Sin dalle loro primissime incursioni nell'Europa Occidentale i turchi hanno lasciato tracce del loro passaggio tramite testimonianze architettoniche e artistiche, più numerose nelle terre di confine come Bulgaria, Romania e i territori balcanici. Queste tracce rimangono dei casi isolati: la cultura europea, di cui i più autentici portavoce sono i regnanti cristiani degli Stati, vuole e deve rimanere refrattaria e impermeabile a qualsiasi forma di contaminazione provenga da queste 'invasioni barbariche'.
Non è ancora sviluppato il gusto per l'eccentrico, l'estetica dell'esotico, il sogno di un Oriente mitico che dominerà la fine del XVII secolo e tutto il XVIII: i turchi (o soggetti non meglio precisati con abbigliamento di foggia turca) sono immortalati ancora come aguzzini di Gesù Cristo e il loro ruolo impopolare e antisociale inizierà una lenta 'sanatoria' dal teatro: Shakespeare, nel suo Otello, è uno dei primi a scolpire nei 'mori' una umanità e una psicologia a tutto tondo che, rendendoli capaci di provare emozioni e sentimenti, li rende più vicini al pubblico e li libera dall'aura di barbari. In teatro compaiono anche i primi costumi di foggia turca, o perlomeno una foggia presunta tale, rimaneggiata ed adattata nei colori e nelle forme agli scopi del palcoscenico protobarocco.
E' proprio a queste forme esasperate e ridondanti, i grandi turbanti, gli abbondanti drappeggi, i broccati sgargianti, che poco hanno a che vedere con il reale e molto con il trasfigurato di un Oriente onirico narrato da Marco Polo, a cui si ispirerà la moda per l'abbigliamento e gli accessori in stile turco, tanto in voga soprattutto nella Francia del XVIII secolo.
I turchi nel teatro barocco francese
Dopo aver portato sulle scene dei turchi più umani, ma spietati e crudeli come quelli che spingono alle porte dell'Europa e la annegano in un bagno di sangue fino a Vienna, il teatro, e più precisamente la Comedie Ballet francese, si incarica di smitizzare e ridicolizzare il loro ruolo ancestrale di minaccia incombente.
Nel 1670 i Turchi erano già penetrati in Ungheria, instaurandovi un protettorato ottomano, e continuavano prepotentemente la loro espansione: i monarchi d'Europa tremavano e i loro musicisti di corte dovevano aguzzare l'ingegno per rassicurarli e minimizzare la situazione.
Dai geni di Jean Baptiste Lully e Molière nasce, in quello stesso anno, il Borghese Gentiluomo, in cui i Turchi sono dipinti con ironia e disincanto.
Marcia per la Cerimonia dei Turchi, tratta dal Borghese Gentiluomo di Lully-Molière nella ricostruzione del film Le Roi Danse di G.Courbiau
Il signor Jourdain, un borghese tranquillo che potrebbe godersi la vita senza troppi problemi, è ossessionato dall'idea di elevare il suo grado culturale e sociale: studia canto, danza, scherma....e non potrebbe desiderare di meglio quando gli viene comunicato che il figlio del Gran Visir turco vuole sposare sua figlia. Già pregusta gli onori e i lussi del diventare parte della nobiltà, quando arriva al suo cospetto una corte grottesca: i 'mori' parlano una lingua incomprensibile, costituita da parole inventate e francesi, emettono strani versi e fanno strane smorfie, per salutare sguainano la scimitarra e minacciano.
Per essere all'altezza della situazione ed entrare nelle grazie dell'alta nobiltà turca, Jourdain finge di comprendere la loro lingua e di apprezzare le loro stranezze, arrivando persino ad abbigliarsi come loro, in un crescendo umoristico e sarcastico che porterà il protagonista a scoprire alla fine la verità: la proposta era solo uno scherzo e la sua condizione di borghese rimane tristemente irreversibile.
I costumi originali disegnati da Berain per la corte del Gran Visir sono un misto interessante di elementi orientali tipici (come ad esempio il turbante e le piume), elementi dell'abbigliamento del tempo ed elementi di fantasia, rendendo i personaggi da una parte ancora più reali e vicini alla quotidianità, dall'altra ammantandoli di un'aura quasi immaginaria, che in qualche modo li rende innocui, inoffensivi...quasi simpatici.
