" A parte i nostri pensieri, non c'è nulla che sia davvero in nostro potere." Cartesio
Gli anni della giovinezza
Renatus Cartesius, forma latina di René Descartes, nacque il 31 marzo 1596 a La Haye, in Turenna, in una famiglia appartenente a quella che, oggi, si direbbe borghesia medio-alta. Suo padre era un uomo di legge e René avrebbe potuto vivere agiatamente di rendita grazie alle proprietà ereditate. Fin da bambino mostrò una mente speculativa, tanto da venir soprannominato dal padre “il mio piccolo filosofo”.
Nel 1604, a otto anni, fu mandato in un collegio di gesuiti a La Flèche, da poco istituito da Enrico IV; qui René fu affidato a padre Charlet, un lontano parente, che egli considerò come suo secondo padre.
Durante i dieci anni trascorsi alla Flèche, Cartesio studiò i classici greci e latini, acquisendo destrezza nello scrivere sia in francese che in latino; studiò musica e drammaturgia, esercitandosi anche nelle nobili arti del gentiluomo: l'equitazione e la scherma.
Divenuto adulto, si dedicò allo studio della scienza che, a quel tempo, era limitata a poco più delle teorie aristoteliche, vecchie di duemila anni, nell'interpretazione degli studiosi medievali. Il programma della scuola frequentata da Cartesio era, comunque, aggiornato alle più recenti teorie matematiche e astronomiche.
La sete di conoscenza del giovane Cartesio era insaziabile, ma egli andava cozzando sempre più contro i limiti del sapere del suo tempo: scopriva errori e contraddizioni su quanto affermavano i suoi insegnanti e rifiutava di accettare gli spazi vuoti nella mappa della conoscenza del mondo come stabiliti da Dio e perciò indiscutibili.
Nel 1616, dopo avere frequentato per due anni l'Università di Poitiers, si laureò in legge ma non si dedicò all'avvocatura, come si aspettava da lui il padre che lo bollò come uno buono solo a fare il topo di biblioteca. Tuttavia Cartesio non si sentiva appagato dalla vita contemplativa dello studioso e finì con l'annunciare alla famiglia la sua intenzione di dedicarsi all'approfondimento della sua cultura per mezzo dei viaggi e dell'osservazione di quello che egli chiamava il “libro del mondo”.
Carriera militare
Nel 1618 scoppiò la Guerra dei Trent'anni e stranamente fu proprio questo devastante conflitto a offrire a Cartesio l'opportunità di perseguire la sua ambiziosa meta, la ricerca della verità e della sapienza al di fuori delle pareti scolastiche.
Fra il 1618 e il 1628, Cartesio vagò per l'Europa, spesso al servizio dell'una o dell'altra potenza belligerante e nonostante fosse presente alla battaglia decisiva della Montagna Bianca, vicino a Praga, nel novembre 1620, partecipò a poche azioni e disdegnò la vita militare, considerandola “ozio e dissipatezza”.
Nella notte del 10 novembre 1619, a Ulma, in Germania, Cartesio fece l'esperienza più significativa di quel decennio della sua vita.
Nelle sue lunghe meditazioni, Cartesio aveva concepito l'idea che tutto lo scibile poteva essere fatto confluire in un'unica scienza, “capace di risolvere con un metodo generale tutti i problemi”. In quella notte di novembre fece tre sogni simili a visioni: nel primo egli stesso, zoppicante, cercava rifugio in una chiesa; nel secondo assisteva a un violento temporale e nel terzo apriva un testo latino e leggeva le parole Quod vitae sectabor iter? (Quale modello di vita seguirò?). I sogni, ne era convinto, gli suggerivano che era suo compito scoprire la scienza universale e insegnarla.
Finito il suo vagabondaggio, Cartesio si stabilì a Parigi dove, in poco tempo, acquisì la fama di pensatore profondo, dotato di immaginazione. In una riunione di studiosi fu in grado di confutare la teoria di una nuova filosofia con argomentazioni di tale precisione da farle apparire quasi come prove matematiche.
