Premessa
L'uso del profumo per la cura della persona si diffuse in Europa ad opera dei crociati che, creando un nuovo legame tra Oriente e Occidente, restituirono al Vecchio Continente il gusto per i profumi.
La riscoperta del profumo, paragonabile a una creazione dell'alchimista, ebbe grande voga per tutto il Rinascimento e i profumieri italiani, stimolati dalla competenza e dalle esigenze di personaggi come Caterina Sforza, Isabella e Alfonso I d'Este, Lucrezia Borgia, Cosimo I e Caterina de' Medici (che introdusse la moda dei profumi in Francia), divennero universalmente famosi e Firenze fu per lungo tempo il centro dell'attività profumiera europea.
Con Caterina de' Medici questo primato si spostò in Francia, soprattutto in Provenza e nella città di Grasse e con l'avvento dell'epoca moderna, l'immaginario del corpo e quello del profumo intrapresero un percorso comune di sviluppo e arricchimento, influenzando l'evoluzione dei costumi fino ai giorni nostri.
Il profumo come purificante
Dopo la chiusura delle saune nel XVI secolo, su accurato consiglio di Ambroise Paré e di altri umanisti, l'acqua venne eliminata dalle abitudini igieniche, responsabile, secondo aluni medici, dell'indebolimento dell'organismo e di aprire i pori, facilitando la penetrazione di veleni e, con il passare del tempo, le abitudini igieniche confidarono nelle virtù purificanti del profumo, eliminando progressivamente l'uso dell'acqua.
A questo proposito sono significative le pratiche messe in atto alla nascita di un bambino: il neonato veniva lavato, cosparso di una sostanza, il cui compito era quella di chiudere i pori e avvolto in fasce strette per garantirne la tenuta. “Per fortificare la pelle e proteggerla dagli accidenti esterni che potrebbero recare danno al neonato, per via della sua fragilità, consigliamo di cospargerlo con polvere di molluschi, facilmente reperibili lungo i corsi d'acqua e presso gli acquitrini oppure della polvere ricavata dalle corna di bue, oppure ancora della limatura fina di piombo mescolata con del vino”. Per saturare la pelle venivano impiegate le sostanze più varie: il sale, l'olio e la cera, in particolare, venivano adoperati per ostruire i pori mentre le rose macinate per il “conforto delle membra”.
Il profumo sostituisce l'acqua
L'epoca barocca, attenta all'eleganza e alla cura dell'aspetto, non si lavava ma si “cosmetizzava”: al mattino, l'acqua rinfrescava mani e viso, ma si ignorava il resto del corpo.
Descrivendo la toeletta del Re Sole, il duca di Saint-Simon ricorda solo l'abitudine di lavare le mani con dell'alcol di vino. Per ovviare agli umori del corpo si usavano le spugnature o, al limite, le frizioni con un panno bianco, seguite dalla purificazione tramite applicazione di unguenti aromatici.
Il profumo aveva il compito oltre che di mascherare i cattivi odori, di lavare, ed era considerato in ragione delle sue virtù lignee, un agente purificante: si riteneva che la pelle, essendo porosa, venisse penetrata dal profumo che ne garantiva la depurazione interna attraverso l'eliminazione dei miasmi.
La pulizia era dunque il risultato di questa toeletta a secco cui si accompagnavano frequenti sostituzioni di indumenti che trasformavano l'igiene in un'abitudine di lusso, con corrispondente applicazioni di profumi, polveri e belletti odorosi.
Molto usate dalle dame erano le essenze di maggiorana e lavanda, il giaggiolo di Firenze, l'acqua dei fiori d'arancio o Neroli lanciata dalla Principessa Orsini, la violetta e il mughetto.
Lo sporco visibile non contraddiceva la pulizia “soggettiva”, l'uso dell'acqua era fuori discussione e ai profumi era affidato il compito di celare l'inevitabile puzzo del bel mondo. Gli scritti e le testimonianze riguardanti l'uso dei profumi a quel tempo puntano sostanzialmente il dito contro la corte e la città.
