Con una battuta si potrebbe dire che il Terzofuturismo è stato barocco poiché ne faceva parte l’architetto Giampaolo Panìco, papalino e sostenitore del Papa Re. In realtà gli altri appartenenti erano molto diversi da lui, per cui rimane solo una battuta. Ma cos’è stato il Terzofuturismo? Nel 1986 il pittore Baldo Savonari, che abita nelle vicinanze dell’antica e prestigiosa Abbazia benedettina di Farfa, vi fonda il Movimento del Terzofuturismo, attirando artisti, scrittori e intellettuali da tutta Italia. Ne diviene direttore artistico, mentre il coordinatore generale è l’avvocato Gianfranco Paris, che finanzia le opere e trova i luoghi in cui esporle; da poco diventato anche direttore della testata reatina periodica di diffusione extraprovinciale Mondo Sabino – Centritalia, le cui pagine saranno assidue testimoni degli eventi del movimento.
Il nome “terzofuturismo” deriva dalla divisione del futurismo storico in due fasi principali teorizzata dal critico Enrico Crispolti: un “primo futurismo” dalla fondazione, avvenuta nel 1909, al 1918-20, quando i futuristi rientrano dal fronte e si stabiliscono a Roma; e un “secondo futurismo” dal 1918-20 al 1944, anno della morte di Marinetti. Per proseguire il futurismo Savonari idea un “terzo futurismo”. Tiene il sostantivo e l’aggettivo fusi nella stessa parola perché esso non deve essere “un” futurismo qualsiasi, ma qualcosa di specifico ed originale. Avendo noi dimostrato in questi saggi dorsiani come il futurismo fosse una forma dell’eterna categoria dello Spirito barocca, basterebbe questo per dire che il Terzofuturismo sia stato barocco. Se il futurismo è barocco, tutti i futurismi lo sono.
Ma c’è di più. Se è tipicamente neobarocco e postmoderno mescolare gli stili, soprattutto del passato e del presente, il Terzofuturismo è anche questo. La sua prima sede infatti si denominò, dal 1986 al 1992, Bottega Rinascimentale del Futurismo, e l’opera che lo tenne a battesimo e ne rappresentò a suo modo un manifesto fu L’omaggio a Paolo Uccello, trittico di quadri che reinterpreta la Battaglia di San Romano di Paolo Uccello, pittore rinascimentale, in versione futurista, scomponendo cavalli, cavalieri e paesaggio in triangoli ricurvi multicromatici desunti dal pittore futurista storico Giacomo Balla. Negli ultimi anni del movimento, sciolto dopo il Decennale del 1997, invalse poi la mania del poeta Claudio Lombardino di firmarsi Futuromantico, parola che fonde le parole “futuro” e “romantico” e nasconde nella seconda la presenza di “Roma” e “antico”.
Il movimento, eterogeneo, presenta aspetti ancora moderni e aspetti già postmoderni. E’ l’equivoco in cui cade chi vuol fare dell’avanguardia oggigiorno: è una continuazione della vecchia avanguardia storica, per cui inattuale, o il recupero postmoderno di oggetti desueti del passato, così come si fa col classicismo, col barocco, col decadentismo ecc.? La seconda opzione è la più interessante, in quanto neobarocca: il recupero di elementi antichi di diverse epoche, tra cui l’avanguardia, che così diviene un’antichità tra tante anch’essa. Per questo descriveremo solamente quegli artisti e quelle opere che sono più propriamente ibride di tradizione e moderno.
Ma prima facciamo un’eccezione per Baldo Savonari. Detto dei suoi quadri, veniamo ai suoi libri per completezza d’argomento. Essi, purtroppo, a differenza dei quadri, non hanno nulla di barocco: stesi in uno stile sobrio, spoglio e nervoso, tendono al grado zero della scrittura nel senso indicato da Roland Barthes; sono perfetti esempi di stile senechiano.
Per quanto riguarda gli iscritti al movimento, ne facevano parte artisti di ogni orientamento politico, tant’è vero che il depliant del Decennale del Terzofuturismo stilato nel 1997 (con un anno di ritardo a causa di inghippi burocratici della Provincia di Rieti che lo finanziò) recitava “Movimento eterogeneo di artisti di ogni orientamento per la conservazione, la promozione e il rinnovamento delle arti ciascuno a suo modo”.
Infatti chi vi scrive ne ha fatto parte dal 1992 al 1997, aderendo con uno scritto a condizione in cui elencava le motivazioni positive e quelle negative per parteciparvi: documento interessante in questa sede poiché, senza ancora conoscere D’Ors, divideva la storia della cultura mondiale in due macrocorrenti, Classicismo e Neoclassicismo, che corrispondono grosso modo rispettivamente a Barocco e Classicismo definiti dal critico spagnolo. Un altro artista che aderì come socio contestatore fu lo scultore faentino Mauro Mamini Ferucci, che legava sapientemente antico e futuro rappresentando scene dall’Odissea proiettate nello spazio oppure ambientate nell’antica Grecia ma con astronavi ed elicotteri. Insomma non era necessario aderire a tutti i manifesti stilati da Savonari, che valevano forse più per lui che per gli altri.
Per il resto ci sono: il fisico nucleare Luciano Bartolini, pisano naturalizzato romano, in veste di pittore, coi suoi dipinti che rappresentano cimiteri di astronavi sullo sfondo di inquietanti scritte in latino; il musicista Carlo Bolotta, romano, dalle sonorità contemporanee dense di echi classici; gli scultori alcamesi Mariano Cassarà e Liberio Liborio Lombardo, che fondono la tradizione federiciana col dinamismo e la scomposizione futuriste; il poeta romano Claudio Lombardino prosecutore della linea marinettiana; il pittore e illustratore leccese Francesco Maria Saverio Verola, residente a Farfa, che immette fasci di luce futuristi in pitture dal chiaro sapore decadente; e lo scultore leccese Ferruccio Zilli che realizzò un Omaggio a Baldo Savonari, una scultura in ferro astratta che somiglia ad una carcassa di uccello o un teschio fossile di dinosauro, poi ripresa da Savonari nel trittico Varianti cromatiche su tema obbligato.
L’essenza del movimento è magnificare l’importanza del colore in arte, dove per colore si intende non la struttura ma la decorazione, vale a dire una sapienza retorica in cui i quadri venivano dipinti come una volta, con pennellate tradizionali, anche quando i contenuti erano astratti o contemporanei; le sculture scolpite in modo che se ne sentisse il rilievo a toccarle; la poesia scritta con immagini quanto più superlative possibili: un approccio artigianale e materiale che contraddice gran parte dell’avanguardia novecentesca, anche se essi stessi si definivano di avanguardia e si rifacevano alla prima avanguardia storica, ancora tradizionale nei suoi esiti.