L’affaire du collier è una vicenda così incredibile e ricca di colpi di scena da sembrare la trama di un romanzo. Si svolge all’ombra della mitica Versailles, alla corte di Luigi XVI e della discussa Maria Antonietta. I protagonisti sono la contessa Jeanne de la Motte, il principe cardinale di Rohan e il famigerato Conte di Cagliostro (l’unico che, nella faccenda, non c’entrava nulla).
L’affaire consiste in un colossale imbroglio al danni del cardinale di Rohan, che alla fine risulterà deleterio per la monarchia francese e per Maria Antonietta in particolare.
Jeanne De La Motte
Artefice del piano è una donna molto ambiziosa, cresciuta in estrema indigenza ma diorigine nobile, che tramite la sua tenacia e un pizzico di fortuna riesce a entrare nel cerchio della nobiltà parigina e a vivere da gran dama, spendendo più di quanto riesca a guadagnare.
Ottenuta la protezione del cardinale di Rohan, di cui era amante, riuscì a fargli credere di essere intima amica della regina ed intercedette per il porporato che desiderava essere perdonato da Maria Antonietta, la quale lo aveva in odio a causa dei suoi precedenti libertini quand’era ambasciatore a Vienna, motivo per il quale era stato scacciato da Maria Teresa imperatrice d'Austria.
La temeraria Jeanne arrivò a scrivere lettere false per ingannare il cardinale, ovviamente all’insaputa della regina. Assoldò addirittura una prostituta, Nicole d'Oliva, somigliante a Maria Antonietta e organizzò un incontro con il cardinale, che si convinse di trovarsi di fronte alla vera regina. In cambio, Jeanne ricevette enormi esborsi da parte del cardinale.
Finalmente capita a Jeanne un'occasione ghiotta
Mentre era indaffarata a escogitare nuovi imbrogli per ottener denaro, Jeanne venne a sapere che Böhmer e Bassenge, i gioiellieri di Casa Reale, stvano cercando di vendere a Maria Antonietta una collana che a loro era costata un intero patrimonio. Era stata commissionata da Luigi XV re di Francia, che prima di morire voleva farne dono alla contessa Jeanne du Barry . Ma il sovrano era morto prima di ritirare la collana e pagare il debito, così il preziosissimo monile era rimasto ai gioiellieri, che ora cercavano a tutti i costi di venderlo per recuperare il denaro.
Nel novembre del 1784 Laporte ne parlò a Jeanne, perché intercedesse a nome dei gioiellieri presso la regina. Il 20 dicembre, Jeanne potè vedere la splendida collana.
La donna riuscì a far credere al cardinale di Rohan che la regina voleva acquistarla ma che al momento non ne aveva i mezzi, e che lo voleva fare all’insaputa del re e della corte. Il principe, commosso per essere stato scelto in un affare così delicato, abboccò all’amo. La somma era enorme, quindi chiese un parere al conte di Cagliostro che frequentava la sua casa. Il grande mago non aveva in simpatia Jeanne, che aveva più influsso di lui sul principe, e in un primo momento disse che la cosa era pericolosa; ma in seguito, per accontentare il mecenate Rohan, diede parere favorevole.
La truffa
Il 24 gennaio i gioiellieri ricevettero la visita di Rohan, il quale concluse il negoziato: 1.600.000 lire pagabili in due anni, una rata ogni sei mesi. Il primo versamento sarebbe stato fatto dalla regina il 1° agosto 1785, ragione per cui la collana sarebbe stata consegnata il 1° febbraio.
Il 31 gennaio la contessa consegnò a Rohan la ratifica firmata dalla regina dove era scritto: "approvato" e firmato "Maria Antonietta di Francia". L'affare era concluso.
Rohan non stava nella pelle dalla gioia: credeva di avere trovato il modo di fare carriera e, considerando l’influenza di Maria Antonietta sul re, di diventare addirittura primo ministro.
