La retorica, codice del “barocco”
Dalla fine del XV secolo tornano disponibili in Italia i grandi trattati di retorica dell'antichità classica, primi fra tutti quelli di Aristotele, Cicerone e Quintiliano. L'arte del convincere e dell'arringare le folle tramite discorsi ricchi di figure rigidamente codificate e di virtuosismi lessicali torna pertanto prepotentemente in auge tra i secoli XVI e XVII, toccando uno dei suoi apici nell'epoca barocca.
Ma la retorica nel '600 non trova solo alcuni dei suoi più illustri maestri e divulgatori, come ad esempio il poeta Giovan Battista Marino e Emanuele Tesauro , autore del “Cannocchiale Aristotelico”, il più importante trattato di retorica dell'età barocca, ma si rinnova con un nuovo fine: quello di appassionare gli animi e di smuovere la sfera emotiva ed emozionale del pubblico.
Questa nuova missione della retorica, “il fin, la meraviglia” per dirlo con le parole di Marino, permea profondamente tutta la produzione letteraria ed artistica del barocco prima italiano e poi europeo, tanto da poter rappresentare un vero e proprio codice interpretativo senza il quale tutta quella produzione sarebbe inconcepibile ed in alcun modo intelligibile.
Intervista a Michele Pasotti relatore della conferenza 'Gli affetti: una teoria barocca?'
Gli “Affetti”, una teoria barocca
Le figure retoriche e gli espedienti solitamente usati sin dall'antichità dagli oratori per creare suspance, commozione, euforia vengono amplificati in potenza drammatica, magnificenza e realismo in ogni campo, dalla pittura alla scultura alla musica, con l'unico scopo di creare un'empatia tra l'esecutore e lo spettatore che entrambi (ri)vivono il dramma umano che ogni giorno và in scena sul gran teatro del mondo barocco.
L'estrema esasperazione teatrale con cui vengono rappresentate le scene pittoriche caravaggesche o i gruppi marmorei del Bernini come anche le ardite evoluzioni architettoniche borrominiane rispondono tutte ad una stessa logica: riproponendo stilemi retorici già codificati, come quelli della CLIMAX , del CONTRASTO o dell'ABRUPTIO (brusca interruzione di un discorso, di una linea o di un colore) approdano ad un risultato estremamente carico di pathos,capace di far vibrare gli “AFFETTI” umani.
Le emozioni e i sentimenti, strettamente collegati nel periodo barocco alla teoria dei 4 umori e individuati da Cartesio in 6 principali declinazioni (meraviglia, amore, odio, desiderio, gioia e tristezza), sono l'oggetto a cui si rivolge anche la musica , soprattutto dopo la svolta che Claudio Monteverdi ha impresso alla musica vocale profana con la nascita del melodramma e la particolare attenzione dedicata al contenuto dei testi e alla loro resa emotiva tramite scelte melodiche descrittive e non prevaricanti.
Athanasius Kircher, teorico e musicista del '600 italiano, è uno dei primi ad ipotizzare un preciso rapporto di corrispondenza tra gli “affetti” e alcune determinate sequenze e figure sonore:
« La retorica [...] ora allieta l'animo, ora lo rattrista, poi lo incita all'ira, poi alla commiserazione, all'indignazione, alla vendetta, alle passioni violente e ad altri effetti; e ottenuto il turbamento emotivo, porta infine l'uditore destinato ad essere persuaso a ciò cui tende l'oratore. Allo stesso modo la musica, combinando variamente i periodi e i suoni, commuove l'animo con vario esito. »
(Musurgia universalis, Cap II (1650))
Un esempio di retorica in musica: Gesualdo da Venosa
lo spartito del brano esaminato si trova in fondo alla pagina
La “rivoluzione” della retorica musicale degli Affetti prende le mosse in Italia ed è sicuramente più evidente nei musicisti che si rifanno alla seconda pratica monteverdiana, ovvero quella che pone come “signora dell'armonia l'orazione”.
