Il cioccolato è una bevanda messicana ricavata dal seme di cacao, venne importato dagli Spagnoli per la prima volta in Europa verso la metà del XVI secolo. Perché se ne diffondesse l’uso era necessario però l’aggiunta di un ingrediente nuovo: lo zucchero. Il gusto viene modificato dagli spagnoli mescolando il frutto di cacao, tostato e ridotto in polvere, non alla farina di mais come facevano gli indigeni, bensì con zucchero di canna, vaniglia ed altri aromi orientali.
Bisogna ricordare però che fino all’800 il cioccolato si beveva perché liquido, la solidificazione e i diversi gusti, fondente ed al latte vengono più tardi.
Arrivo sulle tavole
Dalla Spagna il cioccolato all’inizio del secolo XVII arriva in Italia: a Venezia e presso la Corte medicea di Firenze, grazie ad Antonio Carletti. Si trova il cioccolato anche nella Francia meridionale, dove, in manoscritti conservati presso la biblioteca di Grenoble, è indicato che l’arcivescovo di Lione, Alfonso de Richelieu, morto nel 1653, usava il cioccolato per alleviare le sofferenze alla milza.
Alla Corte francese arriva quando la spagnola Maria Teresa va in sposa nel 1659 al re Luigi XIV, la sovrana, golosissima, se lo faceva preparare in dolci di diverso tipo.
Il cioccolato entra in pasticceria
La pasticceria nel ‘600, ma soprattutto nel ‘700, è protagonista di grandi progressi, con la creazione di dolci più raffinati e dall’aspetto elaborato. Si incominciano a conoscere i grandi pasticcieri, figure ormai autonome dal cuoco e dal fornaio. Il cioccolato si diffonde in Germania e in Inghilterra per merito degli attivissimi commercianti olandesi, che avevano ormai monopolizzato il traffico delle spezie e di ogni altro genere esotico.
Da uno scritto d'epoca
Il Redi scrive: Il cioccolatte è una mistura o confezione fatta di vari ingredienti, tra i quali tengono il maggior luogo il cacao abbronzato e il zucchero. Così fatta confezione messa nell’acqua bollente con l’aggiunta di nuovo zucchero serve di bevanda a’ popoli americani della Nuova Spagna. E di là trasportatene l’uso in Europa, è diventato comunissimo, e particolarmente nelle corti de’ Principi e nelle case de’ Nobili, credendosi che possa fortificare lo stomaco e che abbia mille altre virtù profittevoli alla sanità. La corte di Spagna fu la prima in Europa a ricever tal uso. È veramente in Ispania vi si manipola il cioccolatte di tutta perfezione; ma alla perfezione spagnola è stato a’ nostri tempi nella corte di Toscana aggiunto un non so che di più squisita gentilezza, per le novità degli ingredienti europei, essendosi trovato il modo di introdurvi le scorze fresche de’ cedrati e de’ limoncelli e l’odore gentilissimo del gelsomino, che mescolato colla cannella, colle vainiglie, coll’ambra e col muschio, fa un sentire stupendo a coloro che del cioccolatte si dilettano.
Un commercio prezioso
In Francia, fino al 1663, la vendita del cioccolato era data in esclusiva per tutto il regno, con privilegio reale, prima a David Caillon e poi a Fran Dumaine, entrambi borghesi parigini che dovevano rispettare il prezzo di vendita imposto pari a 4 franchi alla libbra per il cacao e a 6 franchi per il cioccolato. A differenza del caffè e del tè, il cioccolato si diffuse rapidamente e ovunque, soprattutto fra la nobiltà, e ciò nonostante il parere contrario di alcuni medici che, trovandosi in netta minoranza di fronte al favore generale, finirono per accettarlo.
Così ne parla Madame de Sévigné
Testimonianze contraddittorie su questa moda si trovano nella corrispondenza del 1671 di Madame de Sévigné con la figlia. Costei, dopo aver consigliato alla figlia il cioccolato quale rimedio per ogni male passeggero, le chiede successivamente d’interromperne l’uso perché fonte di ogni sorta di male e palpitazioni; vi favorisce per qualche tempo, poi vi accende tutto di un tratto di una febbre continua che vi porta alla morte. Alle rimostranze della figlia, conclude: anch’io, come sapete, amo il cioccolato; ma sembra mi abbia bruciato e, in più, ne ho sentito dire troppo male. Ma voi dipingete bene le meraviglie apportatevi, che io non so più cosa pensare.
Anche la chiesa si interroga
Tali ne furono il successo e la diffusione che sorse anche una disputa di diritto canonico con l’interrogativo se il cioccolato infrangesse o meno il digiuno. Pro e contro si spezzarono molte lance, ma alla fine pur trovando contrario il sempre molto rigido clero spagnolo, prevalse la tesi dei Gesuiti basata sul principio liquid non frangiteiunium, per cui il cioccolato poteva essere bevuto, purché non accompagnato con alimenti solidi.
Così ne descrive Brillat-Savarin: Chiunque abbia troppo accostato alle labbra il calice della voluttà; chiunque abbia occupato nel lavoro gran parte del tempo destinato al sonno; chiunque, essendo uomo intelligente, si sente momentaneamente svanito; chiunque non possa sopportare l’aria umida, il tempo lungo, l’atmosfera pesante; chiunque sia tormentato da un’idea fissa che gli toglie la libertà di pensare: tutti costoro si prendano un buon mezzo litro di cioccolata ambrata...