Anche la consegna della collana a Jeanne de La Motte fu tutta una recita orchestrata alle spalle del cardinale. La collana venne grossolanamente spezzata, e i diamanti estratti per essere venduti separatamente. I primi tentativi di vendita destarono sospetti, e il venditore scelto dalla contessa venne arrestato, ma non essendoci prove fu presto rilasciato.
Non era prudente vendere i gioielli a Parigi: così il marito Nicolas partì per Londra, dove contattò i gioiellieri Robert e William Gray e un altro che aveva un negozio a Piccadilly: Nataniele Jeffers.
I diamanti venivano offerti ad un prezzo così basso, ed erano così intaccati a causa del metodo brusco con il quale erano stati tolti dalla collana, da far sospettare ai gioiellieri inglesi che fossero il ricavato di qualche furto. Essi fecero le dovute ricerche in Francia, ma non essendoci ancora state denunce di diamanti rubati, conclusero infine l'affare.
La lussuria
Jeanne, intanto, si dava alla dolce vita comprando cavalli, carrozze, livree e quant'altro. Per evitare di essere scoperta consigliò Rohan di allontanarsi da Parigi. Alla fine di maggio, travestita da uomo, si recò dal cardinale dicendo di avere ottenuto per lui un'udienza dalla regina al suo ritorno.
La notte tra il 2 ed il 3 giugno Nicolas tornò in Francia e si trasferì con la moglie a Bar-sur-Aube, dove si diedero alla vita da gran signori.
I mesi passavano, ma nulla accadeva. Questo fece insospettire il cardinale, tanto più che la regina non indossava la collana. Jeanne inventò la scusa che la regina si era lamentata per il prezzo esorbitante e ne aveva chiesto la diminuzione; inoltre non portava la collana perché, non essendo ancora pagata, non la considerava sua.
Il 10 luglio Rohan andò dai gioiellieri, per ottenere uno sconto e soprattutto perché andassero con una scusa a Versailles a parlare con la regina della collana, così che ella si decidesse a pagare.
Entra in scena Maria Antonietta
Böhmer si recò dalla regina con un biglietto. Fatalità volle che in quel momento entrò il Controllore e il gioielliere dovette uscire. Maria Antonietta, poco avvezza alla lettura, non capì il significato del biglietto in cui la si ringraziava: per non perdere tempo, pensò che i gioiellieri erano impazziti e bruciò il biglietto. Se la faccenda fosse stata chiarita subito, forse Maria Antonietta si sarebbe tirata fuori causa; ma ciò non avvenne, e il suo silenzio venne interpretato da Böhmer e dal suo socio come un assenso.
La scadenza della prima rata si avvicinava, e Jeanne non sapeva come fare. Il 27 luglio ottenne dal notaio Minguet un prestito di 35.000 lire e il giorno dopo fece recapitare al cardinale una lettera di Maria Antonietta, in cui ella diceva che, non potendo pagare la rata il 1° agosto, avrebbe pagato la somma di 700.000 lire il 1° di ottobre, e che per il momento venivano pagati ai gioiellieri gli interessi di 30.000 lire.
Böhmer e Bassenge chiesero che venisse pagata per intero la prima rata. Il cardinale si sentiva nervoso: aveva paura di venire coinvolto in uno scandalo.
La scoperta dell’inganno
Jeanne richiamò il marito da Bar-sur-Aube, e il 3 agosto inviò Padre Loth da Bassenge per avvisarlo che era stato ingannato. La donna pensava che il cardinale, pur di non essere coinvolto nello scandalo, avrebbe pagato di tasca sua la collana.
Purtroppo i gioiellieri non osarono andare dal cardinale, ma corsero a Versailles dove, non riuscendo ad ottenere udienza dalla regina, parlarono con Madamme Campan, la quale confermò i loro sospetti: erano stati abilmente raggirati.
Jeanne pensò bene di cambiare aria abbandonando Parigi: il 6 agosto lasciò la casa del cardinale per trasferirsi a Bar-sur-Aube.