Carlo Gesualdo da Venosa è certo molto fedele a questa supremazia del testo e dei suoi valori drammatico-emotivi, offrendoci nel II responsorio in Coena Domini un evidente esempio di retorica musicale a scopo emozionale.
Il testo latino musicato è semplice, asciutto e ricco di pathos: Cristo chiede agli apostoli di vegliare con lui in attesa della morte, ma all'arrivo della folla che lo accuserà gli amici lo abbandoneranno disperdendosi. Una angosciante consapevolezza di un dolore necessario ed inevitabile, senza il quale non può compiersi il destino dell'Uomo.
Il brano si apre con una CATABASI (discesa), una sequenza di note discendenti affidata a scalare a tutte le voci, che introduce il carattere drammatico della composizione e descrive il turbamento d'animo di Cristo.
Gesualdo si serve spesso, nel brano, di pause “improvvise” che interessano tutte le linee melodiche: questi silenzi perentori, paragonabili alle ABRUPTIO (interruzioni) oratorie, hanno lo scopo di sottolineare il concetto lessico-musicale che si sta per introdurre, come ad esempio l'accorata richiesta agli Apostoli di non addormentarsi e di vegliare insieme al loro Maestro. Questa stessa, disperata richiesta, ripetuta omoritmicamente da tutte le voci, è oggetto di una MIMESIS (ripetizione) retorica, ovvero di una identica ripetizione della cellula musicale, che ne sottolinea il carattere drammatico.
Poco più avanti, l'abbraccio mortale della folla che circonderà Gesù per condurlo a morte è reso tramite “semicerchi”di note ascendenti e discendenti che evocano anche visivamente il termine “circumdabit”.
L'espediente della SIMILITUDINE grafica e sonora per evocare un atto si ritrova nelle ripetute cascate di semicrome (il valore minimo che si ravvisa nella composizione) affidate in modo asincrono a tutte le voci, che generano la sensazione di fuga scompaginata e confusa a cui si abbandonano gli Apostoli terrorizzati.
Dai Responsoria per la settimana santa, Feria V In Coena Domini
Una libertà travisata
L'uso delle figure retoriche in musica allo scopo di sottolineare un testo e di sfruttarne tutte le implicazioni emotive ed emozionali non ingessano gli artisti e gli interpreti del barocco in un rigido e manierato codice espressivo nel quale ad ogni sollecitazione corrisponde una reazione precisa e prevedibile, come invece è stato spesso denunciato dalla critica illuministica prima e romantica poi.
Ogni figura “nascosta” nel testo musicale è interpretata dall'esecutore e dallo spettatore in modo libero e “creativo”, sulla scia della sua emotività. Questa estrema imprevedibilità lascia ampio spazio all'estro creativo dell'artista che, per usare le parole del Tesauro, mostra la sua “arguzia”nel porre e nell'interpretare la retorica musicale in modo personale, ma al tempo stesso fruibile per tutta una comunità di fruitori che ha ben chiari i significati e i rimandi di questo codice.
Le indicazioni che Girolamo Frescobaldi, musicista e virtuoso della tastiera nella Roma di inizio '600, indirizza agli esecutori delle sue Toccate ci fanno ben comprendere questa estrema libertà artistica troppo spesso ravvisata ed accostata ad un concetto moderno e quasi dispregiativo di retorica, come di qualcosa di artificioso e non autentico:
« Non dee questo mod odi suonare stare soggetto stare soggetto a battuta: come veggiamo usare ne i madrigali moderni, i quali quantunque difficili si agevolano per mezzo della battuta portandola hor languida, hor veloce, è sostenendola etiando in aria, secondo i loro affetti, ò senso delle parole »
Non è solo la ricerca del suscitare affetti negli altri il cuore della prassi compositiva ed esecutiva barocca, ma anche e soprattutto l'assecondare i propri affetti e il trasfonderli nell'arte umanizzandola, operazione senza la quale non è possibile meravigliare, emozionare ed appassionare.
Il trattato nel XVII secolo, Emanuele Tesauro La retorica, strumento della comunicazione barocca Architettura e retorica in età barocca