Nei suoi scritti, la Morandière (1764) descrive con particolare efficacia la sporcizia imperante a Versailles, raccontando degli odori rivoltanti che impregnavano il parco, i giardini e il castello. Parigi stessa era, per le strade, piena di lerciume e il fetore era talmente nauseabondo che qualsiasi tipo di profumo apportava necessariamente una piacevole ventata di aria fresca. I signori che si avventuravano per le strade della città erano soliti tenere davanti al naso un fazzoletto imbevuto di essenza o una pomme, un pomo, di profumo o di ambra. Questi pomi odorosi erano piccoli recipienti sferici, realizzati in metallo nobile, talvolta impreziositi da gemme, in cui era contenuto appunto del profumo. Erano in pochi a potersi permettere le pommes da profumo, di per sé già molto costose, riempite di aromi come incenso, mirra, sandalo, canfora, mescolati con una pasta solida.
Il popolo invece doveva accontentarsi di spugne imbevute di sostanze aromatiche che svolgevano la stessa azione terapeutica.
Nel XVII secolo si riteneva che il profumo alcolico tenesse alla larga i germi contagiosi e rafforzasse i corpi. Charles Delorme, archiatra di Luigi XIII, per proteggersi dalla peste, decantava le virtù antisettiche degli aromi.
Alcune stampe del XVII secolo ritraggono un uomo con un abito lungo, le mani protette da larghi guanti di tela cerata e il viso coperto da una maschera di cuoio provvista di un lungo becco riempito di sostanze aromatiche, alle quali veniva affidato il compito di fungere da pesticidi e filtrare l'aria venefica. Un paio di occhiali e un grosso cappello completavano questa tenuta degna di Diafoirus.
L'Acqua della Regina di Ungheria
Molto usata in epoca barocca era l'Acqua della Regina di Ungheria, vera e propria antenata della più famosa Acqua di Colonia.
L'acqua della Regina di Ungheria aveva fatto la sua comparsa verso il 1360, e si trattava di un profumo basato sull'utilizzo di una soluzione alcolica, elaborata nell'VIII secolo dagli arabi grazie all'introduzione dell'alambicco. Con essa nacque l'idea di far macerare in una sostanza alcolica alcune sostanze aromatiche, nel caso specifico la salvia, la maggiorana e il rosmarino (ingrediente fondamentale) nell'acquavite ed esporre poi la soluzione ai raggi del sole per una settimana. In seguito questo profumo venne ribattezzato Eau ardente, perché con la scoperta dell'alcol etilico, fuoco e acqua si univano.
Grazie al suo potere curativo e profilattico e alla sensazione piacevole che era in grado di procurare, quest'acqua recava sollievo alle emicranie, dissipava le esalazioni, fortificava l'organismo e persino la vista, se applicata con impacchi sulle palpebre. Era impagabile contro gli spasmi addominali, la pituita, il ronzio d'orecchi e la gotta. Se ne consigliava il ricorso anche per stimolare la memoria e l'attenzione ma anche per quell'euforia che la guarigione da così tanti malanni non mancava di suscitare.
L'utilizzo di questa preziosa acqua era stato persino prescritto agli allievi dell'istituto di Madame de Maintenon, a San-Cyr, per combattere l'aria insalubre delle paludi che circondavano il castello.
All'epoca, l'Eau ardente era utilizzata sia come eau de toilette sia come farmaco depurativo da bere, al fine di ottenere, attraverso le sue virtù aromatiche, una purificazione esteriore e interiore. Grazie all'essenza floreale diluita nell'alcol e alla sensazione di calore che sprigionano quando vengono frizionate sul corpo, queste eau de toilette, seppero conquistare il pubblico sin dalla loro apparizione sul mercato e presto soppiantarono l'aceto aromatizzato, impiegato fino a quel momento a scopo terapeutico o protettivo.
Non bisogna dimenticare l'incredibile diffusione del cosiddetto Aceto dei sette ladri, vera panacea contro la peste: secondo la leggenda, un gruppo formato da quattro, talvolta sette, manigoldi era solito spogliare i cadaveri degli appestati e ungere le porte delle abitazioni, cioè sporcarle con sostanze contaminate al fine di propagare l'epidemia e svaligiare le case dei defunti.
Le forze dell'ordine riuscirono ad acciuffarli ma fu loro concessa la grazia in cambio della ricetta dell'aceto aromatizzato che essi avevano usato per proteggersi dal contagio.