L' 8 agosto, Maria Antonietta mandò a chiamare Böhmer, il quale si presentò a corte il giorno successivo.
La regina stupefatta, ordinò al gioielliere di redigere un memoriale che venne consegnato il 12.
La regina uscì di sé dalla rabbia e sfogò la sua ira sul cardinale Rohan, contro il quale aveva già enormi pregiudizi influenzati dalla madre, l’imperatrice d‘Austria.
L’arresto di Rohan
Il 15 agosto, giorno dell'Assunzione, a Versailles c’era la consueta celebrazione fatta dal cardinale Rohan che si presentò con gli indumenti sacri.
Luigi XVI, adirato per l’enormità compiuta verso sua moglie e verso la corona, chiamò il cardinale per chiedere spiegazioni. Rohan trasecolò, e divenuto minuscolo come un chicco di riso dichiarò la sua innocenza riconoscendo anche la sua dabbenaggine e ingenuità; si offrì di pagare la collana e mostrò le carte firmate “Maria Antonietta di Francia”.
Come aveva potuto un uomo di quel rango cadere in un tranello simile? Non sapeva forse che le regine firmano con il loro nome di battesimo?
Venne invitato a redigere anch'egli un memoriale, quindi fu arrestato davanti alla corte intera e portato alla Bastiglia. Rohan però ebbe il tempo di scrivere all'abate Georgel l'ordine di bruciare tutte le carte che si trovavano nel "portafoglio rosso".
La vicenda poteva essere risolta con una lettre de cachet, ma la regina, stanca dei continui attacchi alla sua persona e di esser divenuta capro espiatorio di tutti i mali, insistette per celebrare un processo pubblico di grande clamore contro il principe di Rohan. Voleva una condanna esemplare.
Il giorno dopo l'arresto di Rohan, il marchese di Launay, governatore della Bastiglia, ricevette una lettre de cachet con l'ordine del re di accogliere suo cugino Rohan nella fortezza.
L’arresto di Jeanne de La Motte
Il 17 agosto, mentre era ospite a una cena fuori città, la contessa De La motte apprese dell'arresto del cardinale e sbiancò. Corse precipitosamente a casa con l'avvocato Beugnot, per bruciare tutte le carte riguardanti la collana e i suoi rapporti con Rohan.
Il 18 agosto, gli arcieri si presentarono a Bar-sur-Aube.
Non avevano l'ordine di arrestare il conte De La Motte, così posero i sigilli alla casa ed andarono via con la contessa. Nicolas ruppe i sigilli, prese i gioielli e i beni accumulati e fuggì a Londra.
Il 20 agosto anche la contessa De La Motte divenne ospite della Bastiglia. Il 23 agosto arrivarono anche Cagliostro e sua moglie Serafina, che la contessa coinvolse per intorbidire le acque e tentare di scagionarsi.
La questione politica
Luigi XVI e Maria Antonietta giocarono in questa partita la loro credibilità. Ottennero giustizia legale, ma si rovinarono moralmente di fronte al popolo esausto e sovraccarico di tasse.
Rohan non volle appellarsi alla clemenza del re, ma preferì un processo davanti al Parlamento di Parigi, che in quel momento particolare era ostile alla corona. Lo scandalo ebbe una pubblicità internazionale. "Quanto fango sul pastorale e sullo scettro! Che trionfo per le idee di libertà!" fu il commento di Frétau di Saint-Just. In città si accusavano la signora La Motte e il Cardinale; ma a Corte si accusava la Regina:persino i due fratelli di Maria Antonietta dubitavano del fatto che fosse del tutto estranea alla vicenda. Nella notte tra il 16 ed il 17 ottobre l'ispettore Quidor riuscì ad arrestare la baronessa Oliva che, avvisata dalla contessa De La Motte che le aveva fatto pervenire un messaggio dalla Bastiglia, era scappata in Belgio. L'unico che rimase a piede libero fu Nicolas De La Motte, che essendo fuggito a Londra non era raggiungibile dal decreto di estradizione. Il governo francese cercò di rapirlo narcotizzandolo, ma il piano fallì.
