O taci
o di' cose migliori del
silenzio Salvator Rosa
Pittore e poeta, Salvator Rosa nacque ad Arenella (Napoli) nel 1615, appartenente ad una modesta famiglia dedita per tradizione alla pittura. Non fece studi regolari e condusse una vita avventurosa che contribuì a far nascere leggende sul suo conto.
Il Rosa deve la sua fama di pittore soprattutto ai paesaggi e alle scene di battaglia e le sue prime opere note suggeriscono un iniziale accostamento all'attività di Aniello Falcone.
Dopo i vent'anni si recò a Roma e qui acquistò ampia fama interpretando e ideando farse. Alla fine del 1640 si trasferì a Firenze, dove rimase per più di nove anni, lavorando intensamente e accogliedo nella sua arte motivi nordici (in particolare da dipinti fiamminghi e tedeschi), perfezionando il genere della veduta di fantasia: paesaggi tenebrosi e selvaggi, cupe boscaglie e rupi a strapiombo, tempestose marine, scene di stregoneria o bivacchi di banditi, interpretati con umore malinconico e bizzarro. In questo periodo coltivò importanti amicizie e fu tra i fondatori dell'Accademia dei Percossi: compose la maggior parte delle Satire e conobbe Lucrezia Paolino, che fu sua modella e amante e che sposò prima di morire.
Nel 1649 ritornò a Roma e, tranne brevi assenze, vi rimase fino alla morte. In polemica da un lato contro la "retorica" del barocco, dall'altro contro la "volgarità" della pittura di "genere", sentì fortemente la suggestione del paesaggio ideale, classico di Claude Lorrain, conservando tuttavia, almeno nei suoi dipinti migliori, quell'elemento pittoresco, di "sublime" naturale, al quale la sua opera deve il grande successo e la vasta popolarità di cui godette, sia presso i collezionisti sia presso numerosi artisti, nel corso del Settecento e dell'Ottocento.
Durante gli ultimi vent'anni della sua vita si svolse quasi tutta la sua attività nel campo della grande pittura sacra, allegorica, di storia e di soggetto mitologico. Si sforzò allora di conferire misura, ritmo e decoro classico, "alla Poussin", alle figure di banditi, pirati, combattenti e negromanti, che popolano molti dei suoi dipinti, in composizioni sapienti anche se spesso inerti e artificiose.
Tra le sue opere, oltre alle numerose scene di porti e marine dipinte durante il periodo toscano, conservate nella Galleria Palatina a Firenze, si ricordano il presunto Autoritratto(Londra, National Gallery), la Strega (Roma, Pinacoteca capitolina), la Scena di Battaglia (Parigi, Louvre), La morte di Attilio Regolo (Richmond, Museum of Fine Arts).
Della sua produzione letteraria, oltre a varie rime e a numerose Lettere, ci restano sette Satire (La Musica, La Poesia, La Pittura, La Guerra, L'Invidia, La Babilonia, Il Tirreno), le quali sono notevoli non solo perchè ci fanno conoscere le sue idee sull'arte, ma soprattutto perchè, nonostante i continui riferimenti classici, vi si mostra con molta spontaneità il suo carattere. Hanno momenti di grande freschezza ed efficacia i suoi sfoghi impetuosi contro i vizi del tempo, in difesa di un'arte di più vasto impegno umano, tanto più che si avverte che nella sua indole bizzarra e irruente vi era un fondo di malinconia e una sincera ispirazione idilliaca; nello stesso tempo però è evidente un'incuria stilistica che rende monotono il tono e inadeguata l'espressione, sempre alquanto prolissa e declamatoria.
Morì a Roma nel 1673.
Veduta del Golfo di Salerno
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