Un alto prelato lo incoraggiò alla ricerca per completare l'approfondimento di quelle discipline al cui studio si era dedicato. Ma Parigi lo distraeva troppo e nel 1628 Cartesio decise di trasferirsi nel nord della Francia; da lì passò in Olanda dove visse per vent'anni; qui strinse un legame sentimentale con una giovane domestica, che gli diede una figlia; la morte della bambina, avvenuta nel 1640, all'età di 5 anni, fu un duro colpo per il filosofo.
In Olanda, per lo più, Cartesio fece vita appartata, dedicandosi allo studio, alla meditazione, alla corrispondenza con altri grandi pensatori del tempo e scrivendo le opere che dovevano garantirgli fama durevole.
Cogito, ergo sum
Nel 1633 Cartesio aveva completato la prima stesura di una vasta opera, Le Monde, quando gli giunse notizia della condanna di Galilei da parte della Chiesa cattolica di Roma. Messo da parte il manoscritto al quale lavorava, dedicò i successivi tre anni alla compilazione di un'opera che definiva il suo metodo scientifico in una forma che potesse essere accettata dalla Chiesa, così almeno sperava.
In un'epoca in cui i libri di saggistica erano scritti in latino, Cartesio pubblicò la sua opera in francese, con il titolo “Discours de la méthode”. Ma il motto che lo rese famoso era in latino: Cogito, ergo sum (Penso, quindi sono).
Il Discorso (1637) indicava quattro regole fondamentali per l'indagine scientifica:
• non accettare mai come vero ciò che non può essere dimostrato tale;
• suddividere le difficoltà nel maggior numero possibile di parti;
• cercare di risolvere per primo il problema più facile, procedendo per gradi fino al più difficile;
• rivedere tutte le conclusioni per essere certi di non avere omesso nulla.
Cartesio applicò questo metodo all'esame di tre branche della scienza: l'ottica, in cui formulò le leggi della riflessione e della rifrazione dei raggi luminosi; il tempo meteorologico, per il quale cercò una spiegazione scientifica; e la matematica, contribuendo a porre basi della geometria analitica.
Il metodo cartesiano era rivoluzionario per un'epoca in cui ci si aspettava che uno scienziato e un filosofo suffragassero le proprie teorie con citazioni dalla Bibbia o dalle opere dei Padri della Chiesa e per questo gli furono rivolte molte critiche.
Così Cartesio, che aveva sempre cercato di rimanere fedele al cattolicesimo, dovette vedere il suo Discorso e le sue opere successive inclusi fra i libri proibiti.
Tuttavia Cartesio aveva anche ammiratori influenti fra cui la regina Cristina di Svezia, la quale, ricevuti i suoi libri attraverso l'ambasciatore francese a corte, iniziò a scrivergli nel 1647.
Dapprima riluttante agli inviti della regina di recarsi in Svezia, Cartesio finì col cedere alle pressioni e nell'autunno del 1649 salì a bordo di una nave diretta a quello che egli chiamava “ il Paese degli orsi, fra rocce e ghiaccio”.
In Svezia
Ricevuto a Stoccolma con le dovute cerimonie, a Cartesio fu dato inizialmente l'incarico di scrivere versi in francese per un balletto.
Ma il suo impegno principale consisteva nel dare lezioni alla giovane regina a un'ora per lui inaudita: le 5 del mattino; una vera penitenza per un uomo abituato a dormire dieci ore per notte e a rimanere spesso a letto l'intera mattinata a leggere e a meditare.
La regina Cristina era un'allieva vivace e sincera nel suo desiderio di apprendere ma mancava di profondità e la vita a corte offriva pochi stimoli intellettuali per Cartesio; l'inverno in Svezia era insopportabile e il freddo tale da “far congelare anche i pensieri”.