Per l'occasione, con un decreto reale, la Bastiglia da prigione giudiziaria divenne prigione di Stato e la sua direzione passò al Parlamento.
Tutta la cronaca della vicenda era riferita puntualmente dalla Gazzetta di Leida, e i Parigini erano quotidianamente messi al corrente di ciò che accadeva durante il processo.
Il processo
Non mancarono momenti tragicomici: messa a confronto con il Conte di Cagliostro, Jeanne, ricordandogli come egli la chiamasse la sua "cigna" e la sua "colomba", non esitò a lanciargli in faccia un candeliere di bronzo; ma il moccolo acceso le finì in un occhio.
Il confronto con madame d' Oliva e Villette (12 aprile 1786) non fu meno spettacolare.
Costretta dall'evidenza ad ammettere la scena del boschetto, la contessa De La Motte ebbe contorcimenti e svenì. Saint-Jean, portachiavi alla Bastiglia, corse a prenderle dell'aceto e la prese in braccio per riportarla nella sua cella, ma appena la contessa si riprese lo morse a sangue sul collo.
Nonostante tutto la contessa De La Motte continuava a proclamare la sua innocenza, dichiarando l'esistenza di un segreto che avrebbe confessato solamente a tu per tu al ministro della Casa del Re. Ma quando Breteuil sembrò accettare le condizioni, Jeanne si finse pazza rimanendo per ore nuda in piedi nella cella.
Il cardinale si presentava in tribunale con abiti talari e professava anch'egli la sua innocenza: era stato raggirato dall'astuta contessa, alla quale accusava l'improvvisa ricchezza degli ultimi tempi.
Accusa che Jeanne respingeva, ricordando al cardinale che la generosità di cui era stata beneficiata veniva proprio dai suoi favori.
I memoriali del processo divennero assai ricercati: ne furono venduti più di 5.000. Il signor Doillot ricevette in pochi giorni qualcosa come 13.000 lettere di richieste, e fu necessario mettere di fronte alla sua casa delle sentinelle. Non meno ricercato fu il memoriale di Cagliostro, dove egli tra l'altro, prima di passare alla sua autodifesa, raccontava l'inverosimile storia della sua vita. Madamoiselle D'Oliva aveva conquistato tutti, uomini e donne, per il suo fascino, per l'ingenuità e per la tenerezza che suscitava. Così anche il suo memoriale fu un successo editoriale: 20.000 esemplari venduti in pochi giorni.
La sentenza
Rohan, Cagliostro e Nicoletta d’Oliva furono scagionati. Il conte De La Motte fu condannato in contumacia al carcere a vita. La contessa De La Motte, riconosciuta come unica colpevole e mente dell'imbroglio, fu condannata ad essere percossa al collo con la corda, fustigata nuda pubblicamente per mezzo di verghe, venire marchiata sulle spalle con la lettera V di voleuse (ladra) ed essere rinchiusa per sempre nella prigione di Salpêtriere.
Quando Jeanne seppe dell'assoluzione del cardinale, andò su tutte le furie: si spezzò in faccia il suo vaso da notte, rimanendo in piedi con il naso sanguinante.
Alle 5 del mattino del 23 giugno iniziò il supplizio di Jeanne, che si divincolava come un’ossessa.
Marchiarla fu faticoso, tanto che la seconda V invece che sulla spalla finì sul petto e la povera Jeanne svenne per il dolore, non prima di aver morso a sangue il braccio di uno dei carnefici.
Venne portata alla Salpêtriere, da dove fuggì pochi mesi dopo. A Londra si rifece una vita, con i guadagni dei memoriali e con le somme che Versailles le mandava per farla tacere.
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