Le sue origini sono state individuate sulla cordigliera delle Ande, nella fascia che si estende da nord del Cile a sud dell'Ecuador. Ma il suo adattamento a specie coltivabile, fino ad ottenere la pianta che conosciamo (Lycopersicon esculentum variet. Cerasiforme) ha avuto origine in Messico. Gli aztechi messicani e gli Incas peruviani furono i più antichi coltivatori di pomodoro, come suggerisce un importante dato linguistico.
Il termine tomate viene introdotto nel Castigliano nel 1532 e poi passa al francese, all'inglese e al tedesco, come in diversi dialetti italiani. Ciò derive da un errore di traduzione del termine azteco tomatl, che indicava tutte le piante dai frutti globosi, a polpa sugosa e con molti semi. In questa stessa lingua esisteva un termine preciso per designare il pomodoro, xitomatl, che dovette confondere i conquistadores europei ma che è sopravvissuta ancora oggi in alcune regioni del Messico.
Pomodoro, pianta ornamentale o tossica?
Il pomodoro fu portato in Europa dagli Spagnoli della prima ondata di conquista, quella di Cortès nel 1519.
Lo scrittore e soldato Bernal Dìaz de Castillo partecipò a questa prima ondata e mise per iscritto le sue memorie. In uno dei capitoli dell'opera, conclusa e data alle stampe nel 1568, descrive il pomodoro come pianta commestibile raccontando come a Choluca “ Ci volevano uccidere e mangiare; avevano già preparato pentole con sale, peperoncino e pomodoro”.
Questa indicazione sul consumo abituale di pomodoro da parte degli aztechi non ebbe però molto seguito nei circoli botanici europei.
Tuttavia tra gli europei che parteciparono alla conquista l'uso del pomodoro si diffuse rapidamente e si consolidò.
L'utilizzo del pomodoro in abbinamento al peperoncino è un altro dato interessante, poiché questa combinazione si ritrova identica in altri resoconti di Spagnoli, come il medico Francisco Hernandez e il gesuita Joseph Acosta.
Tuttavia nei ricettari europei del tempo non c'è traccia di questa prima rudimentale salsa di pomodoro, probabilmente proprio perchè si era diffusa solo tra i limitati gruppi di spagnoli che erano effettivamente stati nel Nuovo Mondo e perchè era una preparazione semplicissima (le icette si scrivevano soprattutto per le preparazioni complicate, le basi e i sughi semplici si tramandavano oralmente).
Inoltre il pomodoro godette per molti molti anni in europa di una cattiva reputazione: quasi tutti i botanici lo assimilavano, per il suo aspetto, alla famiglia della mandragola e, come a questa, gli attribuivano caratteristiche tossiche (come con la patata).
Tuttavia era considerato tra la fine del '500 e gli inizi del '600, una meravigliosa pianta ornamentale; molti trattati dell'epoca consigliano di piantarlo nelle aiuole e nei giardini tra i fiori!
Alcuni lo assimilano addirittura allo stramonio e all'acolito, due potenti veleni.
La prima menzione del termine POMODORO in ambienti scientifici europei è in un trattato di argomento medico,il commento al fondamentale testo botanico antico di Dioscoride, fatto dal medico senese Andrea Mattioli nel 1544.
Mattioli considera si i pomodori che le melanzane come specie di mandragole, ma ammette che si possano mangiare fritte in olio con sale e pepe come i funghi (pur ammettendo che danno “cattivo nutrimento”).
Nel 1572 il medico e naturalista riminese Costanzo Felici compila la Lettera sulle Insalate, una completa e articolata rassegna, ra botanica e gastronomia, di tutti i vegetali commestibili sino ad allora conosciuti in Europa.
Ecco come lo descrive: Pomo d'oro, così detto volgarmente dal suo intenso colore, overo Pomo del Perù, quale o è giallo intenso, overo è rosso gagliardamente, e questo o è tondo equalmente overo è distinto in fette como il melone (varietà tipo cuore di bue!); ancora lui da ghiotti et avidi di cose nove è desiderato fritto ne la padella, accompagnato con succo de agresto, m al mio gusto è più bello che bono.
