La più bella plebea di Francia
Jeanne Bécu – futura contessa du Barry e amante di Luigi XIV re di Francia era figlia illegittima della cuoca Anne Bécu e del monaco Frère Ange, che per ovvie ragioni non poteva riconoscerla. La madre Anne lavorava nella casa di un funzionario parigino e della sua amante: quest’ultima si interessò alla piccola Jeanne e la mandò a studiare in convento. Qui Jeanne studiò arte e letteratura, sviluppò una fervente passione per Shakespeare e quando uscì dal convento, a 15 anni, era diventata bellissima. Così bella che l’amante del funzionario cominciò a temere che le soffiasse il posto, così abbandonò l’ex-protetta al suo destino.
Amori e ambizioni
Cominciò così l’ascesa sociale di Jeanne, che passava da un amante all’altro: il primo fu il figlio del padrone del negozio di parrucche dove lavorava, poi arrivarono funzionari e intellettuali di una certa importanza. Cominciò a farsi un nome: era bella, alta, snella, bionda, con grandi occhi azzurri. Era nota anche per le sue capacità amatorie, e non era per nulla riservata: non si faceva scrupolo a vendere prestazioni sessuali in cambio di denaro e gioielli. Il suo amante principale, e di fatto il suo magnaccia, era il conte Jean-Baptiste du Barry, che guidò la sua ascesa fino a farle raggiungere il top: il re di Francia Luigi XV.
Un marito per Jeanne
Il sovrano s’invaghì di lei, ma era stato informato male: Jeanne gli era stata presentata come una nobile e rispettabile signora sposata, mentre in realtà era plebea, illegittima, non maritata e registrata negli schedari della polizia come la puttana di du Barry. Quando venne a sapere la verità, Luigi era troppo cotto per sbarazzarsene e ordinò che Jeanne si maritasse. Il conte Jean-Baptiste non poteva sposarla, perché aveva già una moglie. Ma aveva anche un fratello maggiore, ridotto in miseria tale che nessuna donna voleva sposarlo. Dietro lauto compenso, Guillaume du Barry accettò di sposare Jeanne ufficializzando la sua posizione. Il giorno del matrimonio fu la prima e l’ultima volta che la contessa incontrò il marito. Il 22 Aprile 1769 Jeanne du Barry divenne « maitresse en titre » , ovvero “puttana in carica” del re di Francia.
Vita dura, per l’amante reale
Jeanne era una donna gioviale, colta, sensuale, di buon carattere e buon cuore. Ma le sue stravaganze e l’amore per lo sfarzo le costavano il disprezzo del popolo. A differenza di Nell Gwynne, la du Barry era considerata una traditrice dal ceto popolare da cui era venuta.Nel 1774 il re si ammalò di vaiolo. In punto di morte ebbe paura per la sua anima, e ordinò a Jeanne di abbandonare immediatamente la corte. Finì così, tristemente, una relazione durata 6 anni. Alla morte di Luigi XV, il nuovo re Luigi XVI e la regina Maria Antonietta (che detestava la du Barry e per anni non le aveva rivolto la parola) esiliarono Jeanne in un convento. Undici mesi dopo la fecero uscire, ma la diffidarono di farsi vedere entro un raggio di 10 miglia da Parigi e Versailles.
Inghiottita dalla Rivoluzione
Per 10 anni Jeanne visse felicemente. Aveva ricevuto la pensione che Luigi XV le aveva promesso, e se la spassava mangiando, ingrassando e coltivando numerosi amanti. Tutto finì nel 1791. Alcuni ladri le rubarono dei gioielli per il valore di svariati milioni: un mese dopo Jeanne seppe che la polizia di Londra li aveva recuperati, e si affrettò ad attraversare la Manica per riprenderseli. Fu un tragico errore: la Francia era in piena Rivoluzione, i nobili nascondevano i propri beni per non incorrere nell’ira del popolo. Jeanne, invece, attirò l’attenzione su di sé e sulle sue proprietà. A Londra non ruscì a farsi ridare i gioielli: in più, fu pedinata da agenti della polizia francese che spiarono i suoi incontri con i fuoriusciti controrivoluzionari. Alla fine il governo rivoluzionario la fece arrestare e la condannò a morte. Quando capì di non poter comprare la sua salvezza con i tesori che ancora le rimanevano, rimase paralizzata dalla paura. L’8 dicembre 1793 dovette essere trascinata di peso fino alla ghigliottina, e tra le lacrime supplicò il boia di graziarla; ma invano. Il popolo non le perdonò sei anni di lusso sfrenato vissuti al fianco di Luigi XV, le ingenti somme di denaro sottratte alle casse dello stato, le sontuose ville, gli arredi sfarzosi, la collezione di gioielli dal valore inestimabile, e l’insaziabile passione di ostentare la sua ricchezza a tutti i costi. Queste furono le cause della sua rovina.