Anche Pietro Verri tifa per una nouvelle cuisine leggera e razionale che metta al bando la pesantezza dell’antica. Sul «Caffè»,scrivendo i suoi propositi di riforma, la butta decisamente in politica. Quello che si combatte è il «vecchio ordine» con tutte le sue regole e consuetudini.
La tavola è dilicata quanto essere è possibile; i cibi sono tutti sani e di facile digestione; non v’è una fastosa abbondanza, ma v’è quanto basta a soddisfare: le carni viscide o pesanti, l’aglio, le cipolle, le droghe forti, i cibi salati, i tartuffi e simili veleni della umana natura, sono interamente proscritti da questa mensa, dove le carni de’ volatili e di polli, le erbe, gli aranci e i sughi loro principalmente hanno luogo.
I sapori sono squisiti, ma non forti; ogni cibo che fortemente operi sul palato istupidisce poco o molto il palato medesimo, e lo priva d’un infinito numero di piaceri più dilicati; oltre di che, qualunque cibo che fortemente stimoli il palato, fortemente ancora agisce sulle tonache del ventricolo e degli intestini, e da qui ne vengono infiniti mali che compensano con molta usura il piacere della sensazione provata.
I vini raccolti dalle vicine colline hanno molto sapore e poca forza cosicché mischiati con qualche porzion d’acqua rassembrano, al leggier acido loro, alle limonate, e sono una gustosa bevanda che aiuta la pronta digestione. Nessun cibo d’odor forte è ammesso alla nostra mensa, ed è proscritta ogni erba che infracidendosi dia cattivo odore; perciò i caci e i cavoli d’ogni sorta ne restano esclusi.
Tale è il nostro pranzo, che terminiamo con un’eccellente tazza di caffe, soddisfatti, pasciuti, e non oppressi da grossolano nodrimento, dal quale assopito lo spirito spargerebbe la noia nella società nostra, nella quale anzi dopo il pranzo sembra rianimarsi la comune ilarità.