Il prete Giuseppe Peruffi canta le lodi del veronese Tommaso Da Vico, cui si attribuiva l’invenzione del prezioso alimento avvenuta — si diceva — l’anno di carestia 1530.
Nel millecinquecento e trenta, ben tre secoli or sono, furono inventati i Gnocchi e la festa dei Gnocchi, e l’inventor fu il bravo Da Vico. Tempo di penuria fu, una fame canina infuriando, che la città devastava. Il grano mancava, per la stagione rovescia, e tutti, tutto erano disposti a dare per pane e polenta. E più di tutti i Sanzenati divorava la fiera che non ragiona. Questa, dicono, quando lo stomaco di cibo è vuotato e agli acidi manchi di che divorare, il petto dilania e punzecchia, e il fegato e la corata, la forza fa perdere e fa cadere le brache, la pelle raggrinza e secche fa mostrare le coste, in pochi giorni traendo l’Orco a vedere.
Ma per sfamare la città e provvedere insieme all’onor della patria, il cittadino Da Vico prontamente, da lontani paesi, fece venire una grande cuccagna di grano e, senza indugiare, a buon mercato la diede e, ai più meschini, anche gratis amore.
Ma non è tutto, ancor più volle il Da Vico i poverelli consolare, e la patria e i suoi concittadini allietare. Vino, farina, legna, formaggio, butirro, sopra mille carri, sopra mille facchini egli carica, e tutto contento, accompagnata da un grande codazzo, tutta questa roba ai Sanzenati porta. Saltano fuori tutti e, allegramente gridando:
«Evviva l’Abbondanza! Evviva il Da Vico!», sulla roba di botto si buttano, e primamente la farina impastano, e da ogni parte ferve il grande lavoro.
Alcuni il pane si mettono a fare, e in fretta impastano grossi panetti, altri invece bigoli vogliono fare per la minestra. Ma troppo lunga la fame e impaziente: non volendo perdere tempo, la pasta in tocchetti tagliano e poi la buttano a cuocere nelle caldaie.
«Ehi! Ehi! Cosa fate?»grida il generoso Da Vico. «Questa roba mangiando, farete presto a crepare. Almeno i tocchetti con la grattugia ben bene forate, si cuociono meglio e sono più salutari». Disse, e allora tutti, i pezzetti di pasta con la grattugia forando, vedono i gnocchi prendere forma. Stupiti ammirano quel capolavoro e gnocco lo chiamano e «Viva i gnocchi» a gran voce gridano. Per ogni dove vasti paioli pieni di gnocchi fanno bollire, e con un gran fuoco li cuociono.
C’è chi gratta il formaggio e chi frigge il butirro, chi i gnocchi ormai cotti nelle conche travasa, chi addosso riversa montagne di cacio grattato e chi fiumi di buon burro fritto. Saltano intorno le turbe gioconde e, viva gridando, i deliziosi gnocchi divorano. Otto, dieci, al rebbio ne inforcano, non uno di meno, e nella bocca li ficcano.
Mangiano a quattro ganasce, e con una strizzatina veloce li mandano giù nella pancia. Si ingozzano, ma, tracannando vino robusto, la gola si sgorgano, e il cuore e l’anima beano.