Il primo febbraio 1650, a solo quattro mesi dal suo arrivo in Svezia, Cartesio prese un raffreddore che si tramutò in polmonite, o così parve, e dieci giorni dopo si spense.
Cattolico in un paese protestante, Cartesio fu sepolto in un cimitero riservato ai bambini non battezzati. Sulla pietra tombale, l'ambasciatore francese fece incidere un'iscrizione enigmatica: “Riscattò gli attacchi dei rivali con l'innocenza della sua vita”.
Nel 1666 la Francia reclamò i resti del suo illustre figlio: le ossa riesumate, racchiuse in una bara di rame, furono trasportate a Parigi e tumulate nella chiesa di Sainte-Geneviève-du Mont.
Durante la Rivoluzione Francese i resti furono nuovamente dissotterrati per essere trasportati nel Panthéon; nel 1819, la bara fu portata in Saint-Germain-des-Prés ma prima di essere tumulata nel luogo definitivo, fu aperta, rivelando una macabra scoperta: allo scheletro mancava il cranio.
Qualche tempo dopo il teschio ricomparve ad un'asta in Svezia; a quanto pare la testa di Cartesio era stata separata dal corpo al tempo della prima esumazione, poiché il teschio portava incisa un'iscrizione: "Cranio di Cartesio, prelevato e tenuto con cura da Israel Hanstrom nell'autunno 1666, in occasione della traslazione dei resti in Francia, e nascosto in Svezia".
Riportato in Francia, nel 1878 il teschio di Cartesio fu registrato nell'inventario dei reperti anatomici al Museo dell'Uomo di Parigi. Il corpo e la testa di Cartesio sono tuttora separati.
Il mistero della sua morte
Secondo i resoconti del tempo, Cartesio morì di polmonite: tutto avrebbe avuto inizio con un raffreddore, brividi, febbre alta e fitte al petto; successivamente, i sintomi comprendevano tosse, affanno e un espettorato color ruggine. Il medico di corte Johann van Wullen in quei giorni scrisse una lettera a un collega olandese, dando un quadro totalmente diverso delle condizioni di Cartesio: “Durante i primi due giorni, il paziente era immerso in un sonno profondo. Non prese né cibo, né bevande, né medicine.
Il terzo e quarto giorno rimase insonne e in stato di grande agitazione, sempre senza nutrirsi, né assumere medicine.
Il quinto giorno, fui chiamato al suo capezzale, ma Cartesio non accettò di essere curato da me. Poiché i segni di morte imminente erano indiscutibili, accettai volentieri di non dovermene occupare. Passati il quinto e il sesto giorno, il malato accusò vertigini e febbre interna.
L'ottavo giorno comparvero singhiozzo e vomito scuro. Inoltre, respiro irregolare, sguardo vagante, tutti segni di fine imminente.
Il nono giorno, nulla più funzionava.
Il decimo, la mattina presto, rese l'anima a Dio” e ancora “….la regina ha voluto vedere questa mia missiva prima che la spedissi. Voleva sapere cosa avevo scritto agli amici riguardo alla morte di Cartesio. Mi ha ordinato di non fare assolutamente cadere la lettera in mano di estranei.”
Perché la regina Cristina si era preoccupata di censurare le notizie riguardanti il decesso del suo illustre insegnante?
La descrizione del processo della malattia corrisponde alla sintomatologia dell'avvelenamento acuto da arsenico più che a quella della polmonite; Cartesio dunque potrebbe essere stato assassinato.
Senza dubbio in Svezia diverse persone avevano motivo di invidiare la preferenza accordata al filosofo francese: egli era sicuramente il più importante tra gli studiosi e gli artisti che Cristina aveva voluto intorno a sé; ma c'erano anche motivi religiosi per voler eliminare il filosofo: nell'intimo Cristina era attratta dal cattolicesimo e più di uno a Stoccolma, avrebbe avuto motivo di temere il potere del filosofo sulla giovane regina, e di desiderarne l'allontanamento.