Desumiamo che all'epoca fosse un cibo per i temerari culinari e per gli amanti delle novità, cmq lungi dall'avere diffusione capillare e uniforme.
Il primo a parlare in modo corretto del pomodoro e a collocarlo tra le solanacee ( famiglia alla quale la pianta effettivamente appartiene) è il medico Francisco Hernadez: lavorò agli ospedali del monastero di Guadalupe e, per la sua grande esperienza maturata nelle Americhe, fu dal 1567 nominato da Filippo II Protomedico di tutte le Indie. Nel 1570 realizzò uno degli studi più ampi su flora e fauna delle Indie, operando una classificazione tassonomica ben differenziata delle solanacee americane, in totale contrasto con la confusione imperante tra i botanici europei.
Usi del pomodoro in cucina
Abbiamo visto come i timdi tentativi di introdurre nella gastronomia europea il pomodoro prescrivessero di consumarlo come una melanzana (di cui si credeva fosse “fratello” botanico), quindi tagliato a fette e fritto con olio e sale.
Ma presto si notò che il pomodoro reagiva in modo diverso dalla melanzana: non si manteneva sodo ma si disfava in una salsa. A tal proposito infatti il sopracitato medico Hernandez scrive nel suo trattato: Con gli stessi, tritati e mescolati con peperoncino, una salsa molto gradevole, che migliora il sapore di quasi tutte le vivande e stimola l'appetito. Ritroviamo tra l'altro l'uso originario degli indigeni di accompagnare il pomodoro a peperoncino.
Il gesuita Padre Josè de Acosta, ancora alla fine del '500, parla della salsa di pomodoro come di un condimento gustoso, ottimo per mitigare il gusto piccante dei peperoncini (considerati dagli indiani d'america un vero e proprio alimento “a sè”), ma aggiunge anche un nuovo elemento: sono buoni a esser mangiati anche DA SOLI.
All'inizio del '600 in Castiglia la salsa di pomodoro è già ampiamente diffusa ma iniziano esperimenti di consumo anche a crudo: ne abbiamo una testimonianza poetica tratta dal testo della commedia El amòr Medico di Tirso de Molina (1618-20). Il testo recita: o insalate di pomodoro, dalle gote colorate, dolci e allo stesso tempo piccanti (probabilmente l'accostamento al peperoncino fu mantenuto anche nell'uso a crudo).
Altra testimonianza dell'uso a crudo ce la dà la figlia del famoso commediografo Lope della Vega, Marcela del Carpio, che prese i voti e fu autrice di alcuni “colloqui spirituali”. In quello intitolato Muerte del Apetito (in cui prescrive le modalità del digiuno, i piatti più indicati per non infrangerlo e metodi infallibili per sopportarlo) consiglia un “rifreddo” di pomodori e cetriolini come alimento corroborante ed indicato per saziare senza indurre nel peccato.
Nel 1652 il gesuita andaluso P. Cobo ci fornisce anche una ricetta per una conserva dolce di pomodori sciroppati: all'epoca l'utilizzo del gusto dolce era molto gradito e “invasivo” e queste conserve dovevano essere molto simili alle marmellate di pomodori e ai chutney britannici oggi serviti dai ristoranti alla moda in accompagnamento a formaggi stagionati e salumi particolari.
La diffusione del pomodoro
Alla cucina italiana, alla quale è nell'immaginario collettivo indissolubilmente legato, il pomodoro arriva tuttavia piuttosto tardi: alla fine del XVII secolo, attraverso la circolazione dei trattati spagnoli.
Ne abbiamo una prova nell'opera di Antonio Latini, Lo scalco alla moderna, stampato a Napoli nel 1692. Non è un caso che il viaggio del pomodoro lungo tutto lo stivale parta da Napoli, una città che per motivi mercantili e politici aveva avuto forti legami con la Spagna sin dagli inizi del '600.
Probabilmente, quando Latini scrive la sua opera, l'utilizzo del pomodoro a Napoli è già abbastanza diffuso (raramente si metteva per iscritto una ricetta all'epoca se non era già ben collaudata!).