Da quel momento le vinaigrettes, piccole scatole decorate contenenti una spugna imbevuta del famoso aceto, divennero molto popolari.
Piaceri olfattivi
L'impiego di questi costosi rimedi distingueva i nobili dal resto della società. Nel 1709, Lèmery distingueva tre tipi di profumo: uno per la nobiltà, uno per la borghesia e uno per i poveri. L'odore divenne dunque un codice sociale, il cui ruolo discriminante era destinato a crescere. Il profumo per il povero veniva ricavato da una miscela di olio e cenere e serviva a disinfettare l'aria. Per il ricco il profumo svolgeva anche un'azione legata al piacere dei sensi.
Il famoso pomme de senteur tenuto davanti al naso per proteggersi dai miasmi era solo uno dei numerosi dispositivi profumati, dotati di molteplici funzioni, disponibili in epoca barocca.
Profumieri e guantai
I profumieri avevano acquisito nuova fama dal Medioevo, ma il mercato li voleva, insieme con i saponai, contrapposti a farmacisti e speziali. Nel 1614, i guantai francesi conquistarono il diritto di unirsi ai profumieri per dare vita a una potente corporazione che vide la luce prima a Parigi e poi in altre città della Francia, come Grasse.
Lo strano connubio tra un mestiere collegato al tanfo dei conciatori e un altro dedito alla creazione di odori gradevoli trovava la sua giustificazione nell'usanza, diffusa in Francia da Caterina de' Medici, di profumare i guanti e gli altri oggetti in pelle. La moda delle peaux d'Espagne, strisce di cuoio essiccato fortemente profumate che venivano messe in fondo ai bauli, ebbe vita lunghissima.
Con l'utilizzo del profumo nacquero anche i relativi flaconi: nel XVII secolo, gli artigiani idearono flaconi e boccette per profumo che ricordavano la forma di una bottiglia, realizzati in materiale prezioso come oro, argento e vermeil ma anche in lapislazzuli, cristallo di rocca e corniola.
Una nuova concezione
Nel XVIII secolo la crescita del potere borghese condusse all'abbandono di questi eccessi odorosi, percepiti come opprimenti e malsani. I borghesi cominciarono a prendere le distanze dalla corte imbellettata, incipriata e profumatissima, nonché oziosa.
Le fragranze intense, tanto care alla corte del Re Sole, vennero bandite; ciò nonostante, l'asepsi del corpo nel Settecento, incontrava ancora strenue opposizioni; se qualcuno osava consigliare i bagni freddi, era per beneficiare dei loro effetti tonificanti ed energizzanti e non per soddisfare un desiderio di pulizia e gli aromi continuarono ad essere considerati validi strumenti di purificazione. Si raccomandava di annusare garofano rosso e di spargere sugli abiti angelica polverizzata, munirsi di una scatola di profumi era una precauzione dettata dal buon senso. In Inghilterra si decretava con convinzione le proprietà antisettiche di mirra, canfora, serpentina, fiori di camomilla e china .
La profumeria senza finalità terapeutiche fu influenzata dal pensiero borghese e si orientò verso effluvi naturali, fragranze semplici, molto apprezzate per la soavità dei loro accordi. Nacque così un gusto per gli aromi che ricordavano la campagna e i fiori e la stessa corte in Francia cominciò a far largo uso di profumi come l'Eau divine, l'Acqua di mille fiori , l'Eau san Pareille , l'Eau di Bouquet di Primavera.
L'intento era quello di sedurre con la purezza dei fiori, ecco perché il muschio, che aveva conosciuto un enorme diffusione nel XVII secolo, venne giudicato un richiamo erotico di sconcertante violenza. Sino alla fine del XVIII secolo, le donne dell'aristocrazia avevano utilizzato questo tipo di profumo, non per mascherare l'odore del proprio corpo, ma per esaltarlo, precorrendo il ricorso ai ferormoni.
Agli sfacciati richiami erotici e agli artifici della corte, la borghesia contrapponeva una seduzione naturale; nasceva in questo modo la profumeria moderna basata su una rappresentazione del corpo, sviluppando una tendenza alla personalizzazione, all'identità e al narcisismo.