Anno 1667. Siamo in piena guerra di devoluzione. Luigi XIV partecipa alle campagne come a un allegro gioco di società. Si reca al fronte seguito da moglie, amanti e cortigiani. La Grande Mademoiselle, Anna Maria Luisa d’Orleans, cugina del re, partecipa anche lei a queste campagne.
Figlia di Gastone d’Orleans e duchessa di Montpensieur per eredità materna, Anna Maria Luisa era l’amazzone ribelle della Fronda: emula di Pentesilea e di Giovanna d’Arco, aveva sparato personalmente dall’alto delle torri durante quelle giornate che la videro protagonista insieme al Condé. Benché più grande di Luigi XIV aveva forse sperato di sposare il cugino, lei che aveva la stoffa per essere regina. Esiliata per diverso tempo nelle sue terre, tornò a corte nel 1657. Le sue memorie sono particolarmente interessanti e gettano lampi di luce sulla corte e la Francia del Re Sole.
Ecco la descrizione, tratta appunto dalle memorie di Anna Maria Luisa, di alcune giornate al campo in cui è descritto con straordinaria ironia il difficile approccio della regina Maria Teresa d’Austria con la vita in un campo militare:
“A un’ora di notte il fiume era talmente grosso che ci volle del bello e del buono per passarlo a guado. Trovammo finalmente una casa, tutta sgangherata, in mezzo ai prati. La regina discese la carrozza. Erano le due. Entrammo. Avevamo una candela. La Regina volle vedere se l’altra stanza era un po’ meglio. Madama Béthune, che reggeva la candela, cercò di aiutarla dandole la mano. Io sostenevo lo strascico di Sua Maestà.
Tutt’a un tratto sentii che una gamba sprofondava. Caddi ginocchioni sull’altra. La Regina diceva: “Cugina mia, mi tirate per la coda”. Risposi: “Madame, sono sprofondata in un buco. Datemi il tempo di venir fuori”. Ne uscii tutta infangata: et tout cela sécha sur moi: tutto il fango mi si asciugò addosso. La Regina era sgomenta. Il re la confortò: “Bisogna aspettare il giorno. Ritorniamo nelle carrozze.” Staccarono i cavalli. Feci allineare la mia carrozza vicino alle altre. Mi infilai un berrettaccio di lana, e sopra il berretto la cuffia, e la mia veste da camera sopra il vestito. Mi slacciai un tantino: il busto mi martirizzava, stanca morta com’ero. Non arrivai a poter dormire. Un baccano tale! L’indomani ci fu la questione del mangiare. Era già sera che vennero a chiamarmi.
“Il Re e la Regina stanno per andare a tavola!” Mi feci portare a tavola su di una seggiola, sarebbe stato impossibile arrivarci a piedi (a meno di calzare gli stivali) tanto era la mota. La Regina prese un brodo: ne rimase un po’ nella terrina: presi la terrina, mi affrettai a trangugiarlo. E poi, di nuovo, il gran problema del dormire. La Regina era disperata: diceva che si sarebbe ammalata se non le avessero trovato un letto per dormire. Il Re la consolò “Ecco” disse “ecco i materassi. Eccoli che arrivano. Nel letto di Romecourt c’è posto per tutti”. E lei: “Ma è orribile. Che? Dormire tutti insieme?” e il Re: “E be’? Che c’è di male? Sdraiarsi tutti insieme su dei bravi materassi… ma si è vestiti! Chiedetene un po’ a mia cugina: possiamo rimetterci al suo parere: quello che lei dice lo accetteremo, come il lodo dei probiviri.”
Io, per me, non trovai che ci fosse nulla di male se dieci o dodici signore dormivano vestite in una camera col Re, con suo fratello. La Regina, allora, acconsentì. Dietro di noi, nella stalla si udivano bofonchiare delle vacche, degli asini.”