Opere e pensiero
Le opere principali di Cartesio sono: Regulae ad directionem ingenii (scritte ma pubblicate nel 1701);Trattato del mondo (1633), che però non pubblicò per intero per timore di un conflitto con le autorità religiose e che nel 1637 ridusse a tre saggi: La diottrica, Le meteore e La geometria, preceduti da una prefazione che fu il celebre Discorso sul metodo; Meditazioni metafisiche (1641), Principia philosophiae (1644), Le passioni dell'anima (1649); inoltre una vasta Corrispondenza con filosofi e principi del tempo.
Cartesio è stato giustamente chiamato “il padre della filosofia moderna” perché dal suo pensiero prendono le mosse tutti i maggiori pensatori del Seicento e del Settecento; studioso di matematica e di geometria prima ancora che filosofo, vide nel metodo matematico la via più rigorosa per giungere a verità indiscutibili e pertanto auspicò l'estensione del metodo matematico alla filosofia, secondo i criteri della “chiarezza e distinzione”.
Al contrario di Galilei, Cartesio si proponeva di esaminare da filosofo le validità dell'esigenza geometrica e matematica, movendo dal presupposto che anche la più evidente delle affermazioni aritmetiche potrebbe essere un'illusione, un inganno giocato da un genio maligno, che ci fa apparire come vero e reale ciò che può avere soltanto l'illusorietà di un sogno. È questo il “dubbio metodico” esteso a tutti i dati della conoscenza che deve servire a superare le incertezze e le perplessità per approdare al possesso di una salda verità.
L'unica realtà capace di sottrarsi al dubbio è il pensiero: il fatto che l'uomo dubiti e quindi pensi, garantisce al soggetto la prova della sua esistenza.
Tuttavia la certezza di pensare non può dare immediatamente la certezza che i contenuti del pensiero siano validi; Cartesio esaminava e studiava i contenuti del pensiero, cioè le idee, che divideva in tre classi: idee innate (spontaneamente presenti nel pensiero), idee avventizie (formatesi attraverso l'esperienza) e idee fittizie (arbitrariamente composte dal soggetto); in base al principio del dubbio metodico, il soggetto non può sapere se realmente esistano fuori di sé le cose rappresentate dalle idee; tutto questo però non vale per l'idea innata che si ha di Dio, perché è l'idea della perfezione totale, dell' onnipotenza e dell'onniscienza e pertanto il soggetto non può averla creata da sé.
Fuori di sé stessi, al di sopra di sé, deve quindi esistere Dio, come realtà certissima e anch'essa inattaccabile dal dubbio.
Questa ricerca del divino da parte di Cartesio non nasceva da un'esigenza teologica quanto piuttosto dalla necessità di reperire una garanzia dell'esistenza e della concreta realtà oggettiva del mondo.
Il mondo esterno per Cartesio era riducibile all'estensione corporea che coincide rigorosamente con lo spazio e che quindi esclude in modo assoluto l'idea del vuoto.
La filosofia di Cartesio sfociava quindi in un dualismo tra pensiero e materia creando una serie di gravi difficoltà, perché l'estensione corporea non può agire sul pensiero che è inesteso, e viceversa.
Cartesio volle dare una soluzione tutta verbale al problema sostenendo che il pensiero agisce sul corpo attraverso la “ghiandola pineale”; tuttavia il problema rimase aperto e diede luogo a una serie di approfondimenti da parte di filosofi successivi.
Per Cartesio l'Universo è un gigantesco meccanismo messo in moto da Dio; questa tesi, più tardi superata, ebbe il merito di unificare sotto un'unica prospettiva, tutti i fenomeni del cosmo.
Il problema etico fu trattato dal filosofo nelle Passioni dell'anima e in molte lettere nelle quali egli affermava la necessità di adottare una morale provvisoria nell'attesa di una morale definitiva, tendendo ad identificare la virtù con l'accettazione della ragione.