A partire dalla seconda metà del XVII secolo, in Europa si diffuse la credenza che i morti potessero ridestarsi dalle tombe per attaccare i vivi e diffondere il loro male. Ciò fu dovuto soprattutto alle enormi epidemie di peste che torturarono il continente in quel secolo, causando la morte di milioni di persone.
Sepolti prematuramente, cioè prima della morte cerebrale, alcuni cadaveri venivano poi riesumati e trovati con il viso contratto in smorfie di dolore o i capelli stretti nelle mani. Spesso le casse da morto venivano addirittura rinvenute con grossi graffi sul legno ed evidentissimi tentativi di scasso dall’interno! Tutto ciò, unito ad una dilagante ignoranza non solo in campo medico, portò, nel successivo XVIII secolo, al diffondersi di racconti e superstizioni relative a morti viventi che, a notte fonda, lasciavano le loro tombe per cibarsi del sangue dei vivi.
Queste credenze trovarono terreno fertile nei territori meno civilizzati d’Europa, cioè nei feudi orientali dell’Impero austriaco.
Epidemia di vampirismo
La portata del fenomeno fu talmente vasta che si può parlare di una vera e propria “epidemia di vampirismo”, soprattutto in Moravia (1662 e 1685), Istria (1672), Grecia (1701), Prussia (1710-50), Ungheria (1725-32), Slesia (1735), Valacchia (1756) e Russia (1772), senza dimenticare il caso del villaggio di Medwegya (1732).
L'imperatrice Maria Teresa, informata dai suoi funzionari, dovette intervenire: il Primo Imperial Regio Archiatra di Corte, Gerard van Swieten, venne incaricato di condurre un'indagine con lo scopo di scoprire quali verità si celassero dietro a tale follia. Risultato fu la dotta relazione Remarques sur le vampyrisme de l’an 1755, in cui lo scienziato afferma che trattasi solo ed esclusivamente di atti dovuti ad isterie di massa e che l’incorruttibilità di certe salme fosse imputabile solo a determinate proprietà chimiche di terreni particolarmente poveri di sostanze corrosive.
Ordinò Maria Teresa: E’ nostro graziosissimo ordine per il futuro che in simili situazioni non si prenda alcuna decisione da parte di Ordini Religiosi senza l’Autorità Politica ma, nel caso in cui si verifichino simili eventi di spiriti, stregoni, risurgenti o di qualcuno che si creda invasato dal Demonio, ciò sia denunciato all’Istanza Politica e quindi da quest’ultima il caso sia esaminato con l’assistenza di un esperto medico
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La nascita del vampirismo
Tuttavia, Maria Teresa non fu il solo spirito illuminato ad interessarsi al fenomeno. Nel corso del tanto razionale XVIII secolo, infatti, numerosi studiosi, e perfino un pontefice, si dovettero interessare alla questione. Del resto fu proprio il Settecento, precisamente il 1725, a veder comparire per la prima volta il termine vampiro (derivante dal serbo vampir, che a sua volta troverebbe la sua origine più accreditata nel verbo litauano wempti, cioè "bere"), scritto in alcuni documenti parrocchiali della cittadina morava di Bärn, dove il cadavere di un certo Andreas Berge veniva indicato come “Vampertione infecta”.
Uno dei primi trattati che si occupò seriamente dell’argomento fu il piccolo volume intitolato Magia Postuma, pubblicato da Karl Ferdinand De Schertz nel 1704. Il dubbio introdotto da Schertz, cioè che si trattasse nella maggior parte dei casi di superstizioni contadine, trova riscontro nell'opera di molti studiosi, tra cui Johann Heinrich Zedler che, nel suo Universal Lexicon (1732-54), sostiene che la perfetta conservazione di alcuni cadaveri sia da ascriversi a determinate qualità chimiche del terreno.
Chiesa e scienza studiano il vampirismo
A partire dal fatidico 1732, anno in cui avvennero i già citati fatti di Medwegya, la tesi scettica sull’esistenza del vampiro si fece sempre più largo tra gli studiosi, assumendo sfumature diverse: per Geelhausen (1732) si trattò semplicemente di sepolti vivi, per Johann Christoph Meining (1733) si trattò di allucinazioni dovute al consumo di carne bovina infetta. Ma per ogni trattato scettico se ne contrappone uno che avvalla l’ipotesi dell’esistenza dei vampiri, come nel caso di Johann Christoph Stock, autore della Dissertatio physica de cadaveribus sanguisugis (1732).
Tra i grandi esponenti della Chiesa che si interessarono al fenomeno dei vampiri deve essere ricordato Giuseppe Davanzati, arcivescovo di Trani, autore di una disincantata Dissertazione sopra i vampiri (1738-43). Nel suo interessantissimo scritto l'alto prelato, venuto a conoscenza dei fatti che turbavano la pace di molte località in Moravia, si preoccupa di spiegare al lettore che i vampiri sono solo ed esclusivamente creature dell’immaginazione. Per farlo ricorre ad un’interpretazione illuminata della dottrina cristiana, affermando che i vampiri non possono essere creature di Dio (“Perché mai Dio dovrebbe darsi pena di organizzare queste stranezze?”) né tanto meno opera del Demonio (“che non ha potere alcuno sul corpo dell’uomo”). Davanzati spiega che le apparizioni di vampiri sono da attribuire soprattutto all’ignoranza delle popolazioni meno istruite: “Perché non si vedono vampiri in Roma, Parigi, Londra o in qualche altra città cospicua d’Europa? (…) Perché i popoli di Slesia, Boemia, Ungheria e Moravia, ove ordinariamente si narrano che succedano queste apparizioni, sono per essi stessi inclinati ad antiquo alle visioni per esser troppo creduli e soggetti all’inganno della fantasia.”
Papa Benedetto XIV, prendendo spunto proprio dalla Dissertazione di Davanzati, affermava senza timore alcuno che “tutt’oggi mancano prove sicure e vengono considerate, anzi, dalle persone più sensate come fallaci finzioni della fantasia”.
Una teoria inizialmente meno inchiodata su posizioni scettiche appare quella di Dom Augustin Calmet, autore di quella Dissertations sur les apparitions (1746) che ancora oggi viene utilizzata come efficace raccolta di testimonianze sulle apparizioni di vampiri in Europa. Nella prima edizione della sua opera Calmet non prende affatto le distanze dalla credenza dei vampiri, ma non ne sostiene nemmeno l’esistenza con teorie precise. Nella successiva edizione, ribattezzata Traité sur les apparitions des epirits et sur les vampires ou les Revenans de Hongrie etr de Moravie (1751), l'autore assume invece posizioni più chiare: “dubito che ci sia un altro partito da prendere in questa questione che quello di negare assolutamente il ritorno dei vampiri“. L’atteggiamento oscillante di Calmet, dovuto con molte probabilità alle spietate critiche rivoltegli da Voltaire, la dice lunga su quanto l’ambiente illuminista fosse poco propenso ad ammettere, anche solo per assurdo, la presenza di morti tornati tra i vivi.
Tra i tanti racconti che circolarono con ampia diffusione in questi rapporti, ne troviamo tre che ricorrono con una certa insistenza: quello del vampiro istriano Jure Grando, quello del serbo Peter Plogojowitz e quello notissimo della città di Medwegya.