Anche la musica contribuisce allo scopo, unendo agli elementi tipici dell'immaginario turco, come le percussioni e i ritmi serrati, melodie accattivanti e perfettamente rispondenti ai canoni armonici occidentali.
Da questo quadro i turchi escono definitivamente smitizzati e sdoganati dal ruolo di barbari assetati di sangue :parlano in modo buffo, indossano redingote colorate e infiocchettate che fanno tendenza, cantano come nei teatri di Parigi, lanciano uno moda eccentrica nell'abbigliamento e nell'arredamento.
Anche Mozart mette in scena i turchi
Un secolo più tardi, quando la minaccia di un'invasione non è più così incombente, la presenza 'turca' nella musica operistica troverà forse il suo più alto compimento nel Ratto dal Serraglio di Mozart.
Scena finale del Ratto dal Serraglio di Mozart tratta dal film Amadeus di M.Forman (1984)
Questa volta degli improbabili mori tedescofoni hanno rapito la giovane Kostanze e la tengono prigioniera in un serraglio, dal quale il suo fidanzato Belmonte, giunto in Turchia dalla Spagna per liberarla, riuscirà, dopo mirabolanti avventure e con il favore del magnanimo pascià Selim, a portarla via tra il giubilo generale.
I turchi di Mozart sono anche loro buffi e chiassosi, ma al tempo stesso romantici e sensibili, al punto di deporre la scimitarra davanti all'amore dei due giovani fidanzati. Persino il serraglio, da luogo di prigionia, diventa nell'immaginario rococò un'esotica alcova dove vivere, tra velluti e profumo di mirra, segreti piaceri di terre lontane. Non è raro trovare nelle dimore signorili di quel periodo anticamere e boudoir arredati in stile harem, con cuscini a terra e tappezzeria in foggia di 'tenda'.
Tuttavia in quel periodo il gusto per le turcherie ed altri vezzi orientali è già diffuso e consolidato, anche in musica: sono frequentissimi i casi di compositori che si dedicano a lavori strumentali ed operistici in stile turco e più in generale esotico: celeberrima la Marcia Turca dello stesso Mozart, ma potremmo citare il Moro di Antonio Salieri, Le Indie Galanti di Rameau, The Indian Queen di Purcell, Le Cinesi di Gluck e molte altre, senza poi enumerare la miriade di opere che vedono protagonisti i personaggi e l'aneddotica mitica dell'oriente classico ed ellenistico.
Sulla scia dei sentimentalismi dei turchi mozartiani, si innestano il Turco in Italia a l'Italiana in Algeri di Gioacchino Rossini, nelle quali i personaggi esotici sono tratteggiati con un gusto ormai romantico ed appaiono i depositari di una emotività più autentica e di una passionalità più primigenia e meno corrotta, figlie del mito del buon selvaggio di Diderot e tanto care all'immaginario etnografico che sarà dello Sturm und Drang.
Ma cos'è che può rendere l'idea di 'turco' in composizioni di impianto armonico del tutto occidentale?
Da Lully a Rossini, passando per Mozart, gli espedienti stilistici e strumentali sono praticamente gli stessi: sicuramente deve aver colpito la quantità di percussioni, tamburi, sonagli che le orde di mori devono aver portato con sè nelle loro ripetute incursioni in Europa. Il primo connotato che colpisce, in composizioni in stile esotico, è l'uso, o il rasentato abuso, di piatti, cimbali,timpani e percussioni di ogni foggia e natura, che simboleggiano il carattere più tribale della musica 'etnica' accompagnate da melodie incalzanti e spesso di genere marziale o guerresco, sicuramente da collegare al carattere bellicoso e sanguinario da sempre associato ai turchi. Ma è nella scelta della strumentazione che si ravvisa il connotato più tipicamente 'folcloristico' di questo filone di genere: la prevalenza di fiati, soprattutto ottoni, che più probabilmente i turchi avrebbero potuto portare al loro seguito negli spostamenti attraverso l'Europa, ricorrendo ad un organico simile a quello che oggi definiremmo bandisitico. Addirittura, nella prima esecuzione del Ratto dal Serraglio, Mozart arrivo' ad utilizzare una strumentazione uguale a quella delle bande di giannizzeri che si esibivano a Vienna nel parco Prater ed erano particolarmente note in tutta l'Europa di fine Settecento.