, soprattutto le dionisiache greche e i saturnali romani. Questi ultimi, festeggiati tra il 17 e il 23 dicembre, non rappresentano soltanto il carnevale romano ma, per le date in cui si svolgono, anche il natale romano, in quanto feste del Solstizio d’Inverno: d’altronde il vero carnevale ha origine subito dopo le feste natalizie e dura fino al martedì grasso, che solo la consuetudine vuole che sia “il” carnevale.
Durante le feste dionisiache e i saturnali si scioglievano temporaneamente regole sociali e gerarchiche per fare posto al rovesciamento dell’ordine costituito, alla dissolutezza e agli scherzi. Il carnevale consistette in un periodo di festa ma anche e soprattutto in un rinnovamento simbolico, in cui il caos prendeva il posto dell’ordine sociale, che riemergeva dopo le feste rinnovato e garantito per il ciclo annuale successivo.
Durante le dionisiache si mostrava il passaggio del carro di chi intendeva restaurare l’ordine cosmico dopo il passaggio temporaneo al caos primordiale. A Babilonia questo processo era raffigurato con la rappresentazione allegorica, durante una processione, della battaglia tra forze del caos e il salvatore Marduk, vale a dire il suo mito di morte e resurrezione.
Lo storico delle religioni Eliade scrisse che “ogni Nuovo Anno è una ripresa del tempo al suo inizio, cioè una ripetizione mitica del passaggio dal Caos alla Cosmogonia.” Prosegue poi: “Allora i morti potranno ritornare, poiché le barriere tra morti e vivi sono rotte nella riattualizzazione del caos primordiale e nell’annullamento del tempo, momento paradossale in cui i morti possono essere contemporanei dei vivi.” Questa valenza purificatoria periodica è pure nelle cerimonie carnevalesche diffuse presso gli altri popoli mesopotamici e tutti quelli indoeuropei.
La confusione delle forme è effettuata attraverso la sospensione di tutte le norme, lo scatenarsi della licenza, la violazione di tutti i divieti, la coincidenza di tutti i contrari, l’orgia, corrispondenti all’istante eterno, il quale a sua volta tradisce una volontà di abolizione della Creazione e di restaurazione del momento mitico del principio (caos) e della fine (diluvio universale, ekpyrosis, apocalisse). Ne consegue la libera circolazione degli spiriti tra cielo, terra e inferi, di cui il carnevale è un passaggio: le anime vengono placate e onorate con corpi provvisori, le maschere; e allo stesso tempo chi le indossa assume le caratteristiche dell’essere soprannaturale rappresentato.
La ripetizione simbolica della cosmogonia, che segue l’annientamento simbolico del mondo vecchio, rigenera il tempo nella sua totalità. La tradizione dei carnevali antichi si è mantenuta anche dopo la nascita e la diffusione del Cristianesimo. A Roma, capitale della Chiesa, la più importante festa pubblica tradizionale era il Carnevale Romano, fino alla sua soppressione avvenuta con l’Unità d’Italia. In tale occasione avveniva la corsa dei bàrberi, vale a dire cavalli da corsa.
Il carnevale, quindi, appartiene a una tradizione millenaria che perdura ancora oggi. In Italia i carnevali più famosi sono quelli di Venezia, Viareggio, Acireale, Ivrea e Sciacca. Nel resto del mondo importantissimo e più famoso fra tutti è il carnevale di Rio de Janeiro. Non ovunque il carnevale termina col Giovedì o col Martedì grasso: esso termina la domenica dopo il Mercoledì delle Ceneri nella già citata Viareggio, a Poggio Mirteto, a Borgosesia e a Chivasso.