Postmoderno in origine è un termine coniato negli Stati Uniti verso la fine degli anni Sessanta per definire, in architettura, un movimento di rivisitazione del passato che intende reagire al funzionalismo e al razionalismo esagerato. Il postmoderno si è manifestato come una contaminazione di stili di secoli diversi e un rilancio della libertà creativa dell’artista. Tale riesame dell’antico sembra esprimere affinità con l’eclettismo storico dell’Ottocento, quando il revival degli stili del passato era visto come stimolo a nuove creazioni. Dal campo dell’architettura il postmoderno si è diffuso poi alle arti figurative, alla letteratura, alla filosofia ecc., esprimendo, quale componente comune, il superamento delle avanguardie e del loro linguaggio.
Per estensione si riferisce ad una mentalità tendente al recupero dei valori del passato, in quanto critica verso i principii fondamentali del moderno, vale a dire la razionalità e la fede in un progresso illimitato. Ne deriva la coniazione per la nostra epoca dell’appellativo “età postmoderna”, anche se c’è chi afferma, dagli anni ’00 del XXI secolo, che essa sia di già terminata e vi sia una ricaduta di caratteristiche prepostmoderne, cioè moderne. Il dibattito è tuttora aperto.
Il postmoderno presenta caratteristiche di ironia, scetticismo e soprattutto rifiuto delle grandi ideologie della modernità (le cosiddette “grandi narrazioni”), attaccando la razionalità sia sotto forma di quella ereditata dall’illuminismo che quella marxista. Ne derivano l’autoreferenzialità, il relativismo epistemologico e morale, il pluralismo, un atteggiamento di irriverenza verso tutto, anche verso l’irriverenza “ufficiale” ereditata dai moderni, scetticismo metafisico, nichilismo e una preferenza per il virtuale a scapito del reale.
Il postmoderno, come mentalità e come pratica artistica, viene accusato di fomentare una sorta di oscurantismo, in quanto respinge l’esistenza di una realtà universale e stabile e prende in esame i prodotti estetici da un punto di vista arbitrario e soggettivo. E’ una reazione contro i tentativi scientifici di illustrare il reale con oggettività e certezza, visti come un modo di “costruire” la realtà in quanto spesso asserviti a forme di potere politico, sociale o culturale (i “poteri forti”, l’egemonia marxista ecc.). I postmoderni inoltre sono accusati di essere confusi e assertori in campo scientifico di argomentazioni evidentemente false.
Il loro relativismo estremo minerebbe alla base verità e ragione. Tale ideologia sarebbe il riflesso della generazione rivoluzionaria delusa del ’68 incorporata nella nuova classe media professionale e gestionale, sintomo di mobilità sociale e frustrazione politica piuttosto che un vero e proprio fenomeno culturale. Dall’altra parte lo storico statunitense Richard Wolin vede un rispecchiamento tra le radici del postmodernismo e le radici intellettuali del fascismo, sia per i contenuti che per la comune derivazione da Nietzsche e Heidegger.
Caratteristiche del postmoderno sono le sue condizioni economiche e tecnologiche, viste come differenti da quelle del moderno, e che portano a una società decentralizzata e plasmata dai mass-media, in cui le idee sono simulacri, pure rappresentazioni autoreferenziali e copie: le comunicazioni, la produzione industriale e i trasporti portano a una società globalizzata, interconnessa e culturalmente pluralistica. E’ quella che il critico statunitense Fredric Jameson ha definito, titolo di un suo celebre saggio, “la logica culturale del tardo capitalismo”.
L’estetica postmoderna consiste nella ripresa di forme preesistenti come citazioni, pastiche e parodie, che convergono in un sincretismo estetico ottenuto tramite collage e miscelazione di stili e che porta allo spaesamento: tra gli altri tende a mescolare la cultura popolare con la cultura d’elite, ad esempio facendo convergere arte contemporanea e pubblicità. Ma così facendo si distingue dall’ironia moderna e soprattutto ripudia l’epistemologia moderna (teoria della conoscenza che cerca di costruire un’immagine fedele del mondo reale) a favore di un ritorno, per doppia negazione, di un’ontologia postmoderna, cioè una teoria dell’essere sia pure virtuale.
Il testo teorico più importante del postmoderno è La condizione postmoderna del filosofo francese Jean-Francois Lyotard, secondo cui nell’epoca postmoderna vengono meno le illusioni illuministiche e marxiste che davano un senso all’esistenza di molte persone a favore di una crisi irreversibile, un disincanto, una incertezza, una incredulità, disperdendosi in una nebulosa di elementi linguistici narrativi talvolta incompatibili e irriducibili ad un progetto unitario: le cui conseguenze non sono solo negative – gran parte dei teorici del postmoderno sono purtroppo critici verso di esso – ma anche positive, poiché si dà vita ad un’età creativa, dinamica ed eterogenea.
Il postmoderno è stato definito come “la teoria di rifiutare le teorie” e Umberto Eco lo ha definito come una forma di moderno manierismo, tanto che ha affermato che ogni epoca ha il suo postmoderno - come il suo barocco diremmo noi – e ne fa una categoria spirituale non circoscrivibile cronologicamente.
Già dal XIX secolo il termine ha fatto capolino tra gli scritti di alcuni pensatori, in piena modernità, ogni volta che questa è sembrata entrare in crisi o ad una svolta. Ma è solo con gli anni Sessanta e Settanta che entra prepotentemente di moda nelle discussioni teoriche e filosofiche, ovviamente da quando siamo nell’età postmoderna.