Latini ci parla di una Salsa alla Spagnuola che possiamo considerare come l'antenata diretta della nostra salsa: si prepara tostando leggermente i pomodori per facilitarne la spellatura (nelle varità non “selezionate” dell'epoca la buccia doveva essere davvero dura!), per poi triturarli al coltello; si aggiunge cipolla sminuzzata e timo serpillo, rimettendo a bollore, e si condisce con sale, olio e l'immancabile aceto. Questa salsa, descritta come molto saporita ed indicata per condire TUTTI I PIATTI COTTI, conobbe una fortuna inarrestabile in Italia diffondendosi a macchia d'olio e diventando una vera BASE per la cucina meridionale (dove era più facile coltivare il pomodoro per via del clima caldo).
Nell'opera di Latini il pomodoro non compare solo in questa ricetta-jolly di salsa, ma anche come ingrediente in preparazioni di carne o verdure, come la Cassuola di Pomadoro (leggere dal libro).
Quando pensiamo alla fine del '600 e a tutto il '700 pensiamo all'elaborata cucina francese, alla quale tutto il mondo dell'epoca guardava come esempio di raffinatezza e modernità.
Stranamente in Francia il pomodoro arriva tardissimo: dai ricettari è praticamente assente fino agli ultimissimi anni del '700 ed è localizzato solo in Francia del sud. Una ricetta manoscritta del 1795 descrive una purea molto concentrata di pomodoro, che rappresenta probabilmente la preparazione francese più antica di questo vegetale.
Sicuramente influirono motivi di tipo climatico, ma Versailles e altri palazzi erano noti per orangeries e serre in cui venivano coltivati da espertissimi botanici e giardinieri pratcamente tutte le specie di frutta e ortaggi (anche tropicali!) allora conosciuti; il mancato utilizzo del pomodoro in cucina è più probabilmente una scelta legata alla cattiva nomea del frutto come velenoso e al suo largo impiego (quello largamente testimoniato da incisioni e descrizioni di banchetti) come pianta e frutto ornamentale.
Pasta e pomodoro
La salsa alla Spagnuola contenuta nello Scalco alla Moderna è consigliata genericamente per ogni pietanza cotta e per tutto il '700 venne utilizzata soprattutto per insaporire carni e verdure.
Uno dei ricettari più in voga nella seconda metà del '700, il Cuoco Galante di Vincenzo Corrado (ancora di Napoli, che già all'epoca era sinonimo di buona cucina!), ci descrive una salsa di pomodoro con poco olio, profumata alla cannella e chiodi di garofano, ma indicata solo per accompagnare pesce e misti di verdure (tipo caponata).
Non abbiamo testimonianza scritta alcuna che questo intingolo fosse utilizzato per condire i maccheroni, che erano tradizionalmente conditi con burro e formaggio.
Ancora alla fine del '700 Goethe, nel suo Viaggio in Italia, ci parla dei maccheroni conditi in questo modo (alimento “etnico” che doveva impressionare molto tutti i rampolli dell'alta società che compivano il Grand Tour, tanto da dare il nome ad un club di bizzarri rampolli dell'aristocrazia britannica).
Il primo cuoco che propose una salsa di pomodoro in abbinamento al riso in zuppa e alla “pasta di Puglia” fu Antonio Nebbia, autore nel 1779 del “Cuoco maceratese” , che propone un'alimentazione rivolta alle nuove classi sociali e introduce un concetto illuminista di “economia” legato alla cucina.
Piatti semplici, economici, nutrienti e saporiti, anticipando molti dei concetti alimentari che svilupperà l'Artusi.
Nebbia suggerisce di passare al setaccio i pomodori dopo la spellatura: i “tomatilli” disponibili nelle Marche erano, rispetto a quelli maturati al sole del sud, più piccoli e duri.
Del tutto simile a quella elaborata dal Nebbia è la ricetta del Napoletano Ippolito Cavalcanti, che indica di preparare i vermicelli con lo pommodoro nel suo trattato Cucina teorico-pratica del 1837. La ricetta è contenuta nell'appendice Cucina Casereccia, il che ci fa desumere che la pasta con il pomodoro era un piatto popolare, economico, consumato da classi sociali medio-basse.