Le diete medioevali di alcuni mistici miravano a rafforzar lo spirito a scapito della carne. In età moderna tal modo di mangiare si affina arrivando a virtuosismi di disgusto pur di arrivare più vicini a Dio. Il passo successivo descrive la severissima pratica alimentare di Giuseppe di Copertino, mistico francescano vissuto fra il 1603 e il 1660.
Per sette anni non mangiò pane e per dieci non bevve mai vino. O erbe, o frutti secchi, o fave cotte, condite soltanto con amarissima polvere, fornivano la sua mensa; onde chi una volta per sbaglio prese di quella polvere, giudicandola pepe, in assaggiarla chiamolla con David polve di morte.
Il venerdì di altro non cibavasi che di cert’erba contanto amara e disgustevole che a solo lambirla colla estremità della lingua, lasciava per più giorni lo stomaco in nausea. Nella quaresima detta nell’Ordine Francescano la benedetta, una sola volta la settimana prendeva qualche cosa. Similmente negli altri digiuni della Religione si pasceva o delle solite erbe amare o di frutti o di fave la domenica e il giovedì solamente, gli altri cinque giorni dell’Eucaristica Mensa soltanto vivendo.
Fu osservato perciò che prima di celebrare la Santa Messa era così languido e fiacco che pareva spirante, e dopo quella così agile al moto, così colorito e sereno in faccia che ben dimostrava che il miglior suo nutrimento era il Pane degli Angioli. Del mangiar carne non occorreva parlarne; e una volta che il Superiore gli comandò che ne mangiasse, ubbidì colla sua solita prontezza, ma da subito irritamento di stomaco sovrapreso, immantinente la rigettò. Così era del pesce.
Ne mangiò una volta per ubbidienza con alcuni cittadini di Lecce, venuti apposta con buona provvisione; ma terminato il pranzo, licenziatosi con disinvoltura da’ commensali, giunto in cella si serrò, e stando quelli al di fuori senza sua saputa, udirono che rese tutto il cibo per debolezza di stomaco. Diè poi di piglio ad una catena di ferro e battutosi orrendamente cinquanta volte, disse colle parole del suo Serafico Padre: «Ora mo frat’asino mio stai bene».